Vicovaro – Uscirà a breve la seconda opera di Antonio Francesco Perozzi, classe 1994.
Dopo il suo primo romanzo, “Il suono della clorofilla” , L’Erudita, 2017, che ha venduto centinaia di copie, il giovane autore dà alle stampe un poema dal titolo “Essere e significare”: un’opera narrativa in versi , un viaggio nella e attraverso la parola, la letteratura, la cultura simbolica.
In una prospettiva meta -poetica e meta-letteraria , Antonio si interroga sulla sopravvivenza, oggi, di una poesia -pensiero che superi, rifiutandolo, il narcisismo poetico imperante. Bontà della Rete, infatti, siamo non troppo felicemente subissati , tsunamati da un’ondata di macerie in cui l’unico sopravvissuto è l’io lirico, povero naufrago di una deriva esistenziale che vomita le sue frustrazioni sui malcapitati lettori.
Intanto. La poesia non è romantica né tantomeno sentimentale . Allora?
Leopardi è considerato il maggior poetica romantico , eppure la sua poesia non è sentimentale. La poesia leopardiana è euristica, è facoltà immaginativa attraverso la quale il poeta recanatese conosce sé stesso, la vita, il mondo forse di più e meglio di quanto possa fare con la filosofia. Conoscenza, pensiero , versi non si sovrappongono ma si intrecciano approfondendosi.
Leopardi m’è uopo per introdurre la poetica del Perozzi, che si presenta come sconquassatore della gabbia lirica mediatica. Un rivoluzionario in solitaria in vista di un futuro radioso. Glielo auguriamo.
Del resto che la letteratura che voglia uscire dalle pastoie autoreferenziali in cui si è impantanata sia coraggiosa , a tal punto da non curarsi della popolarità ( leggi mercato editoriale), lo ha detto il critico letterario e saggista Francesco Muzzioli, già professore ordinario della “Sapienza” di Roma, in un suo articolo intitolato L’aristocritico . Quel Muzzioli, lo stesso dico, che ha scritto la prefazione all’opera di Antonio Francesco Perozzi. La legge del profitto produce “la mostruosa ondata di narrativa scorrevole-empatica-immersiva ecc., il dogma del piacere della lettura, l’indizione all’intrattenimento superficiale e momentaneo in cui è ben dentro lo stesso Baricco con la sua scuola di scrittura nonché il Baricco autore di romanzi.”. Non credo che Baricco sia rimasto contento; sicuramente è contento dei suoi guadagni.
Il fine dell’opera letteraria non è il mercato. La scrittura, narrativa, poetica o saggistica deve avere un’altra significanza , un altro valore: deve poter essere e significare.
E questo ci riporta direttamente al poema di Antonio, “Essere e significare”. Sappiamo già, viste le premesse, che dalla lettura non usciremo indenni , non sarà possibile, anzi correremo il rischio di perdere alcune certezze e di naufragare. Le architetture note della nostra esistenza traballeranno, ma , vi assicuro, non sarà un naufragio : torneremo a galla con qualche barlume di verità. Che la poesia sia un viaggio è acquisizione sia antica che recente: il viaggio di Dante, i deserti campi di Petrarca, le passeggiate al Colle Tabor di Leopardi, l’approdo al porto di Ungaretti, il nomadismo di Campana… sono soltanto alcuni esempi.
Anche il poema di Antonio ci invita a compiere un viaggio, il suo viaggio: la ricerca di senso del segno linguistico, quindi della parola, quindi della scrittura poetica, quindi della comunicazione, che , e meno male, rimane il fine ultimo di questa discesa agli Inferi. Un approccio semiotico , se volete, che opera con il bisturi etimologico per scarnificare secoli di incrostazioni simboliche e allegoriche sulla parola. Antonio sembra dirci che se non andiamo al fondo di questo viaggio , se non compiamo la nostra catabasi , rischiamo la morte della parola, della scrittura poetica, della comunicazione. Della “sociale catena”, per dirla con le parole di Leopardi. Il collasso è all’orizzonte; Antonio lo ha intravisto e lo ha anche sperimentato sulla sua pelle. Si è imbattuto nell’afasia, nell’incomunicabilità che ha prodotto dapprima parole sparse, poi solo righe vuote (drammatica esperienza della dispoesia).
Ma che rivoluzionario sarebbe se si arrendesse alla frantumazione del viaggio e non tornasse alla poesia, dopo il naufragio, sia pure come povero, umile artigiano confuso?
Magnifico il ritorno, non senza Euridice: ditemi quale chimica compone/il mio sempre tornare dopo giri di giostra/a una comunque pacificata maniera di linguaggio/a una nuova poesia.
(di Margherita Crielesi)