“Ci sono due fattori nel quadro politico nazionale che hanno relegato progressivamente e, forse irreversibilmente, la nostra regione in una condizione di oggettiva irrilevanza politico-istituzionale.
Il primo elemento, ormai consolidato nel sistema politico italiano, è la modalità di voto alle elezioni politiche, capace di recidere il cordone ombelicale tra eletto ed elettore e, quindi, tra eletto e territorio, azzerando di fatto il sistema di rappresentatività del corpo elettorale di riferimento e spostandone il baricentro verso la sottomissione alla gerarchia partitica (ormai solo leaderistica), divenuta del tutto impermeabile e intollerante rispetto a qualsiasi reale forma di coinvolgimento democratico degli iscritti. A ciò si deve aggiungere che, sui territori, classi di dirigenti improvvisate hanno messo alla berlina identità e storie dei partiti relegandoli alla marginalità politica a dispetto della gran quantità di voti raccolti grazie alla capacità di fascinazione “pro-tempore” del leader nazionale, al quale però spesso basta la fedeltà incondizionata (che a volte può essere di reciproca utilità) per perdonare tutto!
Esistono diversi esempi di come questo fenomeno abbia negativamente influito rispetto alla capacità degli eletti abruzzesi a Roma di raggiungere risultati concreti per il territorio: persino quando l’obiettivo era trasversale e condiviso, essi non hanno avuto alcuna possibilità di condizionare l’agenda politica, come avvenuto in occasione della imbarazzante vicenda dell’emendamento sulla proroga della chiusura dei tribunali “minori”, che ha visto per 24 ore un’autentica “rissa” a colpi di comunicati stampa per accreditarsi da parte di tutte le forze politiche il merito dell’approvazione della norma in Commissione Giustizia e Affari Costituzionali del Senato, salvo poi sparire dal radar della comunicazione il giorno successivo quando, con un tratto di penna, il testo per la proroga della chiusura è stato stralciato senza alcun problema. Così come nemmeno dinanzi alle evidenze, messe a nudo drammaticamente dalla pandemia, si è stati capaci di incidere sulla salvaguardia degli ospedali abruzzesi, falcidiati da una normativa nazionale del tutto inidonea a cogliere specificità e singolarità di un territorio complesso ed unico quale è l’Abruzzo.
A rendere, come si diceva all’inizio, probabilmente irreversibile la marginalizzazione abruzzese, arriva la recente riforma sul “taglio” dei parlamentari che, ragionando esclusivamente in termini di densità abitativa, mortifica l’intera regione condannandola alla irrilevanza istituzionale, aumentando nel contempo l’importanza dell’elemento di sudditanza psicologica di chi aspira ad essere eletto o rieletto!!
Se in tale contesto si osserva il progressivo blocco dei meccanismi di selezione delle classi politiche, ormai ridottesi a produrre missive con carta intestata del Senato della Repubblica per richiedere l’installazione di un citofono in alloggi popolari, o a cimentarsi in interpellanze parlamentari per chiedere la rimozione di un cartello di 50 kmh, le speranze sembrano svanire all’orizzonte.
Ultimamente gli elettori abruzzesi hanno riposto enorme fiducia nella promessa di cambiamento proveniente da diverse forze politiche, ma le recenti elezioni amministrative hanno in modo evidente dimostrato l’incapacità o la non volontà di tali forze di strutturarsi sui territori mediante la partecipazione degli iscritti e, soprattutto, l’incapacità di saper lavorare per la costruzione di una classe dirigente realmente capace di contribuire alla crescita e allo sviluppo locale. Tale classe dirigente è al più riuscita a creare piccoli comitati autoreferenziali che hanno generato inevitabilmente l’astensionismo o, comunque, la ricerca di proposte politiche esterne ai partiti tradizionali.
In sintesi l’elettore ha abbandonato l’idea di poter raggiungere gli obiettivi di cambiamento affidandosi alle forze politiche tradizionali e, laddove possibile, sceglie alternative civiche che garantiscano un contatto diretto con l’eletto e una sua indipendenza da logiche che, come spiegato sopra, possono rivelarsi distorsive del mandato politico conferito.
L’elettore, come sempre, ha ragione: esiste un’unica via per tentare di affrancare l’Abruzzo dal destino di irrilevanza politico-istituzionale al quale sembrerebbe inesorabilmente condannato, ma è proprio l’elettore che deve ritrovare coraggio, forza, orgoglio e passione in tutti gli amministratori del nostro territorio che, a fronte di un’indennità che spesso è al di sotto del reddito di cittadinanza, si assumono oneri e responsabilità quotidiane immani, che conoscono la loro terra e la loro gente, che sanno dare il giusto valore alla “cosa pubblica”, che hanno esperienza e competenza dimostrate e misurabili.
Il civismo, tuttavia, se vuole porsi e raggiungere obiettivi che non siano autolimitanti deve avere la capacità di strutturarsi e federarsi: strutturarsi per uscire dal ruolo di mero satellite elettorale funzionale a operazioni di piccolo cabotaggio politico pre-elettorale; federarsi, affinché le virtuose e sempre più spesso vincenti esperienze locali, abbiamo la forza e la dimensione politica necessarie per imporre un dialogo costruttivo e paritario con le forze politiche tradizionali, senza farsi fagocitare dalle logiche interne dei partiti nazionali, ma con la consapevolezza della necessità di un confronto costante e leale con essi, nell’interesse dell’Abruzzo e degli abruzzesi.
In un mondo che si appresta ad affrontare il più grande cambiamento della storia recente in termini infrastrutturali, digitali, energetici, produttivi e educativi occorre alzare l’asticella: tornare ai temi, alle questioni di fondo, alle scelte programmatiche, per il futuro delle nuove generazioni. Occorre individuare la vera prospettiva di questo territorio, non più agricolo-pastorale, ma non ancora industriale, non sufficientemente votato a sviluppo e ricerca e mai convintamente orientato ad una vocazione turistica.
Esiste nel nostro futuro un Abruzzo realmente verde e non solo per slogan, un Abruzzo che sappia coniugare ricerca, sviluppo e sostenibilità; più sicuro dal punto di vista sanitario e geologico, capace di sviluppare una rete infrastrutturale materiale e digitale che lo faccia uscire dall’isolamento e torni a garantire opportunità occupazionali e di vita per tutti, ma bisogna dimostrare di avere testa, cuore e gambe: “Se possiamo sognarlo, possiamo farlo”!