Tivoli – Fosse per il senso comune, Tivoli – parlando di arte e storia – sarebbe esistita solo in due epoche: quella antica e quella rinascimentale. E cioè, emblematicamente, in Villa Adriana e Villa d’Este. Ciò che mi sembra in primis significativo di Pittura medievale a Tivoli di Gaetano Curzi, Chiara Paniccia e Alessandro Tomei, uscito pochi mesi fa per la Biblioteca d’arte di SilvanaEditoriale, quindi, è il riportare all’interno del dibattito la percezione che Tivoli sia stata anche medievale, appunto, e che anzi nel Medioevo abbia prodotto molte delle sue eccellenze artistiche. Che sono almeno – elenchiamo scorrendo l’indice del libro – le pitture conservate nel Tempio della Tosse, nella Torre Colonna, in San Silvestro, Santo Stefano ai Ferri, Santa Maria Maggiore, San Lorenzo.
Non si tratta semplicemente di eccellenze, però. Certamente, a un primo livello, il libro fa – e deve fare – questo: descrivere, raccontare la presenza, innanzitutto, quindi le caratteristiche delle opere (specie pittoriche) appartenenti alla città di Tivoli. Questo significa, naturalmente, adottare il lessico specifico della disciplina (ricordiamo che gli autori sono tutti e tre legati all’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara), ma, d’altro lato, anche indurre il lettore non specializzato a (ri)considerare la dimensione artistica tiburtina, e particolarmente quella di un periodo storico che la vulgata vuole, spesso e pregiudizialmente, negletto. Il lettore non specializzato, così, scopre le decorazioni spiraliche del Tempio della Tosse, la densità storica e iconografica del trittico del Salvatore del duomo, la produzione di codici miniati tra XII e XIV secolo, e così via.
Ma, come si alludeva, c’è anche un secondo livello. E cioè quello che inquadra il discorso artistico all’interno della cornice politica e socio-economica. Come sa chiunque abbia un po’ di infarinatura di storia dell’arte, studiare la storia dell’arte significa studiare anche la storia delle committenze e dei rapporti politici. Alla luce di questo, la Tivoli medievale si può leggere solo nel suo complesso dialogo con Roma nonché nelle contrapposizioni politiche interne a Roma stessa: «Dalla metà del XII secolo – scrive Chiara Paniccia – il Comune di Roma, nel tentativo di espandersi verso Tivoli, sarebbe entrato in conflitto con il papato […] il Senato romano avrebbe poi consolidato le proprie mire espansionistiche cercando consenso ora in seno alla Chiesa ora all’Impero. A questo clima di tensioni va aggiunto il tentativo di espansione della stessa Tivoli, ai danni del monastero di San Benedetto a Subiaco ma anche di quello romano di San Paolo fuori le mura. […] Questo viluppo di itneressi politici ed economici senza soluzione di continuità è indicativo della strategicità del Tenimentum Tyburis e impone una riflessione sull’eventuale riverbero di tali contese territoriali sulle committenze dell’arte monumentale.»
Da una parte la rivalità, quindi, dall’altra quel fenomeno di «imitatio Romae» che ha condizionato (anche iconograficamente) lo sviluppo dell’arte tiburtina; da una parte la dimensione strettamente estetica, o artigianale, delle opere, dall’altra quella cultuale-antropologica, che, ad esempio, lega la storia del trittico del Salvatore a quella della celebrazione dell’Assunta. Pittura medievale a Tivoli, quindi, anche grazie al ricco apparato di immagini, compie il doppio lavoro di divulgare e di contestualizzare, di far conoscere aspetti dell’arte tiburtina troppo spesso trascurati e di collocarli in una precisa rete socio-politica ed economica, solo all’interno della quale l’arte concretamente si sviluppa.