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La Roscetta della Valle Roveto: regina della castagna e patrimonio di tradizioni

Nel cuore della Valle Roveto, abbracciata dai monti e percorsa da boschi secolari, la castagna Roscetta non è solo un frutto, ma una vera e propria regina, simbolo di identità e tradizione. Questo marrone autoctono, di un colore bruno tendente al rossastro intenso, prospera da secoli nell’Alta Valle Roveto, una zona che si estende da Capistrello fino ai confini tra Morino e San Vincenzo. Sergio Natalia, presidente dell’Associazione di Tutela Igp della Castagna Roscetta della Valle Roveto, ci guida attraverso la storia e la cultura di questo prodotto unico, un patrimonio che è stato recentemente riconosciuto come “Prodotto della biodiversità”.

“Questa è la regina della Valle Roveto,” esordisce Natalia, mostrandoci con orgoglio la Roscetta, riconoscibile per il suo colore rossiccio e la forma bombata. “In Abruzzo ci sono cinque cultivar di castagne, ma questa cresce soltanto nella Valle Roveto, anzi, per la precisione, nell’Alta Valle Roveto”. La peculiarità geografica della zona conferisce a questo frutto caratteristiche uniche, rendendolo un prodotto prezioso e identitario, in una terra dove “la regina è la castagna e il re è l’olio”, come sottolinea Natalia, riferendosi alla compresenza di castagni e ulivi nella valle, un sodalizio naturale che vede i due prodotti passarsi il testimone tra ottobre e novembre.

La raccolta delle castagne nella Valle Roveto non è solo un’attività agricola, ma un rito che si ripete ogni anno, tramandato di generazione in generazione. A settembre, i boschi vengono ripuliti dalle alte felci, che sono usate per delimitare i confini tra le proprietà: “Le felci servivano a delimitare il confine fra i castagneti”. Fino alla costruzione della strada, nel 1968, la raccolta era un’impresa faticosa: “Prima del ’68 ci si veniva a piedi, o con l’asino per portare le castagne a casa, oppure le donne se le mettevano in un cesto sulla testa,” racconta Natalia, dipingendo un quadro di vita rurale dove la fatica si univa alla collaborazione e al senso di comunità.

la “capata” – tavolo con le castagne non perfette

Una volta raccolte, le castagne venivano selezionate in famiglia, un processo chiamato “capata”, in cui “tutti insieme si mettevano in una coperta vecchia e si faceva la selezione delle castagne”. E per conservarle, prima dell’arrivo dei frigoriferi, veniva usata una tecnica antica e ingegnosa: “Si mettevano in acqua per nove giorni, l’acqua veniva cambiata ogni tanto, e poi si mettevano al sole”. Questa cura nella conservazione riflette l’importanza che le castagne avevano per le famiglie della Valle Roveto, non solo come alimento ma come fonte di reddito. “Le castagne erano talmente preziose che non si facevano, coe oggi, né dolci né zuppe… si vendevano tutte, perché erano un prodotto che portava sostentamento economico”, spiega Natalia, evidenziando come il frutto rappresentasse una sorta di “quattordicesima” per le famiglie, che raccoglievano le castagne con dedizione per poterle poi vendere.

Nonostante la proprietà privata dei castagneti, esisteva un’antica tradizione chiamata “ruspo”, una testimonianza dell’altruismo e del senso comunitario della valle. “Per venire incontro a chi non aveva le castagne, c’era un gruppo di signori, i castagnari, che raccoglievano le castagne al ricco del paese e stabilivano un giorno in cui si dichiaravano aperti tutti i fondi,” racconta Natalia. “Da quel giorno tutti quanti, anche chi non ce l’aveva, poteva andare a raccoglierle”. Il termine “ruspo” deriva dall’usanza di scavare per trovare le castagne nascoste nel terreno, e questo momento di apertura permetteva anche ai meno abbienti di fare provviste per l’inverno, dimostrando come il bosco fosse una risorsa collettiva, a disposizione di chiunque ne avesse bisogno.

Oggi, la castagna della Valle Roveto ha assunto una nuova veste, diventando protagonista di sagre e di un turismo esperienziale che attira visitatori da tutta Italia e dall’estero. “Grazie alle sagre, oltre che un prodotto tipico, la castagna è diventato anche un attrattore territoriale,” osserva Natalia. La Roscetta non è più solo un simbolo di tradizione, ma un elemento di marketing che alimenta l’economia locale, creando nuove opportunità di sviluppo. L’associazione guidata da Natalia organizza incontri con le scuole e trekking tra i castagneti, promuovendo il frutto come risorsa culturale ed economica. E, in collaborazione con il Comune di Canistro, è stato avviato un progetto per la creazione di un museo delle castagne, “uno dei pochi in Italia e soprattutto nel sud”.

Ma cosa rende la Roscetta così speciale anche dal punto di vista organolettico? “Ha un sapore particolare, molto dolce e soprattutto è più digeribile, è meno pastosa del marrone normale,” afferma Natalia. La sua dolcezza e leggerezza la rendono ideale per essere gustata al naturale, una qualità che la distingue nettamente dalle altre varietà di castagne e che ne fa un prodotto apprezzato anche oltre i confini regionali.