Mattarella alla Sinagoga di Roma 40 anni dopo l’attentato
Il 9 ottobre 1982 un commando palestinese colpiva la comunità ebraica. Il bilancio fu di 40 feriti e un morto, Stefano, un bambino italiano
ROMA – Davanti al Tempio Maggiore di Roma, nel ghetto ebraico, oggi è stato un giorno di festa. Lo era anche il 9 ottobre di quarant’anni fa, nel 1984, quando un commando di terroristi di origine palestinese aprì il fuoco sulla folla, ferendo 40 persone e uccidendo un bambino, Stefano Gaj Taché, di soli due anni. Oggi la Comunità ebraica di Roma si è riunita al Tempio Maggiore per ricordare il dolore con una dichiarazione di pace: una celebrazione religiosa con la donazione del Sefer Torà (rotolo della Torah): dichiarazione di vita, pace e speranza nel futuro. Alle celebrazioni ha partecipato anche il Capo dello Stato Sergio Mattarella, accolto da Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, e il rabbino capo Riccardo di Segni. Presenti anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, il prefetto di Roma Matteo Piantedosi e Alon Bar, ambasciatore di Israele in Italia.
“La sua presenza qui oggi, presidente Mattarella, rappresenta un ulteriore tassello di vicinanza e amicizia, ma soprattutto la rivendicazione di quel messaggio che sin dal giorno del suo insediamento ha voluto far suo. Noi siamo italiani, orgogliosamente e anche se qualcuno in passato non ci ha considerato tali, noi continueremo con questo spirito a vivere a contribuire per il bene di questo Paese.
Grazie Presidente. Se per tanto tempo ci siamo sentiti soli, la sua presenza qui oggi invece ci fa comprendere che non lo siamo più e di questo gliene siamo grati”, ha dichiarato Dureghello.
“Può sembrare complicato capire come si possa conciliare un momento di gioia – la donazione di Sefer Torà – con il dolore, la rabbia e il senso di ingiustizia che rappresenta per noi il 9 ottobre 1982. In questa ora di 40 anni fa la violenza del commando palestinese colpiva questa comunità in festa, nel giorno in cui era prevista la benedizione del bambini. Il bilancio fu di 40 feriti e un morto, Stefano, un bambino italiano. Quel giorno cambio la vita di tante persone, della famiglia di Stefano, dei feriti e di questa comunità, che comprese che nulla sarebbe più stato come prima”, ha ricordato Dureghello.
“Quell’attentato non fu un episodio isolato, ma il culmine di una campagna d’odio con responsabilità ancora da chiarire, ma in cui apparve subito chiaro ciò che non si voleva ammettere: l’antisemitismo aveva colpito ancora e si era insidiato pericolosamente dietro all’odio contro lo Stato d’Israele- ha aggiunto Dureghello- Se però siamo ancora qui è perché oltre al dolore che è ancora vivo, auspichiamo che finalmente possa esserci verità storica e processuale. Non per vendetta, ma per giustizia. Da questo luogo chiediamo verità, perché è necessario che quel velo d’ipocrisia e omertà che rese possibile che un comando terroristico agisse indisturbato nel pieno centro di Roma venga finalmente svelato”.
“Oggi però è un giorno di festa, come sarebbe dovuto esserlo quarant’anni fa- ha sottolineato la presidente della Comunità- Le parole scritte nella Torah rappresentano, secondo i nostri Maestri: ‘la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni’. Dedicare questo rotolo a Stefano significa continuare a farne vivere la memoria ebraicamente. Significa legare momenti di vita ebraica alla sua persona nonostante lui non sia fisicamente più con noi. Saranno i nostri figli, i tanti bambini che sono oggi qua al Tempio Maggiore che si avvicenderanno nella lettura della Torah negli anni a venire a permettere che il nome di Stefano non sia mai dimenticato”. (www.dire.it)