Cervara di Roma – L’idea di scultura, più che di architettura, è il DNA di Cervara. Già Rafael Alberti, che qui è passato, l’ha definita “scultura nel cielo”.
Questo innanzitutto per la posizione: Cervara è una delle vedette della Valle – l’altra con cui compete è Saracinesco – un costone dei Monti Simbruini che a un certo punto dimentica la roccia e si declina in case strettissime, monolitiche, coese.
Poi per la dialettica tra oggetto e sfondo: siamo sopra i mille metri, che è quasi una soglia cromatica: una volta superata, le foreste si fanno compatte, non si vedono più fessure (come per le case) e il manto scuro serve a distinguere ciò che è Cervara da ciò che non è Cervara.
Letta così anche la Passacaglia che Morricone ha composto per questo paese sembra la geometria, il flusso, che si trova una volta superato l’ultimo limite. Letta così possiamo pensare che gli artisti che nell’Ottocento decisero di scolpire uomini, piante, bestie sulla Scalinata e per il paese avessero in testa, inconsciamente, uno stato di tensione. Di qualcosa che è ancora pietra ma si plasma verso la figura. Di Cervara spinta al punto “che al cielo volerebbe / se l’aria la sostenesse”, come ha scritto, ancora, Alberti.