Villalba – Irriverenza, alterazione dell’immagine, anti-gravità. Gli ultimi lavori dell’artista Livio Cassiani Ingoni – nato a Roma e attivo ora a Villalba – sembrano orientarsi verso una concezione dell’immagine come superficie mobile e dinamica, nonché verso una (ri)scoperta della tecnologia come strumento estetico a tutti gli effetti. Due orientamenti, anzi, che si alimentano a vicenda e consentono all’opera di Cassiani Ingoni di strutturarsi su una coppia di rette parallele e reagenti tra loro: quella che va dalla tradizione alla parodia, e quella che attraversa i mezzi di produzione dell’arte.
Il ciclo di opere a cui qui facciamo riferimento, infatti, consiste in una serie di lavori visuali in cui alcune immagini preesistenti (tratte principalmente dalla storia dell’arte) sono post-prodotte e messe in relazione, all’interno del loro stesso spazio, o con elementi disturbanti e imprevisti, o con alterazioni che le destrutturano completamente, generando così un effetto ironico, desacralizzante. Un meccanismo che ha a che fare con la storia dell’arte, innanzitutto, intesa come orizzonte di senso che si costruisce progressivamente nel tempo. Possiamo, qui, pensare a Bachtin, e all’idea secondo cui un “classico” può riconoscersi come tale nel momento in cui ne compare la parodia (letteralmente, “dire in modo simile”). L’esempio tipico di Bachtin è il Don Chisciotte, che può esistere così come lo conosciamo solo nel momento in cui la materia che parodizza (i romanzi cavallereschi) sono ormai acquisiti dal pubblico come classico.
Tornando a Cassiani Ingoni, dunque, se da una parte troviamo lavori più svincolati dal contesto (costruiti magari giocando sul paesaggio, oppure su allucinati autoritratti dell’artista), gli episodi più interessanti del ciclo sono proprio quelli che mettono in crisi l’autorità (e quindi la forma, o viceversa) di alcuni classici dell’arte. Così, il Discobolo di Mirone perde il disco, che si frantuma; nella Pala di Brera di Piero della Francesca l’uovo precipita ed esplode; i rettangoli di Mondrian e il volto di Michelangelo del ritratto di Daniele da Volterra si dissolvono in una spirale. Ecco, soprattutto la spirale – che “frulla” le geometrie originali, devasta l’ordine cromatico – diventa il segno più esplicito dell’apparizione (per via tecnologica) del contemporaneo nel classico.
Tuttavia, se in queste immagini il parodico è ottenuto manipolando il classico secondo i criteri della frantumazione, spiralizzazione o sottrazione, altre optano per un intervento meno anarchico ma più inquietante, che disturba e invade invece di generare il comico. Si tratta, infatti, di scenari – ancora desunti da un già-esistente – in cui vengono introdotti elementi come sfere e poliedri, che rimangono sospesi e incompresi. Il caso più interessante è quello dell’Arco dei Padri Costituenti di Pomodoro a Tivoli, sopra cui campeggiano in levitazione dei solidi geometrici identici a quelli che abitano la superficie della piazza. Un gioco di inversione tra sfondo e figura, anche, e la presenza quasi minacciosa, comunque enigmatica, dell’alieno.
A questo punto, potremmo chiamare in causa l’impassibile incomprensibilità del monolite che Kubrick fa comparire in 2001: Odissea nello spazio – cui le figure di Cassiani Ingoni sono certamente imparentate per sfingea oscurità – se non fosse che ometteremmo, così, quello che è un altro filo rosso di queste opere: la dialettica tra precipitato e sollevato. Come il disco e l’uovo cadono e si frantumano, così i solidi geometrici si sollevano, popolano il cielo in disobbedienza al proprio peso. In mezzo – tra qualcosa che si solleva in quanto alieno, e qualcosa che precipita in quanto “staccato” dalla tradizione di significato cui appartiene – collochiamo la spirale: il cortocircuito posizionato a mezz’aria tramite cui Cassiani Ingoni ribalta l’asse facile/difficile, quello serio/faceto, quello cielo/terra.