L’Aquila – La notte in cui il capoluogo d’Abruzzo venne ferito a morte resterà impressa negli annali della storia. Le emozioni, il dolore forte, il senso di smarrimento e di impotenza per questa tragedia immane è ancora scolpito indelebilmente nella bella città. A dodici anni dal quel tre e trendadue, la città dell’Aquila è ancora ferita. Quelle trecentonove bare non sono mai state dimenticate, i loro nomi vengono pronunciati ogni anno, seppure L’Aquila ha dovuto rinunciare alle celebrazioni ufficiali sia quest’anno che nel 2020 per l’emergenza covid.
Ma nel cuore pulsante della città il pensiero è a quella violenza della natura che ebbe a stravolgere le vite di tutti. Una città bella, colpita a morte nel suo centro storico, nella sua tradizione.
Lutto esponenziale, quartieri cancellati, vite ed abitudini cancellate in uno scuotimento violento. Ricordare con tristezza è doveroso, tenendo conto che l’uomo è in balia della natura e della inspiegabilità di fatti, circostanze, eventi che sono al di sopra di ogni umana comprensione.
Il terremoto distruttivo fu l’epilogo di una sequenza sismica iniziata nel dicembre del 2008.
Ma l’Abruzzo, duramente colpito, si è rimboccato le maniche, la politica fece del suo meglio ed i risultati furono apprezzabili in breve tempo. Seppure in contesti diversi e di emergenza, molte le case costruite in velocità che diedero una boccata di ossigeno a chi era per strada.
A distanza di tanti anni, non dimenticare è rendere onore alla memoria di quanti non potettero nemmeno ricordare, ma che furono vittime della violenza della natura.
All’Aquila bella me’.