Tivoli – Consonanze di… Segni e Parole (Herald Editore, 2019) è il primo libro di Chiara Simonelli, poetessa di Tivoli, ed è caratterizzato da uno stretto contatto tra l’immagine e il verso. Tutte le poesie (circa sessanta) sono infatti accompagnate da delle fotografie, che a volte ritraggono mimeticamente il tema della poesia, altre volte invece gli si accordano indirettamente, come suggestione, atmosfera («di leggerezza e soavità», per dirla con la prefatrice Gina di Francesco).
Da un punto di vista strettamente scrittorio, il libro si costituisce come galleria di poesie-istante, dove l’istante può essere inteso sia come accadimento di qualcosa (di esterno: la vista di un paesaggio, un particolare status emotivo, ecc.) sia come fase di un ragionamento, pensiero. La scrittura di Simonelli – a livello di significato – dà infatti ampio spazio alla riflessione filosofica (non senza un’influenza del padre Benedetto, di cui si è parlato qui e qui) e, potremmo dire, trasforma la caratura estetica dello strumento poetico nella caratura estatica di meraviglia del pensiero. Il lettore si trova così di fronte a un’oscillazione costante tra interno ed esterno, dove l’interno è l’autocoscienza e l’esterno la natura, da intendere però come forme liquide e che si alimentano reciprocamente: dalla natura l’input per una deduzione filosofica; dal pensiero la possibilità di significare la natura; in mezzo l’esercizio poetico come chiave di questa significazione, efficace in quanto supera il linguaggio “quotidiano” e iscrive i «segni e parole» in un contesto di senso maggiorato, inspessito.
Anche la struttura dei testi simonelliani obbedisce a questo scopo: la loro brevità (spesso cinque-sei versi, di rado sopra i dieci) enfatizza la poesia come un carpire (l’istante e il significato dell’istante), la versificazione “per step” (un verso = un movimento naturale o un passo del pensiero) sottolinea il tono meditativo, con un esito che assomiglia – per idea, ma non per metrica – alla pratica dello haiku.
Se la scrittura va a circoscrivere lo spazio e il rito di una significazione, l’immagine per contro si costruisce come schermo: riproduzione fedele di un esistente, sua trasformazione in segno “compatto e integrale” (cioè non spezzettato dall’alfabeto). I versi allora ne possono essere ecfrasi (come in Di tramonto e aurora) o ermeneutica (come in Tempo); possono cioè spiegare (nel senso fisico di aprire e stendere, anche) l’immagine a partire dalle sue componenti visuali effettive, oppure interpretarla (scavandola e facendo emergere lo strato più astratto e allegorico in esse contenuto).
Nell’epoca della centralità dell’immagine, Simonelli sceglie una strada di speciazione della scrittura, sottolineata come forza specifica. Introducendo le foto l’autrice non relega la parola ad accessorio, ma al contrario ne evidenzia la necessità, proprio in termini di approccio all’immagine, sua investigazione, scoperta, razionalizzazione linguistica. E questo mi sembra l’aspetto più interessante del libro.