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Conoscere l’Abruzzo: Paganica tra storia e rinascita post terremoto

L’Aquila – Paganica è una frazione situata a pochi chilometri a sud-est del centro storico dell’Aquila. La zona è stata colpita duramente dal terremoto che ha colpito la regione dell’Abruzzo nel 2009. Il terremoto, avvenuto il 6 aprile 2009, ha causato gravi danni a diverse città e paesi della regione, compresa Paganica. Molti edifici sono stati distrutti o gravemente danneggiati, e molte persone hanno perso le loro case.

Dopo il terremoto, molte comunità, compresa Paganica, hanno dovuto affrontare il difficile processo di ricostruzione. Il governo italiano e varie organizzazioni hanno lavorato per ripristinare le aree colpite, ma il processo è stato lungo e complesso. Oggi si presenta comunque come una realtà dinamica un posto dove si può vivere bene a due passi dalla città madre.

Paganica sorse negli anni della Roma repubblicana in quel territorio dove recenti studi archeologici segnano il confine tra i due popoli italici, Sabini e Vestini, presenti nella conca tra le catene del Gran Sasso e del Velino Sirente. Nel suo territorio, nei secoli successivi, si snodava la Claudia Nova, via che dalla spendida città sabina di Amiternum – patria di Caio Crispo Sallustio “primus in historia” – congiungeva la città vestina di Peltuinum e quindi Aufinum (Ofena), nei cui pressi circa 70 anni fa veniva rinvenuta la statua in pietra di Nevio Pompuledio (VI secolo a.C.), meglio nota come Guerriero di Capestrano, fino a congiungersi con la Tiburtina Valeria e l’Adriatico. In un’area, dunque, dove i popoli italici preesistenti alla nascita di Roma vantavano una fiorente civiltà, come le necropoli di Paganica-Bazzano e Fossa, riportate alla luce nell’ultimo decennio, stanno a dimostrare con i reperti rinvenuti nelle migliaia di tombe a tumulo e a camera, risalenti fino al XII secolo a.C., testimoniando gusti raffinati e relazioni che andavano ben oltre i confini dei Piceni, lungo le vie dell’ambra. Molto interesse, infatti, hanno destato le affinità tra le statue funebri di principi guerrieri rinvenute nei pressi di Frankfurt in Germania, a Glauberg e Hirschlanden, con il Guerriero di Capestrano, sorprendentemente simili nelle fattezze, quantunque meno raffinate di quelle espresse in Nevio Pompuledio, come per il contesto del rinvenimento in tumuli circolari.
Diverse le ipotesi degli storici sulle origini di Paganica. Una di queste si fonda sul rinvenimento nell’agro paganichese d’una iscrizione lapidea “JOVI PAGANICO SACRUM”, altra l’accosta al vocabolo latino pagus, dunque villaggio. Alcuni reperti lapidei con iscrizioni, presenti nella basilica di San Giustino e nella Villa Dragonetti, come nel Museo Nazionale al Forte Spagnolo dell’Aquila, illustrano la vita paganichese nella Roma repubblicana ed imperiale. Due di questi, i cippi di Caius Curtilius e di Caius Festus, sono ben piantati in uno degli ingressi della villa ducale di Paganica. La basilica di San Giustino, gioiello d’arte romanica VIII-XII secolo, reca nelle sue architetture testimonianze di pregevole fattura, reperti recuperati con ogni attendibilità dai relitti di preesistenti costruzioni nell’area. D’altronde, non lontano dalla basilica, sul colle di Cadicchio, si ritiene fosse situata la città di Cutina, espugnata e distrutta nel 430 a.C. dal Console romano Junio Bruto Sceva, come lo storico Tito Livio riferisce in uno dei suoi libri. Nel medesimo territorio, nell’anno 281 d.C., San Giustino – patrono di Paganica – arriva da Siponto e vi predica: alla sua evangelizzazione, ed a quella dei suoi familiari, poi tutti martirizzati cinque anni dopo, si deve l’insediamento del cristianesimo nella conca vestina.
Al periodo bizantino si fanno risalire le origini di numerose Ville o Fare (contrade) intorno a Paganica, come numerosi atti notarili provano fossero abitate sin da quei tempi. Negli anni della dominazione longobarda si definisce la struttura urbana con l’agglomerazione delle Ville esistenti, a motivo di maggior difesa. Scarse le documentazioni risalenti agli ultimi secoli del I millennio. Nel “Chronicon Farfense”, nell’anno 981, Paganica compare in un diploma dell’imperatore Ottone I all’abate Giovanni III. Più ricorrente è il rinvenimento di fonti nel periodo normanno. Fatto gli è che nel XII secolo Paganica è il maggior centro della conca, ove convergono interessi e mercati che contribuiscono a renderla sempre più popolosa, tanto da consentirle di mettere a disposizione delle Crociate ben 18 cavalieri e 36 serventi. La sua posizione di privilegio, esposta a mezzogiorno alle falde del Gran Sasso, in un’area ricchissima d’acque sorgive, rende forte la sua economia fondata su un agro seminativo irrigabile tutto l’anno e con colture differenziate, sulla presenza di vari mulini, concerie e gualcherie, cartiere e ramerie. Forte incidenza hanno le produzioni agricole, ortofrutticole e dello zafferano, ma soprattutto il vastissimo territorio di montagna per gli alpeggi estivi delle greggi e del bestiame.

Nel 1254, con tutto il suo peso economico e demografico, Paganica partecipa alla fondazione dell’Aquila, la civitas nova, con i 99 Castelli della tradizione (ma in realtà furono una settantina), ciascuno realizzando sul sito assegnato il proprio quartiere, con chiesa piazza e fontana, insomma con i segni distintivi del borgo di provenienza. È così che nasce L’Aquila, in base al diploma di fondazione concesso da Corrado IV di Svevia. Paganica vi si realizza in scala con la rilevanza della comunità d’origine: nel suo quartiere la chiesa di Santa Maria Assunta (poi Santa Maria Paganica) assume per la sua imponenza il rango di tempio capoquarto, ma anche una seconda ne costruisce a distanza di pochi metri, la parrocchiale di San Giustino, poi divenuta San Martino di Chiarino. Nella storia della nuova città Paganica conquista subito un ruolo significativo ed un cordone ombelicale ne lega profondamente le sorti. Anche se, occorre riconoscere, essa tende sempre a conservare, quasi con gelosia, una propria autonomia sia nel processo d’inurbamento che nei rapporti dialettici tra il castrum e la città. L’Aquila è città particolare, unica nel Medioevo italiano, nata non per una casualità ma per progetto – ed il quarto di Santa Maria Paganica, più degli altri, ne è prova per la qualità dell’impianto costruttivo – secondo un disegno armonico che non trova precedenti nella storia dell’architettura urbana. Raffronti sono stati fatti con le bastides, di netta impronta cistercense, del Languedoc e dei Pirenei francesi, ma solo secoli dopo si definisce un caso simile, nel 1703, con la nascita di San Pietroburgo. Nella nuova città demaniale i cittadini dei castelli inurbati dentro le mura (intus moenia) e quelli rimasti nei castra d’origine (extra) mantengono stessi diritti civici e nell’uso delle proprietà collettive, come pascoli e boschi.
Nella seconda metà del Quattrocento due sono gli eventi di spessore: l’autorizzazione del re Ferdinando d’Aragona d’istituire all’Aquila uno Studium, similmente agli atenei già sorti a Bologna, Siena e Perugia, e la nascita della prima stamperia, nel 1482, grazie all’opera di Adam Burkardt di Rottweil, allievo di Gutenberg. Ricca è la fioritura culturale e l’impulso alla conoscenza impresso dalla diffusione dei libri a stampa. Se da un lato, in questo scorcio di secolo, la città conosce risultati di rilievo, specie nel settore produttivo e commerciale della lana lavorata a panno (gli stessi fiorentini, che nel settore sono maestri, ben si prodigano d’insediarsi all’Aquila per meglio curare in loco l’acquisto della pregiata lana carfagnana, mentre i Medici rileveranno l’intero borgo di Santo Stefano di Sessanio sempre con il medesimo scopo), si allentano però gli stretti legami tra la Città ed i castelli del Comitatus Aquilanus. In diverse occasioni il disagio era sfociato in subbugli, talvolta assai cruenti, ma comunque domati e presto rientrati. Non così avviene nel 1528, quando i moti assumono dimensioni di vera sollevazione popolare, solo infine rivolta contro il dominatore spagnolo, subentrato agli Angioini nel 1442. Ma la causa scatenante gli storici l’attribuiscono al latente conflitto tra i cittadini intus moenia, che tendono ad accrescere i propri privilegi sul demanio, con i villici del contado, sempre più vessati da tassazioni esose. In questa sollevazione il primo moto di ribellione è paganichese. È proprio Paganica, insieme a Pizzoli, ad attizzare e guidare la rivolta. La città diviene campo di battaglia. Ma la lotta è impari e viene repressa nel sangue dagli Aragonesi. Durissime le conseguenze disposte dal viceré Pietro da Toledo: costruzione a totali spese degli aquilani di un’imponente fortezza ad reprimendam audaciam aquilanorum. Parte della cinta muraria con la porta di Paganica, nonché l’intero quartiere d’Intempera (Tempera), vengono demoliti per fare spazio alla nuova costruzione, come demolite sono tutte le scale esterne delle abitazioni della città per l’approvvigionamento del pietrame di prima necessità per l’edificazione del forte, su progetto dell’architetto militare Pirro Luis Escrivà, già ideatore di Castel Sant’Elmo a Napoli. Tutta la popolazione maschile viene arruolata al lavoro obbligatorio ed una tassazione spietata costringerà la civica amministrazione a ricorrere al credito dissanguandosi e segnando la fine del suo splendore.

Come se tutto ciò non basti, L’Aquila viene privata del suo immenso demanio su cui ha fondato le fortune civiche. Esso è consegnato a baroni e comandanti militari, demolendo quella che per tre secoli è stata la vera forza della città territorio: il forte legame tra cittadini fuori le mura con quelli della città. A nulla valgono i viaggi a Ratisbona (Regensburg, in Germania) del sindaco Mariangelo Accursio per implorare Carlo V d’Orange affinché revochi la decisione di disperdere la demanialità. Ma sebbene il re lo prometta, mai si determinerà fattivamente nel senso sperato dagli aquilani. E così Paganica viene consegnata al capitano spagnolo Roderigo de Arzes, come gli altri castra ad altrettanti baroni. Anch’essa passa quindi di mano in mano, nel corso dei due secoli successivi, alle famiglie Carli, Carafa, Caracciolo, Vitelli, de Torres e Mattei per finire, intorno alla metà del Settecento, ad Ignazio Di Costanzo. Quest’ultima famiglia, ad ostentazione del titolo ducale, vi erigerà una splendida villa su disegno dell’architetto Mattia Capponi, con giardino all’italiana di pregevole fattura purtroppo distrutto nel secolo scorso.

Con la dilapidazione del demanio inizia per L’Aquila un declino inarrestabile. Ad una crisi economica profonda e progressiva, nonché all’appannamento del ruolo politico, si aggiungono altre terribili tragedie, come la pestilenza del 1656 che decima la sua popolazione e che ha effetti drammatici anche per Paganica. Poi, il 2 febbraio 1703, anche un terremoto apocalittico con circa 6000 morti, che agli aquilani cambia persino l’indole. Medesima distruzione subisce Paganica dal sisma, compreso il parziale crollo della chiesa di Santa Maria del Presepe, sorta nel 1605 sul sito del castello già raso al suolo dal Camponeschi, per iniziativa del vescovo paganichese Giuseppe de Rubeis. Un dramma, come mai era capitato in un territorio sismico che tanti cataclismi aveva conosciuti, anche di forte intensità, ma mai così distruttivi in termini di vite umane. Le stesse insegne civiche vengono cambiate da quel giorno di Candelora. Gli antici colori municipali, bianco e rosso, vengono da allora mutati in nero e verde, in segno di lutto e di speranza. Ancor oggi il carnevale all’Aquila entra più tardi, sempre dopo il 2 febbraio, a memoria di quel disastro. Nella grande storia aquilana, quindi dalla fondazione fino a metà del Cinquecento, Paganica ha meritato il rilievo della sua dimensione economica e sociale. La sua comunità vi ha contribuito anche con le dirette responsabilità di molti paganichesi: camerlenghi e magistrati nel governo civico aquilano delle Cinque Arti, ambasciatori e capitani, uomini di cultura e religiosi, medici e professionisti, specie nella classe notarile.

La nuova organizzazione amministrativa e l’abolizione del feudalesimo nobiliare, determinate dalla rivoluzione francese del 1789, consentono a Paganica di riorganizzarsi in Comune, come d’altronde avviene per gran parte delle vecchie universitates. Anzi, in ragione della popolazione e del peso sociale, nel 1816 il centro viene elevato a capoluogo di Circondario, con l’aggregazione delle contrade di Bazzano, Onna e Tempera. Con la riorganizzazione della Giustizia diviene inoltre Regia Curia. L’autonomia municipale gli è utile per conseguire, nel corso degli anni, e fino al 1927, gli sviluppi possibili rispetto ai tempi. Niente d’eccezionale, ma neanche nulla che non sia più che dignitoso. A squassare l’ordinato incedere nella storia minuta, abbastanza regolare dopo l’unificazione d’Italia, pensa il regio decreto del 29 luglio 1927, con il quale il governo dell’epoca aggrega al comune di Aquila degli Abruzzi ben 8 comuni del circondario, tra cui appunto Paganica, nel disegno della realizzazione della “Grande Aquila” coltivato dal Podestà Adelchi Serena, poi divenuto Segretario del Partito Nazionale Fascista e quindi Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Mussolini. Un affronto che non passa senza conseguenze. Molte le proteste – quelle possibili sotto il regime! – ma non c’è verso di conservare l’autonomia municipale. Diversi sono stati i tentativi dei paganichesi, nell’Italia repubblicana, per ricostituire il proprio municipio, nel frattempo divenuta Delegazione del Comune dell’Aquila, rappresentata da un Delegato municipale aggiunto del Sindaco. Nel frattempo il Municipio aquilano istituiva dapprima i Consigli di Frazione (1970), con nomina di secondo grado dei consiglieri, quindi i Consigli di Circoscrizione (1985) con elezioni dirette. Provvedimenti che tendevano, nello spirito, a decentrare le potestà amministrative, almeno quelle più elementari, soprattutto per assecondare le spinte d’autogoverno mai sopite nei Comuni forzatamente annessi all’Aquila nel 1927.

Ma ai buoni propositi non è seguita mai l’attribuzioni di deleghe effettive d’amministrazione e delle relative risorse nel bilancio comunale e le funzioni si sono mantenute sempre nell’ambito dei poteri consultivi. Sicché nel 1987 un Comitato Civico si costituisce per promuovere ex lege l’autonomia del Comune di Paganica. La Regione Abruzzo, a seguito d’una petizione popolare, avvia le procedure previste dalla legge ed indìce il referendum consultivo, tenutosi nel giugno del 1990. Si chiede ai cittadini residenti nella X Circoscrizione se si è favorevoli o contrari alla costituzione del nuovo Comune di Paganica, per scissione da quello dell’Aquila. L’esito favorevole della consultazione referendaria è pressoché plebiscitario (90% di sì). La beffa, però, è alle porte! Negli stessi giorni la Gazzetta ufficiale pubblica la riforma delle autonomie locali, approvata con legge n. 142 del 1990, che cambia le regole per la costituzione dei nuovi Comuni: sono necessari 10.000 abitanti, contro i 5000 richiesti dalla normativa precedente. Paganica ne ha allora 6.600. Quindi, niente da fare! Anche un successivo tentativo, con ricorso alla legge speciale Scelba del 1952 per la ricostituzione dei Comuni disciolti dal regime fascista, non ha buon esito e si chiude con la sentenza sfavorevole della Corte Costituzionale. Questo episodio chiude, infine, la storia degli organi municipali autonomi di Paganica.

Nel terremoto del 9 e 10 settembre 1349 crollò la chiesa di S. Maria di Paganica.

Il paese fu quasi distrutto dal terremoto del 1703 (dal 14 gennaio al 2 febbraio).

La notte del 6 aprile 2009 Paganica si è trovata a pochi km dall’epicentro di un devastante terremoto (5.8 gradi della scala Richter), che ha devastato il centro storico con lesioni e crolli parziali su tutti gli edifici.