Arsoli – Dietro ogni comunità c’è una sua storia, una sua cultura, una particolare tradizione. L’origine di Arsoli risulta essere molto remota, in quanto risulta che il territorio ebbe ad appartenere anche agli Equi. Per la sua collocazione geografica di transito verso il vicino versante abruzzese, la zona fu interessata da orde barbariche di diversa provenienza.
Nell’alta Valle dell’Aniene approdarono poi i seguaci di San Benedetto che ad Arsoli edificò uno dei suoi tredici monasteri, quello di Sant’Andrea. I monaci, oltre che bonificare la valle vi promossero quell’incastellamento che ci riconduce a notizie datate come l’Atto di nascita di Arsoli come comunità che può essere considerato il documento numero 13 ossia il General Privilegio di Papa Gregorio V del 28 giugno 997, pubblicato su Regesto sublacense del secolo XI.
Il borgo di Arsoli assunse il nome dal colle sulle cui pendici si adagia l’abitato, MONS QUI VOCATUR SAXA SEU ARSULA, monte che si chiama sasso o arsula, rupe o roccia a strapiombo, definizione che si trova in altri documenti del già citato Regesto. Dai monaci il feudo passò nel XIII secolo ai Passamonti, la famiglia che ebbe tra i suoi membri il capitano di ventura Amico d’Arsoli.
Questi nel 1536, dopo lotte intestine all’interno della famiglia, cedettero il paese agli Zambeccari, nobili bolognesi che solo dopo qualche anno, dopo aver restaurato il castello nel 1555 già devastato da truppe straniere di passaggio, se ne disfecero sia per le condizioni precarie che per i contrasti con la popolazione. E’ nel 1574 che a questi subentrarono i Massimo che lo detengono tutt’oggi.
Fabrizio Massimo, che aveva acquistato il feudo su consiglio di San Filippo Neri, suo amico e confessore, provvide immediatamente all’ampliamento del castello, al restauro delle chiese e del paese e alla realizzazione nel 1591, con il concorso della popolazione, dell’acquedotto di Fonte Petricca.
Questo illuminato signore diede al paese nel 1584 uno Statuto compilato dal giureconsulto Luca Peto assistito da un rappresentante eletto democraticamente dalla comunità.
Vennero poi momenti tristi per gli arsolani che subirono le scorribande del brigante Marco Sciarra nel 1591 e la terribile peste che nel 1656, in soli tre mesi, ridusse gli abitanti da novecento a centoquarantacinque.
I Massimo adottarono allora una serie di provvedimenti per il ripopolamento; furono aperta una concia per le pelli, una fabbrica di materiali in argilla, una fabbrica di tessuti, un frantoio, una mola per la macinazione dei cereali, fu istituito il mercato settimanale del venerdì e, nel castello, una farmacia e un teatro.
Un documento datato 1668 reca la prima versione dello stemma del Comune, uno scudo tondo con al centro l’araba fenice sul rogo e la scritta Comunitas terrae arsolarum che, viste le alterne vicende di continue disgrazie e rinascite fu poi sostituita con quella ancora attuale Posta fata resurgo.
La presenza della Famiglia Massimo, ascesa prima al titolo di marchese e poi a quello di principe, ed il rifiorire del paese, diedero il via ad una serie di visite illustri: Giacomo III d’Inghilterra nel 1773, papa Gregorio XVI nel 1834, Giuseppe Garibaldi nell’aprile del 1849 e, in tempi più recenti, Luigi Pirandello, Benito Mussolini ed il principe ereditario Umberto di Savoia.
Con lo scorrere dei secoli il tessuto urbano si è consolidato, assumendo una certa rilevanza intorno alla rocca e, nonostante il tempo trascorso, ha mantenuto pressochè intatte tutte le sue caratteristiche che gli avvalsero, proprio da parte di Pirandello, l’appellativo di “piccola Parigi”.
Il nucleo storico medievale è uno scrigno pieno di tesori tutti da scoprire e, allora, iniziamo il nostro viaggio.
Gli Statuti della Comunità di Arsoli del 1584
Fabrizio Massimo, oltre a tante iniziative intraprese per risollevare il paese, decise di dare alla comunità uno Statuto, o meglio “li Statuti”.
L’incarico di redigere l’importante documento venne affidato al valente giureconsulto romano Luca Peto che nel corso della sua fervente attività ricoprì cariche amministrative e distinguendosi in campo giuridico dedicandosi per diversi anni alla revisione degli Statuta Urbis.
Nel delicato lavoro, all’uomo di legge si affiancò l’arsolano Carlo Belli delegato dalla comunità nell’assemblea tenutasi nel 1579 presso la chiesa di San Lorenzo.
Questo fatto testimonia come l’illuminato feudatario non volle imporre un proprio Statuto com’era d’uso a quei tempi, ma chiamò lo stesso popolo a collaborare alla sua stesura anche se si può supporre che questo sia stato il frutto di una revisione “concordata” delle leggi di derivazione romana o longobarda già operanti
Da studi e confronti di quest’opera con altre di feudi vicini è emerso che quello di Arsoli è andato oltre i contenuti tipici degli statuti rurali che si limitavano a normare la vita agraria e il diritto civile, ma a regolare tutti gli aspetti della convivenza.
Già dalle invocazioni di carattere religioso delle pagine introduttive si evince che questo “codice”, permeato dall’impostazione morale dei problemi giuridici, risente della Controriforma.
Lo Statuto fu pubblicato il 28 giugno 1584 con atto del notaio Benedetto De Amicis, naturalmente con il consenso del Signore e dei Massari che lo avevano già sottoscritto l’8 dello stesso mese.
Esso si articola in tre Libri, il primo riporta in quarantadue capitoli (articoli) norme di carattere generale, di diritto pubblico, procedura civile e norme sui mestieri, pesi e misure; il secondo titolato “Delli statuti criminali” fissa le norme penali in quarantacinque capitoli; il terzo “Delli danni dati” quelle di polizia amministrativa in ventisette capitoli.
Considerando l’epoca si può ben dire che lo Statuto di Arsoli presentava elementi di modernità quali la trattazione dei reati di adulterio e stupro della donna e l’introduzione di pene severissime per i reati più gravi intese come deterrenti.
La copia tratta dall’originale nel 1606 a cura di Giovanni Pistoniense è attualmente conservata presso l’Archivio di Stato di Roma. (Fonte: Pro Loco Arsoli)