Obblighiamo le persone a vaccinarsi, impediamo l’eutanasia, ma lasciamo liberi i ragazzi di morire fatti a pezzi a causa della droga. Invito alla lettura di questo mio editoriale, un grido di dolore che viene dal profondo del cuore.
La notizia ha scosso l’opinione pubblica, e forse lo spaccato dei media nazionali ed esteri si è praticamente tuffato con le news dell’ultima ora raccontando un fatto così grave anche con titoli di assoluta normalità. Ho deciso di scrivere su questo argomento un editoriale in prima persona. Cosa eccezionale per un direttore di testata, come è eccezionale, nel senso più negativo possibile il fatto di per sè. La cosa che mi ha fatto sobbalzare il cuore è proprio il fatto che questa figlia di una società tecnologica e malata, sia scappata dalla comunità di recupero per tossicodipendenti in cui era ospitata. Da qui la riflessione che arriva al cuore ferito di tante famiglie in preda al panico perchè non sanno come gestire determinate situazioni. La legge della maggiore età, rimanda tutto alla volontà del soggetto entrato suo malgrado o meno nel circuito della droga. La storia è agghiacciante perchè riassume nell’orrore dei fatti, tante sfaccettature di un malessere tipico della nostra Italia a tre colori per molti, e non per tutti e quindi a colore unico per tanta gente, il nero. Il buio dell’oblio in cui piombano persone e famiglie disperate e che talvolta non possono trovare soluzione nemmeno apparente nei riferimenti istituzionali per debolezza o non conoscenza dei percorsi da seguire.
Mi chiedo, ma come potremmo evitare tali garbugli di vita che sono il fallimento della società che si decanta tanto moderna? Al punto che una giovane figlia dei nostri giorni, viene fatta a pezzi da qualche energumeno al quale nemmeno il cuore strappato farebbe del male effettivo.
La tragedia si consuma prima.
Dovremmo prevenire i problemi di questa tipologia, creare assistenza reale alle famiglie che non sanno come risolvere, e forse intervenire a livello legislativo, mentre obblighiamo la gente a vaccinarsi, impediamo l’eutanasia, dall’altra lasciamo la scelta a chi è incappato nella droga e quindi non lucido, di poter decidere perchè maggiorenne di uscirsene dalla comunità di recupero e mettersi in balia degli eventi delittuosi come quello accaduto. O anche di poter tornare tranquillamente in casa e rigenerare l’orrore dal quale non si è mai completamente usciti.
Coloro che dovrebbero fare le leggi nel merito, o che occupano posti elettivi nelle istituzioni del Governo riflettano. Su certi problemi non ci sono colori politici, ma c’è solo spazio alla umana solidarietà e condivisione del problema. Possiamo evitare dunque di esporre i nostri giovani al rischio di essere fatti a pezzi? Si, con l’azione, con il senso di squadra che una comunità deve trovare la forza di poter agire. Si evitano i rischi se ci sono gli amici, se ognuno nella filiera assolve il suo ruolo attivo nel poter fronteggiare il problema. Si evita il peggio se si affronta di petto una situazione grave, più grande di noi.
Ecco, il percorso è lungo, è doloroso, ma dobbiamo combattere per tutelare i figli per porli al riparlo dalle intemperie della indifferenza di chi pensa che quel problema non lo possa toccare mai. Non ci sono soldi che tengano, o privilegi vari rispetto ai rischi di contaminazione della serenità personale e familiare che comporta la droga. E l’occhio bendato di chi può ma non agisce è una corresponsabilità della società che viaggia sul web e che dice di voler cambiare tutto purchè però nulla cambi, poichè gli interessi veri e reali sono sempre lì, anche nel terzo millennio avanzato dove una ragazza viene fatta a pezzi e messa nelle valigie dalla quale è fuggita dalla comunità di recupero. Riflettiamo prima, poichè a babbomorto ci saranno solo funerali da passerella o commemorazioni di rito aggravati da orrore e buio che resta nel cuore di chi è vittima dell’ultraveloce treno che viaggia sul binario della droga e della eccessiva tolleranza assistenzialista, patologie incurabili e tutte di casa nostra.
Daniele Imperiale
LA NOTIZIA:
La diciottenne è stata fatta a pezzi con un’accetta, lavata e riposta in due trolley, quello blu e rosso era il suo, usato per la fuga dalla comunità. Fuori da quelle mura che sentiva oppressive Pamela Mastropietro, di Roma, ha trovato la morte atroce ed orribile, smembrata tanto che si conterebbero almeno venti pezzi – e ricomposta come nel più macabro scenario horror. In stato di fermo per omicidio è un nigeriano che di nome si chiama pure Innocent e residente a Macerata. La sua casa è stata perquisita e stando alle ricostruzioni degli inquirenti sarebbero stati trovati i vestiti della vittima e tracce di sangue. Il giovane, 29 anni, è stato portato in caserma per essere interrogato tutta la notte, così come due connazionali, poi rimessi in libertà. I carabinieri sono risaliti all’immigrato dopo che le telecamere di una farmacia di Macerata lo avrebbero ripreso mentre seguiva la ragazza. Il nigeriano, già noto alle forze dell’ordine per vicende di droga e senza permesso di soggiorno, ha detto solo di aver notato e seguito la giovane, ma non ha ammesso responsabilità indicando invece il coinvolgimento di altri due immigrati che sono stati fermati. Pamela Mastropietro, residente nel quartiere di San Giovanni, fino a lunedì scorso era ospite della comunità di recupero Pars di Corridonia, in provincia di Macerata, una struttura che accoglie giovani in difficoltà e con problemi legati alla tossicodipendenza. Era in cura dal 18 ottobre, andava avanti a singhiozzo, qualche progresso e tanti momenti bui e la voglia di scappare, sempre. La sua non è stata una vita facile: gli spinelli, amicizie sbagliate, una volta ha postato del fumo sul profilo Facebook, una bravata, come fanno tanti ragazzi, tanta fragilità. Di qui il fine corsa.