Tivoli – Se dovessi indicare tre figure che compongono l’immaginario di Texture, l’EP del musicista di Tivoli Andrea Cauduro e del torinese Anything Pointless, uscito pochi giorni fa per Superbudda, direi: una foresta di abeti; un neon malconcio che funziona a intermittenza; un arazzo. Certo, fa uno strano effetto recensire un disco cominciando a parlare di immagini e immaginario; eppure credo che la felicità di Texture stia proprio nella capacità di eccedere la dimensione sonora per dare accesso a una misura più larga, a un ambiente, a una situazione. Userò le immagini, allora, per evidenziare quelle che sono a mio avviso le coordinate musicali di questo EP, a dimostrazione della sua assoluta natura sinestetica.
Parto dall’arazzo, che è l’ultima immagine che ho elencato, ma la più centrale. La copertina dell’album – realizzata da Stefano Fiorina e Noemi di Nucci – già funziona come pista in questo senso: vediamo (ecco, ancora, la componente visiva) nient’altro che la resa grafica del concettuale sonoro dell’album: il tessuto, appunto. È fondamentale, naturalmente, che Texture sia considerato nel suo essere di fatto un lavoro a due anime: Andrea Cauduro, per quanto riguarda la chitarra, Anything Pointless, per quanto riguarda l’elettronica. Da questo punto di vista, la sfida di base dell’opera è il ricercato equilibrio non solo tra due artisti, ma anche tra due concetti di musica molto diversi, che può risolversi solo nella filosofia del tessuto, cioè nell’obiettivo di intessere parte per parte gli elementi costitutivi dei due fronti, fino a produrre un risultato organico. Così l’arazzo, che si fonda sull’abilità di rendere un disegno dettagliato tramite un intreccio di elementi diversi che illusionisticamente scompare: e la prima traccia del disco, infatti, si chiama Arras Texture.
Se questo vale, però, più dal lato del metodo (quello cioè di incrociare due sentieri diversi e fondare una città), veniamo ora al merito, con l’uso delle altre due immagini. Mi gioco la prima: la foresta di abeti. L’indirizzo che Cauduro in questo disco propone è fondato soprattutto sull’arpeggio: le tessiture delle chitarre procedono con grande spazializzazione, si fondano sui silenzi di intervallo tra le note e ricordano molti scenari del nord del mondo: dagli Explosions in the sky ai Godspeed You! Black Emperor, e cioè a quel concetto di rock che è stato definito post- e che si fonda su una stretta visione paesaggistica dell’arpeggio, in grado di amalgamare una grande comunicatività intima ed emozionale a un disegno immaginifico che, se penso a Canada o Islanda e dintorni, mi appare in lunghe distese di abeti e in uno sguardo che non sa dove posarsi. Questa piega di paesaggio-stato d’animo, però, non può scindersi dall’altra componente, più disturbata, del rumorismo: prendiamo Weave, la seconda traccia, e troviamo l’esempio forse più chiaro di come un senso dolce della chitarra si innesti su un tappeto di frizioni e white noise che non cozza con esso, ma anzi si amalgama e ne sottolinea l’espressività
Proprio per questa strada si arriva all’altra immagine, quella di un neon malfunzionante, e quindi al contributo di Anything Pointless. Se la parte di Cauduro funziona soprattutto su un piano emotivo-spaziale, quella del torinese interviene con lo scopo di produrre un immaginario più ricco e composito, insieme sussurrato e invasivo. Prendiamo Yarn, la traccia più cupa: qui gli elementi che prima ho tracciato sono sottoposti a un graduale assottigliamento che sfocia in una saturazione anch’essa spazializzata, ma in senso tutto diverso. Anything Pointless prende da una forma morbida di techno, dal glitch, da Aphex Twin, dai Boards of Canada, dagli Autechre di Amber e da Biosphere, o forse addirittura dal lowercase di Steve Roden, quando si stringe fino all’eco di un foglio di carta. Ed ecco che il suo yin può fondersi con efficacia con lo yang dell’altra componente, e insieme fondare un senso dell’ambient in grado di intrecciare le foreste con un neon che si accende e si spegne, cioè la più larga natura con il più leggero senso di rottura dell’artificiale: è il tono posato e armonico di Warp and Weft, l’ultima delle quattro tracce.
Se guardiamo al territorio di cui Confinelive si occupa, Andrea Cauduro si conferma come talento eccezionale nostrano ed Anything Pointless è una bella scoperta, lontana solo geograficamente. Ma è importante sottolineare che Texture è molto più di un orgoglio cittadino: è un disco che funziona, che rivela sapienza compositiva e grande senso del suono, in grado di coinvolgere anche senza dire una parola.