Vicovaro – Che si creda o no a una profezia, c’è un legame molto stretto, e reale, tra la profezia e l’interpretazione della storia. E questo legame si fa ancora più evidente quando la profezia riguarda, ad esempio, l’escatologia, cioè la fine della storia stessa: fin dai documenti e dai miti più antichi l’uomo si è relazionato con la minaccia più radicale (l’estinzione umana) e questa minaccia è stata inquadrata, nel corso del tempo, nelle rappresentazioni simboliche e nelle teorie filosofiche più diverse.
Anche Amedeo Rotondi, scrittore e filosofo di origine vicovarese – di cui stiamo leggendo poco alla volta l’intera opera – ha dedicato delle riflessioni all’argomento, che si sono concretizzate soprattutto nel libro Dopo Nostradamus. Le grandi profezie sul futuro dell’umanità, uscito originariamente per le Edizioni Mediterranee nel 1972 e poi riveduto e ampliato in varie ripubblicazioni. Primo libro a portare lo pseudonimo di Amadeus Voldben (l’altro pseudonimo, Vico Di Varo, era apparso per il precedente L’arte del silenzio e l’uso della parola), Dopo Nostradamus ripercorre per blocchi tematici «le principali profezie che, secondo le più comuni interpretazioni, vogliono riferirsi agli ultimi tempi». Si passa così dalle quelle legate alle costellazioni (nel capitolo Lo Zodiaco: i Pesci e l’Età dell’Acquario) al millenarismo (Mille e non più mille), dalla figura di Gioacchino da fiore a quella di Nostradamus (che occupa una parte centrale del libro), quindi dalle anticipazioni Su Roma e sugli ultimi Papi a quelle evangeliche (La fine dei tempi nel Vangelo e nell’Apocalisse) dal Segreto di Fatima a molte altre prospettive.
Punto di partenza e occasione del libro è l’osservazione del presente, di cui si sottolinea «L’uomo ridotto a numero; dalla qualità declassato a quantità, considerato massa», nonché «La cecità morale [che] impedirà a molti uomini di vedere quale sia la vera civiltà e farà loro ritenere delle conquiste quelli che sono soltanto regressi nel cammino umano e sociale. Così sono esaltati l’ateismo, il divorzio, lo sciopero l’adorazione del benessere fine a se stesso, il livellamento indiscriminato, la furbizia, la soddisfazione sessuale.» La profezia, quindi, vale per Rotondi come visione di un futuro in grado di riscattare il presente, e la storiografia delle profezie (quale questo libro si propone di essere) come una sorta di collezione di visioni, che ha il compito di mostrare la possibilità di pensare, prima ancora che di prevedere (anche se la dimensione mistica, come si vede, rimane presente e forte), una vita diversa da questa.
Il tono di Rotondi/Voldben, del resto, è anche assai polemico. Lo è, ad esempio, verso marxismo e psicoanalisi: «Un sistema come quello marxista instaurato nel sangue, mantenuto nel terrore e in violazione dei più elementari diritti dell’uomo, la cui norma è l’odio e i cui metodi sono la violenza, la materia deificata», ragion per cui «Marx e Freud sono tra le più attive personificazioni di queste forze, dissolvitrici e negative, preparatorie dell’epoca del caos» che hanno come «intento […] quello di cancellare l’idea di Dio e ogni sentimento di religione». Ma l’autore è polemico anche nei confronti della democrazia, che «così com’è oggi concepita e attuata, è basata su due menzogne: 1) che tutti gli uomini sono eguali; 2) che la maggioranza governi la nazione.»
Che queste prese di posizione si trovino in un libro sulle profezie fa comprendere come quest’opera sia anche un posizionamento di Rotondi su storia e politica: dal suo punto di vista, la storia si è concretizzata in un decadimento morale e spirituale dell’uomo e l’attività politica (più o meno ragionata) sarà quella di restaurare la grandezza dell’uomo in questo senso, combattendo le prospettive materialiste che – agli occhi di Rotondi – appaiono come abbrutenti. La profezia incarna quindi una speranza di risollevamento che ogni evento miracoloso ribadisce, come ad esempio le numerose «apparizioni della Vergine», tra cui Rotondi conta – e chiudiamo su questa curiosità – «il movimento degli occhi» del quadro della Madonna di Vicovaro avvenuto nel 1931 «di cui lo scrivente fu testimone».