TIVOLI – Si è svolta a Genazzano presso il Santuario della Madre del Buon Consiglio la solenne celebrazione liturgica presieduta dal Vescovo di Tivoli Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Mauro Parmeggiani. Di seguito per chi interessato il testo integrale dell’interessante omelia:
Cari fratelli e sorelle, care Consacrate e Consacrati presenti nella Diocesi di Tivoli e di Palestrina, in questo giorno, Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, celebriamo con tutta la Chiesa una speciale Giornata nella quale rendiamo grazie a Dio per la vocazione delle anime consacrate e che, per i consacrati e le consacrate, è occasione per approfondire e vivere sempre più intensamente la loro chiamata a riflettere nel mondo la luce di Cristo.
La festa liturgica di oggi ci presenta Maria e Giuseppe che, obbedienti alla Legge mosaica che prescriveva che dopo quaranta giorni dal parto una madre si recasse al Tempio per purificarsi offrendo un sacrificio di due colombe o di un agnello, vanno al Tempio di Gerusalemme per il rito della purificazione e contestualmente per presentare il loro figlio Gesù, per offrirlo a Dio, per consacrarlo al Signore, in ottemperanza a una prescrizione che prevedeva che ogni animale o uomo nato per primo, dovesse essere offerto al Signore quale primizia di tutti i doni e come gratitudine commemorativa per la liberazione dalla schiavitù d’Egitto.
E così Gesù, il Verbo che si è fatto carne per venire ad abitare in mezzo a noi, dopo essersi manifestato ai pastori di Betlemme e ai Magi venuti dall’Oriente, ora si presenta nel Tempio: il luogo del culto per eccellenza, il luogo dove Simeone, Anna e il popolo d’Israele attendevano il Messia promesso, il Salvatore di cui parlavano la Legge e i profeti, la realizzazione della salvezza di tutti i popoli.
Entra dunque nel Tempio l’atteso, Gesù! E Simeone e Anna riconoscono in Lui Colui che attendevano da tanti anni e così ora vedono nell’incontro con quel Bambino che possono tenere tra le braccia, le loro speranze realizzate. La speranza aveva sostenuto l’attesa e ora in Cristo che entra nel suo Tempio l’attesa è compiuta, si può dunque lodare Dio fedele alle sue promesse, Simeone afferma che ora può anche andare in pace: ormai ha visto Cristo, la “luce delle genti” di cui i popoli hanno bisogno. Una luce che è entrata nel mondo dando per sempre una svolta alla storia. Una svolta che dovrà passare per la croce – Simeone profetizza a Maria che una spada le trafiggerà l’anima – ma che proprio attraverso la croce giungerà alla risurrezione e salverà tutti coloro che speravano e sperano in Lui.
Celebrando questa festa anche noi, dunque, abbiamo voluto portare le candele accese all’interno del tempio. Candele che desiderano rappresentare Cristo “luce delle genti” che ci è venuto e ci viene continuamente incontro, che con il Battesimo è entrato ed entra nei nostri cuori, per alimentare la nostra speranza di poter vivere oggi e poi per sempre con Lui. Ma anche che, come ogni fuoco, desidera espandersi, accendere anche noi, affinché incendiamo il mondo del Suo amore, della sua fedeltà all’uomo.
La candela accesa non può che farci pensare alla candela del Battesimo che ci è stata affidata tramite la fede di altri, la fede della Chiesa e che siamo chiamati a mantenere viva e a nostra volta diffondere nel mondo di cui dobbiamo sentirci sempre protagonisti e mai spettatori alla finestra. Una fede che voi, carissimi consacrati e consacrate, avete accolto e vivete in una maniera particolare, donando tutto voi stessi a Dio e al suo popolo.
Stasera ringraziamo Dio per questo dono della chiamata battesimale che per voi religiosi e religiose ha assunto un impegno radicale nel vivere i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza nelle vostre famiglie religiose a cui appartenente impegnandovi ad essere luce nel mondo secondo il carisma di ciascuna di esse.
È bello vedervi come le fiamme delle candele che abbiamo portato in processione: diverse una dall’altra ma che insieme illuminano i vostri cuori e le strade del mondo.
Vorrei, però, che stasera ci chiedessimo: ma è veramente così? Sicuramente sì – voglio rispondere –, ma cosa poter fare di più e meglio per essere luce di Cristo nel mondo?
Ci può aiutare a trovare risposta il Beato Stefano Bellesini, un agostiniano che fu Parroco di Genazzano e qui morì, il 2 febbraio 1840, festa della Presentazione del Signore, dopo una vita di grande e generoso impegno nel servire il Signore e nel donarsi a Lui con forte speranza anche tra le inevitabili difficoltà della vita.
Di lui sappiamo che nacque a Trento, da una famiglia benestante il 25 novembre 1774 – 250 anni or sono –. Nel Convento di San Marco, a 18 anni, vestì l’abito agostiniano. Come molti religiosi e religiose anche lui visse il carisma dell’educazione dei giovani dapprima nella scuola del convento di San Marco a Trento e poi, dopo la soppressione dei conventi da parte delle leggi napoleoniche, non si arrese ma continuò a vivere da religioso e a seguire il suo carisma di educatore dei giovani costituendo una scuola privata a casa del fratello, continuando a vivere povertà, castità e obbedienza anche se senza comunità, convento e missione organizzata, anche se nella solitudine … Fu apprezzato educatore tant’è che fu promosso a diversi incarichi pubblici di carattere educativo fino a rivestire l’importante ruolo di Ispettore delle scuole del Principato di Trento, svolse bene il suo incarico e si prodigò perché l’istruzione fosse resa possibile per tutti: ricchi e poveri, alle ragazze – che all’epoca erano pressoché escluse dalla possibilità di istruirsi –. Ma non dimenticò mai di essere consacrato e tutto ciò che fece lo fece per servire Dio che lo aveva incontrato per primo e per rispondere a Lui in maniera concreta, amando in questo modo – attraverso l’impegno educativo – il prossimo. Pur avendo davanti la possibilità di una grande carriera il Bellesini appena seppe che un convento agostiniano aveva riaperto fuggì subito presso di esso a Venezia e poi da lì a Bologna dove si mise a disposizione del Padre Generale che dapprima lo mandò a Roma dove, colto e santo come era, fu maestro dei novizi e quindi qui, a Genazzano, dove continuò ad educare i giovani, ma fu anche parroco del Santuario della Madre del Buon Consiglio. Parroco dedito alla sua gente, zelante, attento al prossimo, uomo di preghiera e di grande carità, devoto della Madonna, sostegno ai propri confratelli nella vita comunitaria. Rimase qui – dove ora sono le sue insigni reliquie – per 20 anni fino al giorno in cui l’incontro con l’atteso, con la speranza che non delude si realizzò pienamente in quel 2 febbraio 1840 quando al termine della giornata, rese la sua bella anima a Dio morendo poiché contagiato dalla peste che aveva colpito i suoi fedeli e che non si risparmiò nell’andargli a visitare e aiutare. Per la sua vita e per la sua morte sante, Papa Pio X lo elevò agli onori degli altari, primo parroco beatificato nella storia della Chiesa!
Cosa ci può suggerire allora il Bellesini?
La perseveranza nella sequela del Signore pur nei tempi che cambiano.
Sì, il Beato Stefano iniziò la sua vita da agostiniano in tempi di libertà religiosa per poi attraversare un tempo dove i conventi e i monasteri furono soppressi. Tempi tanto simili ai nostri dove sì, viviamo in libertà religiosa, ma come condizionati da una cultura che è indifferente al messaggio di Cristo. Il Bellesini ci invita a non perdere la speranza e a perseverare nella sequela di Colui che non ha abbandonato e mai abbandonerà il mondo.
C’è chi pensa che il mondo europeo in particolare sia vecchio e decrepito, un mondo che ha sparato tutte le sue cartucce nel passato e che ora si trova come sfiancato, sfinito, senza futuro. Ma il consacrato che spera nel Signore, che ha fede in Lui, può anche pensare che il nostro mondo sia ancora bambino, non ancora cosciente della sua responsabilità nel disegno di Dio, quella di ricapitolare tutte le cose nel mistero di Cristo, nel mistero dell’amore di Dio incarnato. Siamo ancora adolescenti, sospesi tra l’illusione dell’onnipotenza e la delusione per le numerose sconfitte. Ci rendiamo conto che dobbiamo fare un salto di qualità nel modo di pensare e di vivere, ma ci illudiamo ingenuamente di poter creare l’uomo nuovo con manipolazioni genetiche. L’uomo nuovo, cari sorelle e fratelli, non sarà un uomo più potente, ma un uomo più saggio, più responsabile, più buono. Per questo dal Bellesini dobbiamo imparare che la novità non è questione di cromosomi; è questione di coscienza, di libertà, di amore; è questione di Cristo. Il Bellesini ci ha creduto come deve crederci ogni consacrato e consacrata, come deve crederci ogni cristiano e cristiana: c’è un’alba che comincia a schiarire l’orizzonte, c’è un motivo delicato e sommesso che anticipa e prelude ai toni travolgenti della sinfonia. Dice il Signore: “Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia: non ve ne accorgete?”. È vero: ci sono guerre fratricide, circolano idee distruttive, ci sono forme di degrado – ma tutto questo non dovrebbe meravigliarci più di tanto: Caino non uccise forse Abele, suo fratello? E non fu già Isaia a denunciare i poteri criminali che stringono un patto scellerato con la morte? Sodoma e Gomorra hanno già conosciuto tutte le forme di degrado del desiderio. È tutto già visto … –. Queste parole potrebbero essere scritte su molti dei mali che feriscono oggi come ieri il mondo e umiliano le speranze ostinate dell’uomo e potrebbero tentare anche le anime consacrate a ritirarsi, a buttare la spugna o ad adagiarsi in un sonno evangelizzatore che a volte mi pare di riscontrare.
Ma un’alba nuova inizia a rischiarare l’orizzonte: questa è la vera novità, questa è la novità nella quale ha creduto il Beato Stefano e nella quale dobbiamo credere e perseverare anche noi. C’è un uomo, Mosè, che si è messo davanti a Dio per intercedere a favore di Israele. È un popolo incostante, Israele, infedele, inaffidabile; eppure quell’uomo, Mosè, servo di Dio, è solidale con lui e a motivo di Mosè Dio camminerà con Israele, attraverso il deserto. C’è un uomo, Gesù, che sta alla destra di Dio e intercede a nostro favore (Rm 8,34; Eb 7,25). Siccome egli ha obbedito a Dio fino alla morte, il suo legame con Dio è indissolubile; ma siccome ha dato la sua vita per noi, anche il suo legame con noi è indistruttibile. Per questo la sua intercessione è efficace: poiché egli non può più essere separato né da Dio né da noi, in Lui la comunione di Dio con gli uomini è saldissima. A motivo di quest’uomo l’esistenza dell’uomo sulla terra può essere esistenza con Dio, quindi esistenza sempre nuova, santa.
Ebbene, oggi ricordando il Bellesini che credette a questa verità, festeggiamo voi, anime consacrate a Dio che dopo la professione di fede rinnoverete il vostro impegno con Lui, con Colui che si è fatto e si fa incontrare sempre con la nostra povera umanità.
Cosa significherà? Significherà che c’è e ci sarà ancora domani una parola di Dio nel mondo; che in mezzo alla desolazione dei nostri peccati c’è e ci sarà ancora qualcuno – voi – che essendosi donato a Dio con tutto se stesso, con tutta se stessa, permetterà a Dio di operare in mezzo a noi con quella forza di amore che tutti i nostri egoismi e le nostre stupidità non sono in grado di cancellare.
Ecco, cari fratelli e sorelle, come fu il Beato Stefano e come tanti altri santi e sante consacrati prima di voi, che anche voi, con le vostre lampade della fede accese, siate sentinelle che, mentre la notte sembra ancora ricoprire il mondo, spiano e indicano i primi segni dell’alba.
Cari fratelli e sorelle, stasera chiedo e chiediamo tutti insieme che la vostra vita di consacrati e consacrate non sia insipida, tiepida, ma sia vita di speranza che sappia far sentire a chi ha smarrito la strada che è cercato da Cristo, che ci è venuto incontro con il mistero della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione affinché chi ritorna con il peso dei suoi errori trovi sempre quel Dio amorevole e buono che viene incontro all’uomo con ricchezza di misericordia e di perdono. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina