Jenne – Il Presepe di Jenne edizione 2019-2020 è caratterizzato con un omaggio all’arte presepiale storica. Ed è in fase di allestimento una scenografia unica nel suo genere che a livello itinerante per le suggestive vie del borgo perla della Valle Aniene. L’ispirazione è ai personaggi del 700 che sembrano prendere vita negli angoli suggestivi in un percorso a dir poco affascinante. Personaggi di vita quotiduana con i loro costumi settecenteschi dunque verso una fusione nelle antiche vie per la rappresentazione del Santo Natale.
Tre i punti più importanti del presepe: Il viaggio, la natività ed i Re Magi.
“Il viaggio ci riporta indietro in un tempo ormai perduto – spiega il sindaco Giorgio Pacchiarotti – con quelle note indelebili di semplicità e di fede che vanno riscoperte, mentre la Natività, è rappresentata come l’essenza del Natale per la celebrazione della nascita di Gesù, immenso pioniere della cristianità che nasce in un clima di umiltà e di calore. Poi gli affascinanti Re Magi che con i loro doni, oro, incenso e mirra, da sempre sono protagonisti indiscussi del presepe nel momento dell’Epifania. In questo percorso – prosegue Pacchiarotti – quest’anno abbiamo voluto caratterizzare il nostro borgo come ospite e testimone di una cultura: quella presepiale napoletana settecentesca ed invitiamo tutti a Jenne per apprezzarne l’unicità”.
E fu proprio il compianto Luciano de Crescenzo che ebbe a testimoniare la differenza tra il presepe popolare e quello settecentesco napoletano:
Il presepe popolare
Giunti a questo punto, dobbiamo dire che il presepe popolare conserva tuttora una funzione religiosa, più o meno simile a quella dei Lari degli antichi Romani: è il luogo centrale della festa natalizia, una specie di altare domestico. È il fermo-immagine, che ogni famiglia accoglie in casa, del momento fondamentale del mistero cristiano.
Qualcuno lo ha definito “traduzione del Vangelo in dialetto”. Qui la manifattura dei pastori è semplice, artigianale, sempre popolare e veniva realizzata in legno in un primo periodo, successivamente in terracotta. L’idea con cui nasce e viene realizzato, perciò, è molto diversa dal presepe settecentesco.
“Che cosa sia il presepe popolare noi lo apprendevamo ogni anno in casa nostra con zio Alfonso, quando lui stesso tirava fuori lo scatolone natalizio.
Ogni pastore di zio Alfonso aveva la sua storia. Qualcuno era addirittura immortale: anche se nel corso della vita avevano perso qualche pezzo, continuavano a fare il loro dovere sul presepe. Un pastore senza una gamba veniva strategicamente piazzato dietro un cespuglio. E quello senza un braccio lo si nascondeva per metà dietro un albero. Avevamo un pastore soprannominato Pasqualino Passaguai, che col tempo aveva perso l’ottanta per cento del proprio corpo, e precisamente le gambe, le braccia e buona parte del busto. Ciononostante, zio Alfonso lo collocava dietro una finestrella, in modo che facesse capolino solo con la testa.
E poi c’erano tante altre piccole astuzie, alle quali eravamo tutti molto affezionati, tipo l’enteroclisma nascosto dietro le montagne per avere l’acqua del fiumiciattolo, che scorreva veramente, e le lampadine dietro il fondale di carta bucherellato per fare le stelle. “I buchi delle stelle” diceva zio Alfonso “devono essere piccoli, anzi piccolissimi. Più sono piccoli, e più la luce si rifrange sui bordi. E allora sì che sembrano stelle.”
Il fondale, in genere, lo si faceva con la carta dei maccheroni: quella di colore blu, che si usava una volta negli anni Trenta per avvolgere la pasta. Approfitto dell’occasione per inviare un affettuoso saluto alla carta dei maccheroni della mia prima giovinezza. Spero tanto che qualcuno la rimetta in commercio”.
Presepe settecentesco
Dal Seicento in poi, il presepe, per la prima volta nella sua lunga storia, si diffuse un po’ dappertutto. A partire da questo periodo, la raffigurazione della Natività, infatti, non fu più qualcosa che riguardava solo le chiese e i luoghi di culto, dove fino a quel momento i presepi venivano allestiti. Ora si apre una fase nella quale il presepe comincia a essere apprezzato anche dai ricchi, e mi riferisco soprattutto alla nobiltà napoletana. Anzi, in molti di loro si scatenò una vera e propria passione che li spinse a commissionare i presepi e a pagare profumatamente gli artisti e gli artigiani più bravi a realizzarli.
Tutto ciò sfrenò l’ingegno di questi abilissimi scultori, i quali, attorno alla scena originaria della Natività di Gesù, iniziarono a creare sfondi sempre più belli da vedere. Nacque anche l’abitudine di sistemare il presepe in modo tale da fare di Napoli un suggestivo fondale, con il suo Vesuvio come cornice della Grotta in cui Cristo era nato.
Arriviamo così al Settecento, periodo in cui si presenta a Napoli Carlo III di Borbone. Molti lo considerano il secolo d’oro nella storia della città. Napoli in questi anni è una capitale fiorente, almeno per quello che riguarda la corte e i nobili che frequentano l’ambiente dei regnanti. Del resto, è il periodo nel quale venne realizzata la gran parte degli edifici più prestigiosi della zona: le regge di Caserta, di Capodimonte e di Portici, la Casina Vanvitelliana, le ville del Miglio d’Oro a Ercolano. Lo stesso Palazzo Reale napoletano, quello di piazza del Plebiscito, fu in pratica rifatto da cima a fondo nel Settecento dagli architetti di Carlo III.
In un clima come questo, anche l’arte del presepe ebbe la sua piena esplosione. Ma nel Settecento il presepe perde gran parte del suo ruolo religioso. Tutto assume un’aria laica e diventa un passatempo dell’aristocrazia napoletana, che esibisce la propria ricchezza anche con il presepe. Addirittura i ricami degli abiti in seta dei “pastori vestiti” erano di oro autentico. Così se il presepe settecentesco è pomposo e barocco, quello popolare resta devozionale e sempre legato al rito natalizio.
Proprio a questo proposito, vi voglio raccontare la storia di Maria Francesca delle Cinque Piaghe, una sarta specializzata nel confezionare abiti per le statuine di Gesù.
“Si dice che nel Natale del 1787, mentre Maria Francesca stava infilando un abito al Bambino, la statuina abbia mosso le braccia aiutandola a farsi vestire. Se andate nei Quartieri Spagnoli di Napoli, in vico Tre Re a Toledo, dove abitava e lavorava Maria Francesca, poi diventata santa, c’è una sedia sulla quale ancora oggi molte donne che non riescono ad avere figli si siedono, sperando nel miracolo”.
Con i Gesuiti, arrivati a Napoli già nel Seicento, la grotta del presepe, fino ad allora luogo della Nascita, si trasforma in un tempio in rovina, a significare la definitiva disfatta del paganesimo. E per portare Gesù nelle case di tutti, si servirono del presepe, diffondendo l’usanza tra le famiglie di costruirselo in casa. Vi dico subito che non sono neutrale, io tifo apertamente per il presepe popolare. Il motivo risale alla mia tradizione familiare, il presepe popolare è quello di zio Alfonso e quindi della mia infanzia. Al presepe settecentesco ruberei lo sfondo col golfo di Napoli e il Vesuvio alle spalle, possibilmente col pennacchio. Ma, sia chiaro, so perfettamente quanta perfezione stilistica c’è nella gran parte dei presepi del Settecento, e quanto abili sono gli artigiani che ancora oggi li realizzano.
Il pezzo più pregiato e famoso che troverete a San Martino è sicuramente il presepe di Cuciniello. Forse non sono tanti a sapere che questo presepe prende il nome da un napoletano, Michele Cuciniello, vissuto nel XIX secolo. Cuciniello era in realtà uno scrittore di opere teatrali, ma anche lui adorava i presepi e cominciò a collezionarli. Proprio come sarebbe poi accaduto a Schmederer, dieci anni prima di morire, Cuciniello affidò al Museo di San Martino tutto ciò che aveva raccolto in una vita.
Va detto che Michele Cuciniello non si limitava ad accumulare pastori, si divertiva anche a ideare le scene che poi lui stesso realizzava sui suoi presepi, usando le statuette dei pastori come fossero attori delle sue commedie. Pare che non fosse solo, quando progettava questa specie di regia del presepe.
Le scene avevano come autori anche un architetto di nome Fausto Nicolini, il drammaturgo Luigi Masi e un tale Luigi Farina, del quale si legge la firma sullo sfondo del paesaggio roccioso.
Fomnte: Luciano De Crescenzo .”GESÙ È NATO A NAPOLI” La mia storia del presepe- Mondador
“Giunti a questo punto, – ebbe a spiegare il popolarissimo autore e scrittore recentemente scomparso – dobbiamo dire che il presepe popolare conserva tuttora una funzione religiosa, più o meno simile a quella dei Lari degli antichi Romani: è il luogo centrale della festa natalizia, una specie di altare domestico. È il fermo-immagine, che ogni famiglia accoglie in casa, del momento fondamentale del mistero cristiano.
Qualcuno lo ha definito “traduzione del Vangelo in dialetto”. Qui la manifattura dei pastori è semplice, artigianale, sempre popolare e veniva realizzata in legno in un primo periodo, successivamente in terracotta. L’idea con cui nasce e viene realizzato, perciò, è molto diversa dal presepe settecentesco.
Ogni pastore di zio Alfonso aveva la sua storia. Qualcuno era addirittura immortale: anche se nel corso della vita avevano perso qualche pezzo, continuavano a fare il loro dovere sul presepe. Un pastore senza una gamba veniva strategicamente piazzato dietro un cespuglio. E quello senza un braccio lo si nascondeva per metà dietro un albero. Avevamo un pastore soprannominato Pasqualino Passaguai, che col tempo aveva perso l’ottanta per cento del proprio corpo, e precisamente le gambe, le braccia e buona parte del busto. Ciononostante, zio Alfonso lo collocava dietro una finestrella, in modo che facesse capolino solo con la testa.
E poi c’erano tante altre piccole astuzie, alle quali eravamo tutti molto affezionati, tipo l’enteroclisma nascosto dietro le montagne per avere l’acqua del fiumiciattolo, che scorreva veramente, e le lampadine dietro il fondale di carta bucherellato per fare le stelle. “I buchi delle stelle” diceva zio Alfonso “devono essere piccoli, anzi piccolissimi. Più sono piccoli, e più la luce si rifrange sui bordi. E allora sì che sembrano stelle.”
Il fondale, in genere, lo si faceva con la carta dei maccheroni: quella di colore blu, che si usava una volta negli anni Trenta per avvolgere la pasta. Approfitto dell’occasione per inviare un affettuoso saluto alla carta dei maccheroni della mia prima giovinezza. Spero tanto che qualcuno la rimetta in commercio”.
Presepe settecentesco
Dal Seicento in poi, il presepe, per la prima volta nella sua lunga storia, si diffuse un po’ dappertutto. A partire da questo periodo, la raffigurazione della Natività, infatti, non fu più qualcosa che riguardava solo le chiese e i luoghi di culto, dove fino a quel momento i presepi venivano allestiti. Ora si apre una fase nella quale il presepe comincia a essere apprezzato anche dai ricchi, e mi riferisco soprattutto alla nobiltà napoletana. Anzi, in molti di loro si scatenò una vera e propria passione che li spinse a commissionare i presepi e a pagare profumatamente gli artisti e gli artigiani più bravi a realizzarli.
Tutto ciò sfrenò l’ingegno di questi abilissimi scultori, i quali, attorno alla scena originaria della Natività di Gesù, iniziarono a creare sfondi sempre più belli da vedere. Nacque anche l’abitudine di sistemare il presepe in modo tale da fare di Napoli un suggestivo fondale, con il suo Vesuvio come cornice della Grotta in cui Cristo era nato.
Arriviamo così al Settecento, periodo in cui si presenta a Napoli Carlo III di Borbone. Molti lo considerano il secolo d’oro nella storia della città. Napoli in questi anni è una capitale fiorente, almeno per quello che riguarda la corte e i nobili che frequentano l’ambiente dei regnanti. Del resto, è il periodo nel quale venne realizzata la gran parte degli edifici più prestigiosi della zona: le regge di Caserta, di Capodimonte e di Portici, la Casina Vanvitelliana, le ville del Miglio d’Oro a Ercolano. Lo stesso Palazzo Reale napoletano, quello di piazza del Plebiscito, fu in pratica rifatto da cima a fondo nel Settecento dagli architetti di Carlo III.
In un clima come questo, anche l’arte del presepe ebbe la sua piena esplosione. Ma nel Settecento il presepe perde gran parte del suo ruolo religioso. Tutto assume un’aria laica e diventa un passatempo dell’aristocrazia napoletana, che esibisce la propria ricchezza anche con il presepe. Addirittura i ricami degli abiti in seta dei “pastori vestiti” erano di oro autentico. Così se il presepe settecentesco è pomposo e barocco, quello popolare resta devozionale e sempre legato al rito natalizio.
Proprio a questo proposito, vi voglio raccontare la storia di Maria Francesca delle Cinque Piaghe, una sarta specializzata nel confezionare abiti per le statuine di Gesù.
“Si dice che nel Natale del 1787, mentre Maria Francesca stava infilando un abito al Bambino, la statuina abbia mosso le braccia aiutandola a farsi vestire. Se andate nei Quartieri Spagnoli di Napoli, in vico Tre Re a Toledo, dove abitava e lavorava Maria Francesca, poi diventata santa, c’è una sedia sulla quale ancora oggi molte donne che non riescono ad avere figli si siedono, sperando nel miracolo”.
Con i Gesuiti, arrivati a Napoli già nel Seicento, la grotta del presepe, fino ad allora luogo della Nascita, si trasforma in un tempio in rovina, a significare la definitiva disfatta del paganesimo. E per portare Gesù nelle case di tutti, si servirono del presepe, diffondendo l’usanza tra le famiglie di costruirselo in casa. Vi dico subito che non sono neutrale, io tifo apertamente per il presepe popolare. Il motivo risale alla mia tradizione familiare, il presepe popolare è quello di zio Alfonso e quindi della mia infanzia. Al presepe settecentesco ruberei lo sfondo col golfo di Napoli e il Vesuvio alle spalle, possibilmente col pennacchio. Ma, sia chiaro, so perfettamente quanta perfezione stilistica c’è nella gran parte dei presepi del Settecento, e quanto abili sono gli artigiani che ancora oggi li realizzano.
Il pezzo più pregiato e famoso che troverete a San Martino è sicuramente il presepe di Cuciniello. Forse non sono tanti a sapere che questo presepe prende il nome da un napoletano, Michele Cuciniello, vissuto nel XIX secolo. Cuciniello era in realtà uno scrittore di opere teatrali, ma anche lui adorava i presepi e cominciò a collezionarli. Proprio come sarebbe poi accaduto a Schmederer, dieci anni prima di morire, Cuciniello affidò al Museo di San Martino tutto ciò che aveva raccolto in una vita.
Va detto che Michele Cuciniello non si limitava ad accumulare pastori, si divertiva anche a ideare le scene che poi lui stesso realizzava sui suoi presepi, usando le statuette dei pastori come fossero attori delle sue commedie. Pare che non fosse solo, quando progettava questa specie di regia del presepe.
Le scene avevano come autori anche un architetto di nome Fausto Nicolini, il drammaturgo Luigi Masi e un tale Luigi Farina, del quale si legge la firma sullo sfondo del paesaggio roccioso.
Fomnte: Luciano De Crescenzo .”GESÙ È NATO A NAPOLI” La mia storia del presepe- Mondadori