Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, una bomba esplose nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario.Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 spezzò i destini di persone provenienti da 50 città italiane e straniere.Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti.
La violenza colpì alla cieca cancellando vite, sogni, speranze.Maria Fresu si trovava nella sala della bomba con la figlia Angela di tre anni. Stavano partendo con due amiche per una breve vacanza sul lago di Garda. Il corpicino della piccola, la più giovane delle vittime, venne ritrovato subito. Solo il 29 dicembre furono riconosciuti i resti della madre.Marina Trolese, 16 anni, venne ricoverata all’ospedale Maggiore, il corpo devastato dalle ustioni. Con la sorella Chiara, 15 anni, era in partenza per l’Inghilterra. Le avevano accompagnate il fratello Andrea, e la madre Anna Maria Salvagnini. Il corpo di quest’ultima venne ritrovato dopo ore di scavo tra le macerie. Andrea e Chiara portano ancora sul corpo e nell’anima i segni dello scoppio. Marina morì dieci giorni dopo l’esplosione tra atroci sofferenze.Torquato Secci, impiegato alla Snia di Terni, venne allertato dalla telefonata di un amico del figlio Sergio, Ferruccio, che si trovava a Verona. Sergio lo aveva informato che a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, proveniente dalla Toscana, aveva perso una coincidenza a Bologna e aveva dovuto aspettare il treno successivo.Poi non ne aveva più saputo nulla.Solo il giorno successivo, telefonando all’Ufficio assistenza del Comune di Bologna, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell’ospedale Maggiore.”Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire”, ha scritto Secci, “la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. Solo dopo un po’ mi ripresi e riuscii a dire solo poche e incoraggianti parole accolte da Sergio con l’evidente, espressa consapevolezza di chi, purtroppo teme di non poter subire le conseguenze di tutte le menomazioni e lacerazioni che tanto erano evidenti sul suo corpo”.Nel 1981 Torquato Secci diventò presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage.La città si trasformò in una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime, i sopravvissuti e i loro parenti.I vigili del fuoco dirottarono sulla stazione un autobus, il numero 37, che si trasformò in un carro funebre.E’ lì che vennero deposti e coperti da lenzuola bianche i primi corpi estratti dalle macerie.Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all’aeroporto di Borgo Panigale e si precipitò all’ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie.Per poche ore era circolata l’ipotesi che la strage fosse stata provocata dall’esplosione di una caldaia ma, quando il presidente arrivò a Bologna, era già stato trovato il cratere provocato da una bomba.Incontrando i giornalisti Pertini non nasconse lo sgomento: “Signori, non ho parole” disse,”siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.Ancora prima dei funerali, fissati per il 6 agosto, si svolsero manifestazioni in Piazza Maggiore a testimonianza delle immediate reazioni della città.Il giorno fissato per la cerimonia funebre nella basilica di San Petronio, si mescolano in piazza rabbia e dolore.Solo 7 vittime ebbero il funerale di stato.Il 17 agosto “l’Espresso” uscì con un numero speciale sulla strage.In copertina un quadro a cui Guttuso ha dato lo stesso titolo che Francisco Goya aveva scelto per uno dei suoi 16 Capricci: “Il sonno della ragione genera mostri”.Guttuso ha solo aggiunto una data: 2 agosto 1980.
L’Orologio della stazione da 34 anni è fermo alle 10.25, l’ora dell’esplosione, a perpetua memoria di uno dei giorni più bui della nostra storia, la cosa che però sgomenta di più è che ben poco di ricordano del motivo per cui l’orologio è fermo. Sempre più persone sostando in piazza Medaglia D’Oro e osservando l’orologio fermo, si lamentano e senza reticenze dichiarano: “Chissà da quanto tempo è rotto quell’orologio. Una vergogna”. Cittadini ignari che la vera vergogna è non sapere il motivo per il quale, in quella piazza, il tempo si sia fermato alle 10.25. Francesca Mambro e Valerio Fioravanti,giudicati gli esecutori materiali della strage e condannati all’ergastolo anche se ancora oggi i due si dichiarano estranei alla vicenda. Nomi sconosciuti alla maggioranza dei passanti per la stazione di Bologna.Tutta l’amarezza resta a chi quel giorno maledetto ha preso la sua vita o la vita di chi amava. (Valentina Luciani)