Roma – Pizzi raffinatissimi scorrono lungo la pelle, cammei e gemme colorate impreziosiscono il corpo, piccole curve barocche esaltano una bellezza femminile che non vuole stereotipi. Tatuaggi capaci di abbattere la banalità di certe immagini, di ribaltare i pregiudizi più radicati, di uscire da schemi sociali incrostati. E di entrare nella storia dell’arte. Troppo facile il paragone del corpo come tela da dipingere, assai più tortuosa la strada che Marco Manzo ha percorso per arrivare al cuore delle istituzioni culturali più importanti del mondo.
Romano, classe 1968, si definisce un visual artist operante sia nel campo del design che della scultura. In realtà, però, è il tatuatore che ha fatto il miracolo: convincere la Chiesa a riconoscere il tatuaggio come forma d’arte, liberandolo da quel divieto imposto dalle Scritture e mai superato. Lo ha fatto lui con una mostra ancora in corso a Santa Maria dei Miracoli, nel cuore della Capitale. “Mai avrei pensato che l’istituzione Chiesa, che ha sempre storicizzato, commissionato e conservato le opere dei grandi artisti, potesse accogliere il tatuaggio come forma d’arte. È come se si fosse chiuso un cerchio”, dice. Ci accoglie nel suo studio lungo la via Cassia. È qui che Manzo disegna, studia, incide la pelle delle sue clienti e anche il bronzo, perché “purtroppo il corpo non è immortale, e invece le sculture restano testimoni di un cambiamento. Lasciare dopo di sé un mondo diverso, è questa l’eternità artistica”.
Nel nuovo mondo di Marco Manzo dopo la Chiesa è arrivato anche il Metropolitan museum of art di New York, uno dei musei più importanti e visitati del mondo, dove lui è entrato con 66 opere donate al Met da un collezionista. Si tratta della serie ‘Lastre’, un’installazione già presentata alla Biennale di Venezia il cui concept è una similitudine tra il corpo umano e le opere architettoniche attraverso la sovrapposizione di radiografie e tatuaggi, come in una ideale mappatura genetica: le ossa costituiscono la struttura portante e il tatuaggio in negativo diviene la facciata. Le 66 lastre – tra cui quelle che ritraggono Asia Argento, tra le testimonial più celebri di Manzo – possono comporre miliardi di possibili combinazioni. “È un altro modo per proiettare la mia arte oltre me stesso”, racconta il maestro circondato dai suoi 75 premi vinti nel corso della sua carriera.
“Sono partito con uno studio di tatuaggi più di trent’anni fa ed era un’attività non riconosciuta, vista forse da alcune persone anche abbastanza male: si pensava che era qualcosa per delinquenti, marinai, alcuni ceti sociali non troppo compresi”. Capisce presto che serve una svolta, si guarda intorno e vede immagini che non gli corrispondono. Tatuaggi su corpi femminili standardizzati utili solo ad alimentare i soliti cliché. Con sua moglie si mette a studiare il mondo dei tessuti, dei gioielli, degli chandelier vittoriani. “Volevamo trovare uno stile dedicato e pensato per le donne”. Nasce così il suo tatuaggio ornamentale, capace di esaltare ogni corpo grazie a un gioco sapiente di chiari e scuri e di forme pensate su misura. “Come un vestito eterno”, racconta Manzo. E in effetti la moda entra presto in contatto con lui, che arriva nei musei romani Maxxi e Macro con opere definite ‘espressione d’arte contemporanea e alta moda’.
E poi le grandi case automobilistiche, come la Bmw, che chiede a Manzo di diventare il suo designer ufficiale. Lo spettacolo, con la creazione di ‘Back Music’, installazione monumentale che vede la partecipazione di Max Gazzè. E infine le istituzioni. Sono sempre di più quelle che cercano la sua collaborazione. Al Senato della Repubblica cura ‘I nuovi linguaggi dell’Arte contemporanea nel XXI secolo’, alla Biennale di Venezia interviene sia nella sezione Arte che in quella Architettura con la pubblicazione del suo ‘Manifesto del tatuaggio come forma d’arte’.
A sancire definitivamente l’ingresso delle sue opere nell’Olimpo della cultura sono il Metropolitan e soprattutto la Chiesa, capace quest’ultima di imprimere un cambiamento sociale ancora più incisivo. “Inimmaginabile per me, io stesso adesso mi sento più vicino al mondo ecclesiastico”, ammette Manzo. “Sono molto contento anche per tutte le persone tatuate, che in Italia sono il 50%. Non si può limitare una persona solo perché tatuata, eppure in alcuni concorsi ancora accade. Forse, chi discrimina non sa riconoscere una espressione artistica”. Perché ormai con Marco Manzo il mondo è cambiato. “E deve continuare a cambiare”.