Al museo Maxxi di Roma in prima assoluta Giovanni Gastel con “The people i like”
Dal 15 settembre al 22 novembre oltre 200 “ritratti dell’anima” del maestro fotografo alle persone che più lo hanno colpito: da Barack Obama a Marco Pannella, da Monica Bellucci a Miriam Leone, da Zucchero a Fiorella Mannoia e molti altri
Roma – Un’inedita, avvolgente galleria con oltre 200 ritratti. Un labirinto di volti, pose, sogni di personaggi del mondo della cultura, del design, dell’arte, della moda, della musica, dello spettacolo, della politica. Un ritratto collettivo di anime, incontrate nel corso di una carriera quarantennale. E’ la mostra GIOVANNI GASTEL. The people I like a cura di Uberto Frigerio con allestimento di Lissoni Associati, in prima assoluta nello Spazio Extra MAXXI dal 15 settembre al 22 novembre 2020.
Il titolo della mostra, The people I like, è già una dichiarazione d’intenti: il maestro fotografo si svela nella sua più intima autenticità e consacra il “ritratto” opera artistica d’eccellenza. Al pari della cultura umanistica, Gastel restituisce valore all’uomo e dignità al soggetto autonomo e, attraverso gli oltre 200 ritratti in mostra, documenta una parte importante del suo lavoro d’artista in oltre quarant’anni di attività. Modelle, attrici, artisti, operatori del settore, vip, cantanti, musicisti, politici, giornalisti, designer, chef fanno parte del caleidoscopio di fotografie esposte senza un ordine preciso, o un’appartenenza a un determinato settore o categoria.
Come lo stesso Gastel afferma: “The people I like racconta il mio mondo, le persone che mi hanno trasmesso qualcosa, insegnato, toccato l’anima… e per me questo non dipende dalla loro origine, estrazione sociale, gruppo di appartenenza o altro. L’anima è qualcosa di unico, indipendente e, come tale, non segue nessuno schema predefinito, come il cuore”.
Un click, un attimo, un istante, un gioco sottile che suscita un brivido, un contatto tra due entità distinte. I ritratti non sono percepiti come semplici rappresentazioni della fisionomia umana, ma lasciano trasparire un significato interiore più vero: lo scopo dell’artista è quello di indagare ciò che va aldilà dell’esteriorità cogliendo la complessità del soggetto.
Al centro sempre l’anima che traspare dalla posa, dall’espressione del volto e dalla sua teatralità. I portrait assumono un ruolo centrale che non si ferma all’analisi fisica, ma scava nella sfera psicologica del personaggio.
Una sensazione volutamente riprodotta dal curatore Uberto Frigerio e dall’architetto Piero Lissoni che ha ideato l’allestimento, anche nella scenografia e nella disposizione delle immagini esposte.
Nella zona centrale della sala danzano, come quasi a rincorrersi, in un labirinto che si snoda su circa 125 metri di lunghezza, volti di artisti celebri in un susseguirsi di dinamiche ed interpretazioni distinte. Pareti mobili di 3 metri d’altezza disposte in diagonale che si guardano tra loro e sembrano dialogare l’una con l’altra: percorsi casuali che invitano lo spettatore ad orientarsi secondo il suo personale istinto.
In modo del tutto casuale, ci si imbatte in personaggi di diversa estrazione e levatura sociale, testimonianza dell’immensa varietà d’incontri che ha caratterizzato la lunga carriera del fotografo. Tra questi, Marco Pannella, Barack Obama, Forattini, Ettore Sottsass, Germano Celant, Mimmo Jodice, Fiorello, Zucchero, Tiziano Ferro, Vasco Rossi, Roberto Bolle, Bebe Vio, Bianca Balti, Luciana Littizzetto, Franca Sozzani, Miriam Leone, Monica Bellucci, Mara Venier, Carolina Crescentini e moltissimi altri.
Sono tutti ritratti in grande formato, 130×90, in bianco e nero, mentre nella parte finale del percorso espositivo trovano spazio, in una sorta di quadreria, 80 immagini della serie dei colli alti neri.
Ai margini della spiritualità dell’anima, grande importanza è stata concessa anche a componimenti letterari, poesie e testi cari al fotografo che si legano alla sua sfera emotiva.
Come lo stesso Gastel racconta “la mia è una ricerca che alimenta il mio vivere, il mio sentire, la mia arte … fotografare è una necessità e non un lavoro. Rendere eterno un “incontro” tra due anime, mi incanta e mi fa sentire parte di un tutto che si rinnova continuamente nello sguardo di chi legge e comprende le mie opere”.