Carsoli – Quando si tematizza l’argomento paesi (ad esempio in occasione di un evento da organizzare, di fondi da gestire, di un caso di cronaca e così via), l’argomento entra nel discorso tramite un paradigma quantitativo: più turismo, più importanza ai paesi, valorizzare, promuovere. O, al limite, se il discorso è detrattivo: pochi servizi, poche persone, poche occasioni. In entrambi i casi, si legge il tema secondo una logica del più e del meno.
Questo è uno dei punti che più si mettono a fuoco leggendo Infinito restare di Savino Monterisi, uscito per Radici Edizioni nel 2022. Il punto, cioè, del discorso e dell’effettivo spazio occupato in esso dal referente “paese” o da un suo pari (come “montagna” o “area interna”). Sono i referenti della vita ulteriore rispetto al canone dominante della città. Quando tali referenti vengono convocati nel discorso, vista la loro posizione minoritaria, è il canone (quantitativo) della città a dare loro un ruolo e un significato, con il risultato che le altre possibilità di intendere quei referenti, gli altri modi di raccontarli, gli altri modi di rintracciarli nella realtà, arretrano in una zona oscura. Monterisi lo dice per la montagna: «Nonostante l’importanza che trasmettono i numeri, le terre alte in Italia sono un gigantesco rimosso. Un vuoto che chi governa – ma anche chi fa opposizione – non ha idea di come riempire – se non con ormai inutili nuovi impianti sciistici, figli del modello estrattivista della montagna.» Numeri contro rimosso, estrattivismo contro esplorazione.
La montagna, nel libro, è il mondo più documentato, nonché il caso più esemplare di questo scontro tra gestione dello spazio e significato: l’imponenza fisica – cui solo può richiamarsi il modello estrattivista – di fronte all’oscurità di una vita fuori orbita, non esplorata perché esterna e forse incompatibile con il modello centrale (della città, del consumo, della produzione). Ma Infinito restare – impregnato fin dal titolo dalle prospettive “restanti” di Vito Teti – non si limita alla montagna. Dicevo del discorso. Monterisi è giornalista e guida escursionistica e lascia che nella scrittura entrino lo spirito esplorativo e la necessità di una lingua aderente all’esplorazione tipiche di quei mestieri. Per questo si affiancano reportage e auto-analisi, digressioni geo-antropologiche e discussione della cronaca: tutto si dirige verso la necessità di ripensare gli oggetti e i significati del discorso sui paesi, venendo meno allo stereotipo romantico, inglobando criticamente la modernità, rendendosi conto, insomma, che «tutto contribuisce alla creazione di un’immagine del territorio» e che «non esiste un atteggiamento neutrale, non ci si può sottrarre a questo meccanismo.»
Infatti, non esiste solo il discorso. Ci sono le condizioni materiali. Pure nella sua natura frammentaria, di raccolta di passaggi, Infinito restare mi sembra disegnare una prospettiva che coinvolge entrambe le lotte: da una parte quella narrativa, per un racconto auto-determinato, non produttivista, obliquo, amoralistico delle aree interne; dall’altra quella politica contro un «modello coloniale che vede scaricare al sud e ai margini le esternalità negative dello sviluppo economico». Scrivere e organizzarsi. Quando si parla di paesi spesso lo si fa a partire da qualcosa di già scritto, di già cristallizzato nello stereotipo, e da qualcosa di già deciso, a livello politico, come relitto o ricchezza da ricapitalizzare. Coniugare questi due antagonismi mi sembra un invito importante, e forse la sola possibilità per intendere i paesi come possibile spazio di sperimentazione politica e comunitaria.