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A Roma dieci anni fà chiudeva la discarica di Malagrotta

ROMA – Il  ottobre 2013 la discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa con i suoi quasi 250 ettari, chiudeva per sempre i cancelli dopo quasi 40 anni di servizio. Una data storica che per la città di Roma stabiliva contemporaneamente l’inizio di una nuova era: la fine “forzata” dell’utilizzo di una maxibuca per risolvere la questione rifiuti a poco prezzo (ma non altrettanto inquinamento) e la contestuale necessità di dotarsi di una pluralità di impianti diversi (associata a un’obbligatoria crescita della raccolta differenziata) per valorizzare l’immondizia riciclabile/recuperabile e poi trattare, smaltire e incenerire il cosiddetto “talquale” residuo.
Ma Ama, la municipalizzata capitolina dei rifiuti, aveva solo due impianti di trattamento (diventato poi uno dal 2018 con l’incendio e distruzione del tmb Salario). Quindi, per evitare le continue incombenti emergenze rifiuti ha dovuto sempre chiedere aiuto a tutti gli operatori disponibili a Roma e Provincia, nel Lazio, in Italia e in Europa perché trattassero, smaltissero e incenerissero tutti quei rifiuti (indifferenziati piuttosto che solamente organici) cui l’azienda capitolina non era in grado (e non lo è tuttora) di provvedere in proprio. Un tour di centinaia di camion al giorno (oltre a treni e navi) che ad oggi le è costato oltre 1,7 miliardi di euro, circa 170 milioni l’anno.

A questa cifra monstre si arriva sulla base dei dati che l’agenzia Dire ha raccolto nei bilanci Ama 2013-2021 ed elaborazioni attendibili per gli anni 2022 e 2023: nel primo caso il Campidoglio non ha ancora approvato il bilancio aziendale e nel secondo il Cda non ha ancora presentato la proposta non essendo l’anno terminato.
Andiamo con ordine. La produzione media dei rifiuti urbani raccolti nell’ultimo decennio a Roma è stata di circa 1,67 milioni di tonnellate l’anno. Il livello di raccolta differenziata era del 29% nel 2013, del 37% nel ’14 e del 43% nel ’15, per poi assestarsi gradualmente fino al 45% attuale.
Le basse performance complessive di raccolta differenziata (al netto del significativo balzo che la Capitale ha fatto dal 2014 al 2016) hanno fatto sì che il perenne e principale problema della gestione dei rifiuti in questa città sia tuttora “dove mandiamo l’immondizia indifferenziata o pretrattata dai nostri impianti?”. Nell’ultimo decennio Roma ha esportato circa 9 milioni di tonnellate di “talquale” e indifferenziato pretrattato nei suoi tmb.
Più precisamente: dal 2013 al 2016 3,8 milioni di tonnellate al costo medio di 140 euro per tonnellata per un totale di 532 milioni di euro; dal 2017 al 2019 circa 2,4 milioni di tonnellate al costo medio di 185 euro a tonnellata per un totale di 444 mln di euro; dal 2020 al 2022 2,1 milioni di tonnellate “allontanate” al costo medio di 203 euro a tonnellata per un costo di 426 milioni di euro; per quanto riguarda il 2023, l’Ama nel piano triennale transitorio in attesa dell’avvio del termovalorizzatore di Santa Palomba alla fine del 2026 ha computato un export di 800mila tonnellate di rifiuti al costo di 170 milioni (lo stesso sarà replicato anche nel 2024 e 2025). Il totale fa poco più di un miliardo e cinquecentosettanta milioni di euro (escludendo peraltro i costi sostenuti da Ama, ma ripagati anche questi in tariffa, per il trattamento nei suoi impianti).
A questa cifra vanno aggiunti i costi sostenuti dall’azienda di via Calderon de la Barca per fare trattare da impianti di soggetti terzi (prevalentemente compostaggio e biodigestori in Emilia-Romagna e Friuli venezia Giulia) tutte quelle migliaia di tonnellate di organico raccolto in maniera differenziata che per il suo basso dimensionamento (30mila tonnellate l’anno) l’impianto di compostaggio Ama di Maccarese non può trattare.
Scendendo nel dettaglio, la forsu (frazione organica da rifiuto solido urbano) esportata nel 2013 è stata di circa 50 mila tonnellate, nel 2014 circa 90mila tonnellate, poi dal 2015 al 2022 la cifra è oscillata tra le 170 mila e le 180 mila ogni anno, mentre nell’anno in corso le quantità viaggiano verso le 200mila tonnellate a causa del fermo dell’impianto di Maccarese.
In totale, dunque, dal 2013 al 2023 sono state esportate oltre 1,7 milioni di tonnellate di frazione organica. Dal 2013 al 2015 il prezzo medio di trattamento e trasporto era di 115 euro a tonnellata, dal 2016 al 2018 98 euro per tonnellata, dal 2019 al 2020 di 110 e dal 2021 ad oggi di 80 euro. La spesa totale è stata di circa 160 milioni di euro. E sommando a questa i costi sostenuti per l’indifferenziato-pretrattato ecco che si arriva a oltre 1,7 miliardi di euro in 10 anni.

Un prezzo salato che da anni, di fatto, pagano i romani attraverso la tariffa rifiuti, dove vengono riversati i costi del servizio reso da Ama, e che allo stesso tempo rappresenta una grande responsabilità per tutte quelle parti politiche che si sono succedute alla guida del Campidoglio nell’ultimo decennio, senza mai garantire alla propria municipalizzata quell’autonomia impiantistica necessaria per diversi aspetti: chiudere il ciclo dei rifiuti di Roma quanto più possibile nel proprio territorio, evitando così di inquinare con i continui viaggi dei camion; garantire, proprio grazie a questa prossimità, una più agevole pulizia della città; sottrarsi all’inevitabile crescita dei prezzi per il continuo export; aumentare i profitti e il valore del patrimonio grazie all’utilizzo di impianti propri, a tutto vantaggio dei cittadini che ne beneficierebbero attraverso un inevitabile calo della tariffa.

Il sindaco Roberto Gualtieri vuole tamponare questa emorragia di viaggi e soldi e nel piano rifiuti varato (nella sua veste di commissario di governo) a dicembre 2022 ha previsto: la costruzione di un termovalorizzatore da 600mila tonnellate (dove chiudere nel medio-lungo periodo il ciclo dei rifiuti di Roma) che entrerà in funzione dopo l’estate del 2026; due impianti di biodogestione anerobica dei rifiuti organici da 100mila tonnellate ciascuno, due impianti per il recupero della carta e della plastica da 100mila tonnellate ciascuno e uno (da 30mila tonnellate) di recupero delle terre di spazzamento.

Ama sarà protagonista di tutti questi impianti tranne (almeno fino ad oggi) del più grande: il termovalorizzatore, che sarà realizzato a Santa Palomba dove, però, la municipalizzata ha acquistato il terreno su cui sarà costruito e lo affitterà (non si sa ancora a quale prezzo).
Per quanto riguarda l’organico, invece, la capacità dei due futuri stabilimenti (uno dei quali, quello di Cesano, è stato bocciato per ora dalla Soprintendenza) sarà in grado (insieme all’impianto di compostaggio di Maccarese) di soddisfare poco più del fabbisogno attuale di trattamento. Ma se Roma riuscirà a centrare gli ambiziosi obiettivi di raccolta differenziata presenti nel piano (65% al 2030 e 70% al 2035) quel fabbisogno impiantistico per l’organico aumenterà almeno del doppio e non è previsto che la municipalizzata realizzi altri impianti del genere. Questo significa che l’azienda, in entrambi i casi menzionati, continuerà a essere “cliente” di terzi. Sicuramente a costi minori degli attuali sia per quanto riguarda il termovalorizzatore e magari anche per l’organico (non fosse altro perché nel Lazio è prevista una costruzione di questo tipo di impianti fino addirittura a raddoppiare il fabbisogno regionale) ma comunque continuerà a sborsare soldi a vantaggio di altri. (www.dire.it)