ROMA – Un bambino morto in Campania e altri due in terapia intensiva, con casi di neonati ricoverati anche in Sicilia. Da inizio anno in Italia, oltre che in Europa, come denunciato in questi giorni dal Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie (ECDC), si assiste tra i bambini ad una recrudescenza della pertosse, una malattia infettiva altamente contagiosa caratterizzata da una tosse protratta e pericolosa. Causata dal batterio ‘Bordetella pertussis’, che si manifesta soprattutto con tosse persistente, può avere un decorso grave nel neonato e nei bambini sotto l’anno di vita. Il contagio, esclusivamente per contatto inter-umano, avviene attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando. Si tratta di una malattia molto contagiosa: un bambino con pertosse può contagiare infatti fino al 90% dei bambini suscettibili (non vaccinati) con cui viene a contatto. Il periodo di incubazione è di circa 10 giorni. Ma possiamo parlare di allarme pertosse nel nostro Paese? La Dire lo ha chiesto a Fabrizio Palmieri, direttore UOC di Malattie infettive dell’Apparato respiratorio all’Inmi L. Spallanzani di Roma.
“Nel Lazio, come comunicato dal Seresmi Servizio Regionale per Epidemiologia, Sorveglianza e controllo delle Malattie Infettive presso l’Inmi, quest’anno c’è stato un aumento di casi di pertosse- ha fatto sapere Palmieri- nei primi tre mesi del 2023 erano stati complessivamente 4, mentre sono 34 nel 2024, di cui 20 sono bambini che hanno un’età compresa tra 0-3 anni. Sono numeri piccoli, ma senz’altro c’è un picco epidemico. È da considerare che la pertosse ha dei picchi epidemici ogni 3-5 anni e l’incidenza è aumenta negli ultimi dieci anni a causa del calo delle coperture vaccinale. Non so se si può parlare di allarme, ma va fatta certamente una sorveglianza attiva per lo più nei neonati, proprio per l’aumento della morbidità e mortalità (quest’ultima 0,2% nei Paesi occidentali). Inoltre, va promossa attivamente la vaccinazione, obbligatoria nei neonati, nelle donne in gravidanza e nei contatti stretti dei neonati (come gli operatori sanitari del percorso nascita e gli operatori scolastici degli asili nido)”. La pertosse è una malattia pediatrica che colpisce bambini e neonati, i quali nei primissimi mesi di vita sono esposti al rischio maggiore di forme gravi, ma può colpire “raramente” anche gli adulti: “In questo soggetti la pertosse va sospettata – spiega l’esperto- quando c’è una tosse, non altrimenti spiegata, senza febbre che dura da più di due settimane”.
La terapia consiste nell’utilizzo di antibiotici (azitromicina, claritromicina) nella fase iniziale catarrale poiché, in questa fase, eliminano la bordetella e possono migliorare il decorso della malattia. Isolare i casi confermati sino al quinto giorno di terapia antibiotica efficace. Dopo l’inizio della fase parossistica, gli antibiotici hanno una minore efficacia sul decorso della malattia ma sono comunque raccomandati, anche per limitare la diffusione dell’infezione. “Va sempre considerata la profilassi antibiotica post-esposizione (qualora possibile entro 21 giorni dall’esordio della tosse nel caso indice) per i nuclei familiari/contatti stretti del caso indice e per le persone a rischio di sviluppare forme gravi di pertosse (lattanti, donne in gravidanza, persone con deficit immunitari e persone con patologie polmonari preesistenti)”.
Le complicazioni più frequenti sono rappresentate dall’insufficienza respiratoria, dalle apnee e dalle sovrainfezioni batteriche come le polmoniti; nei neonati nei primissimi mesi di vita, quando ancora non hanno ricevuto la prima dose di vaccino o sono solo parzialmente vaccinati, la pertosse può raramente causare danni neurologici secondari alle apnee tipiche della fase parossistica.
L’IMPORTANZA DELLA VACCINAZIONE
Infine, l’importanza della vaccinazione. “L’incidenza della pertosse è aumentata progressivamente anche in Occidente negli ultimi 10 anni a causa del calo delle coperture vaccinali”. A causa della perdita di immunità nel tempo sono necessari richiami e, in questa fase di aumentata incidenza di malattia, è necessario aumentare il sospetto diagnostico e considerare sempre la pertosse tra le cause di sindromi respiratorie acute nei bambini- ha concluso Palmieri- specie nei primi mesi di vita”.m (www.dire.it)