A 70 anni dalla morte di Cesare Pavese, il messaggio della Fondazione: “leggerlo e perdonarlo, come lui ci ha chiesto”
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono” ha scritto Pavese prima di togliersi la vita, 70 anni fa. In questo anniversario che ogni anno ci porta in quella solitaria stanza di albergo di una deserta Torino di fine agosto, La Fondazione Cesare Pavese ritiene sia giusto stimolare i lettori a fare ciò che lo scrittore ci ha chiesto nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1950: perdonarlo.
Perdoniamo Pavese per il suo “errare inquieto” e per non aver ritrovato, come l’Ulisse omerico, una terra, una patria, un regno, una famiglia. Perdoniamo Pavese per il suo gesto estremo, termine ultimo di una ricerca mai doma per la vita, inseguita ovunque nello studio, nella lettura, nella letteratura e nella scrittura. Perdoniamo Pavese e ringraziamolo per averci lasciato, con le sue opere, traccia del suo viaggio, della sua ricerca. Perché leggere Pavese oggi significa guardare davanti ad uno specchio in cui trovare il coraggio di riconoscersi e accogliersi. Leggere Pavese oggi significa non essere Cesare Pavese per trovare nell’inquietudine del viaggio la via d’uscita dal labirinto.
A 70 anni dalla morte è forse giunto il momento di discostarci dall’oscuro “Mito Pavese” nato con il suicidio e caratterizzato dal chiacchiericcio attorno al dato biografico, all’appartenenza politica, agli amori e alle motivazioni che lo hanno portato in quella stanza di albergo, per tradurre il messaggio pavesiano in una rotta da seguire verso la ricerca, la consapevolezza e la vita. Questo è il potere della cultura e della letteratura: essere una mappa esistenziale e le parole di Cesare Pavese, la sua letteratura, meritano di essere accolte per quello che sono, opere d’arte, immortali. Leggere Pavese oggi è porsi di fronte a un quadro quasi dimenticando l’autore e solo godendo del senso di straniamento stimolato dalla visione. Perdoniamo Pavese e dimentichiamolo, chiede la Fondazione Cesare Pavese, e non carichiamolo delle nostre frustrazioni e camminiamo insieme ai suoi personaggi sulle colline delle Langhe o sotto i portici della città. “Non tentiamo di spiegare Pavese, leggiamolo, perché è ciò che ci ha chiesto”.
Questo è anche il compito della Fondazione Cesare Pavese che con i suoi eventi immaginati in questo 2020 sospeso vuole ritornare al messaggio pavesiano per tradurlo in una guida per ciascuno di noi in cui ritroviamo noi stessi prima che ancora l’autore.
In questo senso, il disegno che Paolo Galetto ha realizzato per la Fondazione ritrae un bambino, il bambino Cesare, che sogna e vola sulla fantasia sopra le sue colline e il mare tanto desiderato in quanto segno di fuga, di oltre, di altrove. Il bambino è sempre vivo in noi, in ogni stagione della nostra vita, e il bambino Pavese ha sempre guidato la ricerca e il bisogno di vita dell’adulto Pavese. Lo sguardo del bambino è quello puro, libero da ogni vincolo e sovrastruttura culturale. Proprio per questo il bambino Pavese sarà l’immagine guida del 2020 della Fondazione e in particolare del Premio Pavese.
A questo si aggiunge il documentario “Cesare Pavese. L’uomo”, un ritratto intimo e inedito dello scrittore attraverso i ricordi e gli aneddoti della nipote Maria Luisa Sini e di Gabriella Scaglione, figlia di Pinolo Scaglione, il Nuto del romanzo La luna e i falò, di cui sempre quest’anno ricorrono i 70 anni della pubblicazione. Il documentario verrà presentato nella versione integrale in occasione del Premio Pavese.
E poi il Pavese Festival con Boosta, Marcello Fois, Neri Marcorè, Omar Pedrini e Andrea Bosca, grandi appassionati dello scrittore che andranno in scena seguendo la traccia lasciata da Pavese nelle loro vite personali e professionali.
Infine, la call per artisti Vivere è cominciare, con le 20 opere vincitrici, che dal 27 settembre saranno esposte nella sede della Fondazione.
Perdoniamo Pavese, ringraziamolo e, soprattutto, leggiamolo perché è questo l’unico modo per conoscerlo.