“Amazònia. La mano dello Xsei” di Gianvito Cirami: una prosa densa sullo sfondo di un futuro cibernetico
"Voi due siete figli di Amazònia? Era così che il programma di colonizzazione chiamava i nati dall'ingegnerie genetica. Colpevoli, nati in provetta".
Safe Harbor, la città dove il destino di ognuno è già scritto nei geni. Un pistolero telepatico che non si prende la colpa dei propri errori, una ninja mutante che conosce solo il dovere, un simbionte gentile che deve, ma non può, fare a meno della sua IA, divenuta senziente e pericolosa, non hanno nulla in comune se non il trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lando, Nue, Temu e HPY finiranno loro malgrado in una cospirazione più grande di loro, tra gli intrighi del Magìster Lisboa, che vuole mantenere la tecnocrazia utopistica della GeneSys Corp, piena di contraddizioni, per non ripetere a Safe Harbor gli errori che hanno condannato Vecchia Terra al crollo mille anni prima, e i misteri dell’antica civiltà scomparsa di Amazonia, gli Xsei, che solo Raiki, una ragazzina unica, potrà risolvere. Anche a centinaia di anni luce e molti geni di distanza, quello a cui ciascuno anela è scegliersi il proprio destino.
Amazònia: La mano dello Xsei è ispirato al futuro immaginato da Dick e Gibson, con un immaginario pulp a tinte noir e molte questioni morali grigie difficili da risolvere. I protagonisti dovranno fare i conti con una cospirazione più grande di loro, innescata dalla scoperta di una civiltà aliena che padroneggiava i segreti dell’anima, mentre faranno i conti con i loro demoni interiori e il loro passato.
Il romanzo di Gianvito colpisce per l’arte narrativa che lo contraddistingue, le creative e appassionanti descrizioni fantascientifiche che denotano la vivacissima mente e brillante immaginazione dello scrittore; una prosa scorrevole e densa che sa convincere il lettore trascinandolo nelle vicende dei “ribelli” che animano l’affascinante e controverso mondo di Amazònia. Una storia da leggere tutta d’un fiato che induce il lettore a ragionare sulle tematiche sociali, politiche e umane sollevate dal libro, che sono spunti imprescindibili di riflessione per ripensare il tempo che viviamo e il futuro che ci attende.
Gianvito Cirami nasce a Varese nel 1984. Dopo un’infanzia in cui ha conosciuto i classici di Omero, va al Liceo Classico, dove diventa un gran lettore di fantasy e fantascienza. Finisce quasi per caso a fare il cuoco, suo mestiere attuale, e dopo molti anni da lettore, si cimenta nel romanzo di fantascienza cyberpunk Amazònia: La mano dello Xsei pubblicato nel 2022.
Oggi incontriamo lo scrittore per conoscere alcune curiosità sul suo libro.
Ciao Gianvito e grazie ancora per essere qui con noi. Ti va di raccontarci come è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
“È nata durante il lockdown, quando ho avuto tempo di riprendere un po’ in mano la mia vita e di seguire le mie passioni. Era un periodo in cui seguivo molta divulgazione scientifica, tra cui l’astrofisica, con Adrian Fartade, su youtube. È anche colpa sua se mi è venuta voglia di scrivere di un pianeta lontano (che effettivamente esiste), tutto da inventare e popolare. Ho avuto anche il tempo di giocare Cyberpunk 2077, che mi ha messo nella giusta atmosfera per il substrato cyberpunk”.
Come ti sei appassionato alla fantascienza?
“Le mie letture adolescenziali sono state molto sul fantasy, più o meno classico. La fantascienza mi ha preso per vie traverse, quando ho deciso di leggere i romanzi da cui erano tratti molti capolavori cinematografici, come Blade Runner, Total Recall, Minority Report, Matrix e molti altri. Quindi P.K.Dick, Morgan, Matheson, Orwell, Gibson, Pullman e George Martin, che tutti associano al Trono di Spade, ma scrive fantascienza favolosa e geniale”.
Quanto tempo ha richiesto la stesura del romanzo e quali difficoltà ha comportato, considerando l’impegno che richiede questo genere letterario intrecciato alle tematiche sociali, politiche e umane che animano la tua storia?
“Circa un anno e mezzo. È stato uno sviluppo un po’ travagliato, perché inizialmente il romanzo non era concepito sotto forma di capitoli con punti di vista diversi, quindi la seconda stesura è stata una riscrittura abbastanza integrale. Inoltre, procedendo nella scrittura, si sono aggiunti tantissimi elementi su cui ho dovuto documentarmi strada facendo.
Quasi tutto quello che c’è in Amazònia è plausibile o futuribile e si basa su ricerche reali, molte vicende e personaggi hanno basi reali, trasportate in quel mondo fantascientifico”.
Cosa ha contribuito a alimentare la tua fantasia nell’ideare le ambientazioni, i protagonisti e tutti i dettagli del mondo di Amazonia?
“Di sicuro un certo immaginario che amo nella narrazione in generale, dal pulp di tarantino, al noir di Altered Carbon e delle opere Cyberpunk, che mischiano molti elementi occidentali e orientali, citando molti classici. L’avventura in stile Indiana Jones. Inoltre mi sembrava molto interessante il tema dell’esplorazione spaziale, in un periodo in cui le problematiche di sostenibilità della vita sulla terra sono molto discusse. Sul tema delle intelligenze artificiali sembra che sia arrivato col tempismo perfetto.
Un altro tema caro, presente anche in altered carbon, è il trasferimento di coscienza. Ho cercato di trattarlo avvicinando la scienza alla spiritualità, dato che non penso che passare meri dati da un cervello a un’entità digitale sia immortalità, ma semmai un clone che crede di essere risorto. Ho cercato di immaginare un’alternativa”.
Tra i tanti pregi della tua narrazione c’è la grande varietà di personaggi: quale pensi sia il più amato dai lettori e perché?
“Il protagonista designato era Lando, che ha un rapporto particolare col destino, a cui dà la colpa dei propri errori.
Ma in molti mi hanno detto di preferire Jason, per l’arco di trasformazione completo e Temu per le sue distonie e fragilità. Anche Lisboa è stato apprezzato come cattivo molto grigio, credibile e con motivazioni non sempre negative”.
Molti sono i temi trattati e in particolare quello che riguarda la tecnocrazia. Cosa ne pensi e quale idea emerge dal libro?
“Anche qui ho pescato dal vissuto. Ho di fronte agli occhi gli esempi di Italia (che tutti conosciamo) e Svizzera, dipinta molto spesso come un’utopia dove tutto funziona. In realtà ha dei sistemi ferrei sotto molti punti di vista, si viene instradati sul mondo del lavoro molto giovani e gli ammortizzatori sociali sono enormi rispetto ai nostri, ma le cose non funzionano comunque. I giovani si sentono spesso costretti a scegliere strade su cui hanno molti dubbi, troppo presto, e a volte, frustrati, finiscono nel limbo di chi si fa sostentare dallo stato o nel mondo della droga. Inoltre questi ammortizzatori sociali sono estremamente costosi, come le assicurazioni sanitarie, e chi non ha introiti più che buoni è in difficoltà. Ho cercato di rappresentare i due estremi in Safe Harbor e Angel City, per dire che forse, come in tutto, la verità è nel mezzo. Non credo che sarà la politica, oggi troppo spesso ridotta a colori e mero tifo, a salvarci, quanto piuttosto strutture solide e persone valide ed empatiche, a partire da noi stessi”.
Hai mai pensato a un adattamento cinematografico? Se potessi affidare il ruolo per recitare nei panni di Lando e Nue quali attori sceglieresti?
“La domanda mi fa sorridere, perché praticamente tutti mi hanno detto che ne verrebbe fuori un’ottima serie TV. Inoltre ho creato quasi tutti i personaggi con in mente un attore di riferimento, quindi potrei citare il cast completo, che sarebbe un po’ fuori budget. Lando è il Tom Hardy di Lawless e Nue è la Rooney Mara punk di Uomini che odiano le donne, solo più muscolare”.
Quale messaggio hai voluto trasmettere ai lettori?
“Forse quello di fondo è che non sempre bisogna lottare alla morte col destino o col caso per raggiungere i nostri scopi, ma solo fare del nostro meglio e vedere dove ci porta. A volte in posti meravigliosi e inaspettati. Quello che la vita è una, e non ha senso passarla incolpandoci degli errori del passato, quando possiamo fare qualcosa per il futuro. Quello che la libertà è meravigliosa e fondamentale, ma è anche un’arma pericolosa: finisce dove inizia quella degli altri. Che la verità spesso sta nel mezzo e che non importa avere ragione”.
A chi consigli il tuo libro?
“A tutti gli amanti della fantascienza e delle nuove tecnologia. A chi piace un mondo molto sviluppato con una trama su cui fare scommesse e personaggi che hanno le loro motivazioni personali. A chi ha amato tutti gli autori citati sopra, da cui ho preso ispirazione con amore e rispetto”.
La storia avrà un seguito o hai altri progetti letterari?
“La storia è progettata su una trilogia, di cui sto già scrivendo il secondo capitolo: Discordia. Chiuderà molte questioni rimaste aperte in Amazònia, dal finale apertissimo, e metterà molta carne sul fuoco, tra alieni multidimensionali, scambi di corpi e IA fuori controllo”.