Canale Monterano – L’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, in Convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, presidente fondatrice la prof.ssa Fulvia Minetti, vicepresidente il dott. Renato Rocchi, direttore artistico Antonino Bumbica, ha inaugurato il 18 dicembre la mostra fotografica di Claudio Limiti alla Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano di Roma in Corso della Repubblica n.50, che accoglierà le visite pubbliche fino al 2 gennaio 2022 con ingresso gratuito.
Claudio Limiti, classe 1955, romano, è da sempre affascinato dalla fotografia. L’epopea spaziale degli anni sessanta e il film “2021 Odissea nello spazio” di Kubrick lo hanno spinto ad amare l’astronomia, ad apprezzare il mistero dell’infinito. Vincitore di due titoli ai Campionati Italiani Assoluti di nuoto, nel 1974 viene premiato con una borsa di studio come miglior Atleta Studente, che impiega per l’acquisto di una Petri, la sua prima fotocamera. Autore di foto sperimentali, desidera guardare oltre l‘ovvio, per una nuova prospettiva. Nei primi anni ‘80 è stato investito dei primi riconoscimenti a livello nazionale da parte della FIAF, ha partecipato a numerose mostre e vinto alcuni concorsi, sempre meravigliato dalla bellezza, che desidera condividere in tutta verità, senza gli artifici della post produzione.
“Il percorso fotografico “preLiminari – Liminari – ilLimiti” rappresenta la sfida dell’artista a superare con eroismo i fatalistici vincoli semantici del proprio nome stesso, “Limiti”, con la prospettiva libera dell’oltre che viola i margini di confine dell’apparenza: è l’esondante catarsi odisseica della conoscenza all’ignoto. I preLiminari sono i set fotografici allestiti dal Limiti per creare dell’oggetto usuale quotidiano la visione ulteriore, i Liminari sono le sorprendenti soglie di luce nel buio e gli ilLimiti sono i luoghi cosmici dell’infinito al di là dell’infinitesimale, perché anche il tempo effimero dell’esistenza sia arricchito dell’eternità universale.
Lo sguardo fotografico del Limiti è profondo e penetrante, è il gesto dell’ascolto del proprio impatto col mondo, prova all’esistere: è interrogazione della materia, fra luce ed ombra, del “come” qualitativo, come unica identità riconoscibile dall’anonimia oggettuale del “cosa”. Nell’affondo che soppesa, in sinestesia, la resistenza materica sulla propria risposta tonica è la ricerca di accesso alla conoscenza. La luce emerge all’artista nella sua funzione bivalente e lacerante di dono generoso e di dolorosa sottrazione, gettato costante dell’essere, fra definizione e indefinito, per la provocazione al movimento e al desiderio dell’oltre di sé, nell’altro.
Le sinestesie liquide e tattili della fotografia del Limiti sospingono, dalle sospensioni extratemporali dell’ontogenesi, nell’imbibizione al grembo materno, sino all’immemoriale collettivo delle fasi cosmiche dell’aggregazione dell’energia in materia. La domanda di sé, di un essere in fieri, è in ogni singolo istante accorsa da una risposta di rispecchiamento: le modulazioni materne del tono muscolare arrivano in carezze, in onde di pressione amniotica, prime ancestrali note, risuonanti i movimenti del gesto emotivo. L’artista raccoglie la primigenia propriocezione alle impressioni sulla pelle: macchie e scie lanciate in un chiaroscuro di luci, tensioni e distensioni del tono muscolare, ove l’essere null’altro chiede all’ambiente che la risposta infinita di sé.
Le cosmogonie fotografiche del Limiti sono pregnanti domande aperte sulla materia del mondo, fra luce ed ombra. L’artista condensa una profonda voglia di meravigliare e meravigliarsi, di vedere oltre, pur restando lo sguardo aggrappato all’immanenza materica e sensoriale, a cercare il paradigma, che sconvolge la visione cieca dell’abitudine e desta un nuovo principio di sé e delle cose.
L’apertura del diaframma, la lunghezza dell’esposizione, la ricerca della trasparenza, la riflessione della luce e la messa a fuoco della qualità materica sono i gesti franchi dell’artista, che non accetta le menzogne della postproduzione. Il Limiti indaga la soglia della verità, in modo tutto umano, fra una puntuale concretezza e un naturale astrattismo, quale momento secondo e trascendentale nel movimento ciclico di un’etica della visione, che fra ombra e luce, fra l’inconscia perfezione della sfera e l’affilata e dolorosa coscienza della lama, distilla il senso, nel morbido effetto di luce. La configurazione archetipica segue la dinamica del desiderio, dal concentrico profondo all’evasione sconfinante dell’immaginazione, ove l’ontogenesi è indissolubilmente legata alla nascita del cosmo: il segreto dell’infinitesimale, liberato dall’artista, attraverso la sinestesia tattile dei sensi, diventa infinito.
La provocazione delle paradossali configurazioni microplanetarie del Limiti si rivolge al fruitore, in tutta coscienza che l’usbergo della verità è la sua gadameriana storicizzazione: il gesto di accoglienza intima nell’opera del movimento della visione dell’altro. L’artista offre un presente fuori del tempo, che sia contemporaneo ad ogni presente, perché l’uomo superi la referenza letterale e liberi la potenza della referenza seconda, che dice il legame ontologico del nostro essere al tutto. L’arte del Limiti è decontestualizzazione all’occhio della materia, per una nuova e libera trasmutazione in forma, per la richiesta di una contestualizzazione rifigurativa: per il lancio di un nuovo gioco personale e universale della verità.
Il microcosmo dell’impressione fotografica del Limiti raccoglie e armonizza molteplici luoghi, tempi e intensità, intersecando stabilità e movimento, essere e divenire. La sensibilità dell’artista disvela la natura oscillante del vivente, pendolo fra assenza che rimanda e presenza musicale dell’immemoriale e irriflesso luogo di origine, supporto dell’esistere in movimento. La vita eterna accade in figure ripetute, divenienti e progressive dell’apparire, in variazioni infinite. L’evento della ripetizione è ritmo, ritorno dell’uno nel due, istante sempre secondo a ripetere l’essere, ordinando, fra retroflessione e anteflessione delle forme prospettiche. Il presente è segno d’attesa, kìnesis di un eterno ritorno, mai compiuto, a cullare un luogo che li contenga tutti, ove nulla, seppure in figura sempre altra a se stesso, possa davvero essere smarrito.
La fotografia verace e sperimentale del Limiti esprime lo sforzo e il desiderio archetipico dell’uomo di unire, di legare, di raccogliere, pur non possedendo che una successione di punti, d’istanti, d’inizi isolati e delusi: il pugno chiuso è il segno che racchiude cavati frammenti di forme coscienti. È la lotta impari contro la continuità del supporto materiale della vita, l’invisibile che orla sempre la visibilità dicibile. Ogni gesto è segno di un desiderio, ad esibire il vuoto della mancanza del mondo, entro un’inequabile complementarità. Il compimento è sempre insoluto ed eccentrico al gesto, che nulla afferra se non un pugno di significato a vanire.
Il simbolismo fotografico del Limiti rimanda alla malinconia della fugacità effimera, alla floreale fragilità caduca della vita, che si esprime in un unico giro di danza, un ciclo diurno di rotazione, finché i segni esistenziali non vengono cancellati dall’ombra notturna, dall’onda ineluttabile ed equorea dell’inconscio, che risucchia indietro all’informe, come uroboro mordace, al grembo comune e universale, per altra riva breve di coscienza”. (Critico d’Arte prof.ssa Fulvia Minetti).