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Caso Aciam, Bianchini e Cda replicano al sindaco di Carsoli

Avezzano. Non si placano le polemiche in merito al salvataggio di Aciam. Dopo il sì dell’Unione dei Comuni alla delibera “Salva – Aciam” con la quale si potrà intraprendere la strada della modifica dello statuto per poter assicurare un futuro certo all’azienda partecipata che si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti in diversi comuni del territorio, è continuato il botta e risposta tra i vertici della società e il Comune di Carsoli.

Il presidente del consiglio d’amministrazione, Maurizio Bianchini, e i membri del cda Alberto Torelli, Umberto Di Carlo, Paola Ciciarelli e Federica Di Renzo, hanno risposto alla nota inviata dal sindaco Velia Nazzarro, ribadendo l’importanza di salvare l’azienda.

 

Sempre dal punto di vista prettamente fattuale, richiamando alla memoria le precedenti note del sindaco di Carsoli, è difficile non scorgere un moto piuttosto ondivago e confuso, si è passati da afflati anacronistici (proprio alla luce del TUSPP) che puntavano a una “nazionalizzazione” di Aciam, mediante la cacciata del Socio privato (cui non può essere lasciata la Società), alla totale privatizzazione, mediante “vendita in blocco” delle azioni detenute dagli Enti; gli scriventi ritengono che questo cambio di rotta sia tipico della dialettica politica che si rifugge totalmente (d’altronde non ci compete), occorrono soluzioni concrete ed efficaci che, a scanso di equivoci, sono state già tracciate.

 

 

In primo luogo, nel merito, il C.d.A. non ha affatto mutato il proprio orientamento, né ha rinnegato l’iter di cui al parere reso dall’Avv. Antonio Della Pietra, sempre attuale, e al piano di risanamento validato dal Tribunale di Avezzano; la situazione economica aggiornata ha permesso di appurare perdite d’esercizio superiori a 1/3 del capitale sociale (art. 2446 c.c.), in luogo di perdite tali da determinare la sua riduzione al di sotto del minimo legale (art. 2447 c.c.), questa circostanza va letta alla luce degli indici di crisi d’impresa che hanno sospinto la Società ad accedere alla procedura di composizione negoziata al fine di perseguire, attraverso l’attuazione del piano di risanamento, la continuità d’impresa

Il cda, seguendo l’iter tracciato ormai illo tempore, non intende affatto procedere a un “aumento diretto” del capitale sociale, d’altronde il Sindaco dovrebbe sapere che trattasi di procedura non ammessa, viceversa, e come già ribadito, il percorso prevede (appunto) la previa riduzione del capitale sociale e la sua progressiva ricostituzione/aumento.

Sempre sul punto e conclusivamente, è dato esperienziale che una società per operare deve essere munita di capitale e risorse finanziarie (si rammenta che ciò è funzionale a evitare lo stato d’insolvenza, essendo necessario a “[…] soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” art. 1 L.F.) ed è notorio che i finanziamenti erogati in una fase in cui v’è un significativo squilibrio tra patrimonio netto e indebitamento (com’è questa) sono postergati alla soddisfazione degli altri creditori (art. 2467 c.c.); la disposizione da ultimo citata ha una funzione coercitiva e al contempo sanzionatoria ed è volta a imporre il ricorso (in questi casi) a una ricapitalizzazione della Società (capitale di rischio) in luogo di un finanziamento, ciò al fine di evitare di trasferire ingiustamente il rischio di impresa sui creditori sociali; pertanto, non essendo possibile erogare finanziamenti, si deve procedere a ricostituire il capitale sociale.

In secondo luogo, nel merito e con preciso riguardo alla possibile dismissione delle quote da parte degli Enti, non è compito del cda quello di individuare quali partecipazioni degli Enti soci siano in grado di rispettare il duplice requisito del vincolo di scopo e del vincolo di attività (art. 4 TUSPP), pare comunque che lo stesso sindaco di Carsoli abbia preso atto della circostanza che in difetto di tali requisiti è arduo legittimare la determinazione ora a permanere nella Società, ora a sottoscrivere la ricostituzione/aumento di capitale; in questo senso, diviene poi ovvio, per (quasi) chiunque, che la modifica statutaria rappresenta un viatico inevitabile, poiché (trattasi di questione logica e aritmetica) è già dato certo che molteplici Enti non sottoscriveranno la ricostituzione/aumento di capitale (per le ragioni note e come già deliberato), dunque, non essendovi altri Enti in grado di acquisire (mediante sottoscrizione delle quote inoptate) le partecipazioni di quanti Enti decideranno di non sottoscrivere la ricostituzione/aumento (l’acquisto di quote è subordinato alla ricorrenza del vincolo di scopo e di attività) (artt. 4 e 8 TUSPP), l’unica possibilità di dare attuazione al piano di risanamento è quella di eliminare la distinzione vincolata tra quote (A-B) al fine di rendere possibile (i) il collocamento sul mercato delle quote detenute dagli Enti che intendono dismetterle, garantendo il loro maggiore apprezzamento (diventerebbero vendibili anche a privati) e la (ii) sottoscrizione della ricostituzione/aumento di capitale da parte del Socio privato (non soggetto ai vincoli del TUSPP) in misura superiore alle quote oggi detenute, al fine raggiungere “le soglie” di cui al piano di risanamento, anche per quella parte di quote rimaste inoptate in ragione della mancata sottoscrizione da parte degli Enti.

In terzo luogo, nel merito, un altro errore marchiano presente nella nota che qui si riscontra, è quello secondo cui in ipotesi di mancata sottoscrizione della ricostituzione/aumento di capitale gli Enti dovrebbero “pagare il diritto di recesso”, trattasi di aberrazione giuridica.

 

In prima istanza preme osservare che il recesso del Socio pubblico da una società partecipata non è disciplinato dal TUSPP, dunque si deve avere riguardo allo Statuto e al Codice Civile (art. 2437 c.c.), laddove vengono enumerati i casi in cui è consentito esercitare il diritto di recesso; in seconda istanza, il Socio recedente non deve pagare un corrispettivo per il recesso, avendo viceversa diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso (“Il socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso”) (art. 2437ter c.c.) (quindi, al di là del motto propagandistico, il Comune di Carsoli potrebbe incassare, ma di certo non dovrebbe “spendere” per recedere).

Infine, nella nota del sindaco del Comune di Carsoli, il cda viene ripetutamente epitetato come “dormiente” e “inconsapevole”, tali affermazioni non solo sono false, tanto da trovare smentita nel provvedimento reso dal Tribunale di Avezzano (“Oltretutto, proprio l’assenza di iniziative esecutive o liquidatorie in essere è elemento da valorizzare ai fini della valutazione del Tribunale ed è anche elemento determinate ai fini del riconoscimento di una condotta dell’impresa debitrice improntata ai principi di correttezza e buona fede, nonché coerente con i principi sanciti dal Codice della Crisi, con particolare riferimento all’obbligo di segnalazione tempestiva del verificarsi di condizioni di squilibrio e all’obbligo di assumere senza indugio le iniziative necessarie per far fronte alla situazione”), ma essendo anche idonee a ledere la dignità e la reputazione dei destinatari meritano ferma censura; si anticipa sin da ora che verranno sottoposte al vaglio della competente Procura della Repubblica. Tanto si doveva”.