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Cultura e fede a Roma: la Chiesa di San Gioacchino in Prati

ROMA – Bellissimo scrigno di indicibile bellezza, affidata, già dal 1898, alla custodia dei Padri Redentoristi la Chiesa di  San Gioacchino in Prati è un luogo di culto intriso di fede e di cultura. Porta con sè una storia a dir poco affascinante:

Quando, nel 1878, con la costruzione del ponte di Ripetta il quartiere Prati cominciò a popolarsi, furono costruite ben tre chiese, una delle quali, in omaggio a papa Leone XIII (Gioacchino Pecci), e per questo  fu dedicata a San Gioacchino.

La chiesa fu offerta in dono al Papa  da numerosi paesi del mondo, tra cui 14 spiccano per il loro contributo: Argentina, Irlanda, Olanda, Belgio, Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti, Inghilterra, Canada, Polonia, Baviera, Portogallo e Brasile. Ognuno di questi paesi appena citati ha, lungo le navate laterali, la propria cappella nazionale. Già dalla facciata della chiesa si comprende il motivo che ne guida la realizzazione: l’adorazione eucaristica riparatrice del mondo cattolico. Quest’ultima, fortemente voluta dal papa Leone XIII, trova in questa chiesa il suo luogo prediletto in Roma. Infatti, l’attico lungo la trabeazione, realizzato dalla Società Musiva Veneziana, rappresenta l’adorazione eucaristica dinanzi alla quale cinque donne rappresentano i cinque continenti. Il mosaico è affiancato da quattro statue di santi particolarmente eucaristici, realizzate sempre dalla Società Musiva Veneziana nel 1939: Sant’Alfonso Maria de Liguori, Santa Giuliana di Liegi, San Tommaso d’Aquino e Santa Chiara d’Assisi.

Salendo ancora con lo sguardo, ci si imbatte nella mirabile statua di San Gioacchino con la Beata Vergine Maria, dietro alla quale spicca il sontuoso timpano musivo, dove due angeli in ginocchio adorano il Santissimo Sacramento. Infine, la maestosa cupola stellata è ancor una volta coronata da un ostensorio per ribadire nuovamente l’identità di questo luogo volto all’adorazione eucaristica delle nazioni cattoliche.

Passando il bellissimo atrio sorretto da sei colonne di ordine corinzio, già si comincia a constatare la straordinaria cooperazione tra le varie nazioni per la realizzazione di tale impresa. I basamenti in granito rosso di Baveno, le pareti ricoperte dal marmo scuro dei Pirenei, il pavimento realizzato con il marmo proveniente dall’Aquila, le porte realizzate in cedro del Libano, le colonne fiancheggianti la porta centrale in marmo rosa provenienti dalla Russia. Come detto, un dono dei figli al papa e alla Chiesa.

Una volta varcata la porta d’ingresso, la magnificenza della chiesa viene incontro con tutta la sua potenza. Le numerosissime decorazioni parietali in marmo, mosaico, affreschi, ceselli catturano l’attenzione. Il presbiterio è coronato dall’incantevole cupola che mostra all’interno il proprio cielo stellato cosparso di stelle su sfondo turchino.

Il cuore però decisivo della decorazione di questa chiesa è l’altare in marmo rosso dei Pirenei che presenta al centro una croce e gli stemmi di Leone XIII in metallo dorato. Accanto al prezioso tabernacolo a forma di tempietto sono disposti venti tondi di malachite verde che contribuiscono a dare lustro all’altare. Dietro ad esso, la scalinata in marmo rosso di Levante conduce al luogo dove si trova il trono per le solenni celebrazioni eucaristiche, donato dalla Francia e composto da quattro grandi angeli bianchi, due con dei candelieri in mano e altri due in ginocchio che tengono in mano una banda con la scritta: “Cuore Eucaristico di Gesù, abbi pietà di noi”. La decorazione parietale dell’abside è uno stupendo affresco realizzato da V. Monti, nel quale Gesù in trono offre il calice e l’ostia all’adorazione.

Tutto in questa chiesa ruota intorno all’importanza dell’adorazione eucaristia, all’incontro con quel cuore palpitante che aspetta gli uomini di tutto il mondo per donargli il suo amore. Amore questo che ogni fedele è chiamato a riversare sul prossimo. E questa chiesa è testimone anche di un fatto di notevole valore. Durante la Seconda Guerra Mondiale, dal novembre del 1943 al giugno del 1944, quando già era stato ordinato ai militari tedeschi di fare irruzione nei monasteri e nei conventi in cerca di ebrei o di dissidenti, il parroco della chiesa di San Gioacchino, don Antonio Dressino, coadiuvato da Suor Margherita Bernés, dall’ingegnere Pietro Lestini e dalla figlia di quest’ultimo, Giuliana, escogitò un metodo per salvare i loro fratelli. Questi furono murati vivi tra la volta a botte della chiesa e il tetto a 50 m da terra, e ricevevano i beni di prima necessità da un piccolo rosone, che con prudenza veniva aperto solamente la notte. Con l’aiuto di Dio le quindici persone lì presenti si salvarono. Tra questi vi erano anche tre ebrei. Tale notizia fece sì che il sacerdote, la suora, l’ingegnere e la giovane ragazza ricevessero da Israele il titolo di “Giusto tra le Nazioni”.

Possa questa bellissima parrocchia romana non smettere mai di essere quel trono di adorazione dove i fedeli unanimi implorano: “Cuore Eucaristico di Gesù, abbi pietà di noi”.