Domenica delle Palme: la Pace sul sentiero delle spine
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.” — Vangelo secondo Matteo 5,9
Nel mezzo del caos, un ramo di speranza
Nel cuore di un mondo insanguinato, attraversato da 59 conflitti armati attivi – il numero più alto dalla fine della Seconda guerra mondiale – la Domenica delle Palme si staglia come un gesto profetico, disarmato e disarmante. Secondo il Peace Research Institute di Oslo (PRIO), questi conflitti coinvolgono 34 Paesi, con l’Africa, l’Asia e il Medio Oriente come epicentri di dolore e instabilità. Il Global Peace Index 2024 rivela inoltre che 92 nazioni vivono sotto l’ombra della violenza, diretta o indiretta.
Il dato è sconvolgente: la pace non è più la condizione naturale dell’umanità, ma un’eccezione fragile.
È in questo scenario che la Domenica delle Palme, spesso vista come una semplice anticamera della Settimana Santa, risuona oggi come una provocazione spirituale e civile. Un uomo disarmato, su un asino, entra in una città santa, acclamato da una folla che sogna un liberatore. Ma Gesù delude ogni aspettativa di dominio, di vendetta, di potere. Non è il re che impugna la spada, ma il servo che lava i piedi. Non è il capo di un esercito, ma il seme che cade e muore per dare frutto.
Un vangelo di pace nel tempo della guerra
Cosa può significare oggi agitare rami di palma, cantare “Osanna”, celebrare una liturgia carica di simboli, mentre nel mondo si combatte, si fugge, si muore?
Il messaggio è semplice e radicale: la palma è segno di pace, sì, ma anche di coraggio. È una dichiarazione. È l’adesione a un’altra logica: quella dell’amore, non del dominio; della fiducia, non del controllo; del perdono, non della vendetta.
La Domenica delle Palme ci chiede da che parte stiamo. Non solo spiritualmente, ma anche umanamente, socialmente, politicamente.
Un Re diverso
Gesù non entra a Gerusalemme come un vincitore, ma come un uomo consapevole del proprio destino. La sua forza è la mitezza, la sua arma è il cuore. È un re che piange su una città incapace di riconoscere “ciò che porta alla pace”. Quella lacrima di Cristo è ancora attuale. È il pianto su Kyiv, su Gaza, su Aleppo, su tutte le capitali delle guerre moderne.
In un tempo in cui la guerra è diventata normalità, la Domenica delle Palme ci dice che la pace non è un’illusione, ma una responsabilità. È una costruzione quotidiana, che parte dalle parole, dalle scelte, dagli stili di vita. Essere cristiani – o semplicemente esseri umani coscienti – oggi significa decidere di non essere spettatori ma costruttori, in famiglia, nel lavoro, nella politica, nella cultura.
Un tempo per scegliere
Non possiamo restare neutrali. Ogni indifferenza è una complicità. Ogni silenzio, una scelta. La Domenica delle Palme ci mette davanti a due folle: quella che grida “Osanna!” e quella che, pochi giorni dopo, urla “Crocifiggilo!”. E ci chiede: in quale delle due ci riconosciamo?
Essere “operatori di pace” in questo tempo non significa chiudere gli occhi di fronte al dolore, ma aprirli con più forza. Significa scegliere la verità, anche scomoda. Significa difendere i più deboli, anche quando conviene stare zitti. Significa disarmare il cuore, riconciliarsi, abbattere i muri, cercare l’incontro.
La Palma tra le Bombe
di Italo Nostromo
Nel tempo in cui il cielo fuma,
e i sogni marciscono sotto i droni,
un uomo cavalca un asino.
Silenzioso.
Nudo di armi.
Pieno di amore.
La folla sventola palme,
ignara della croce,
sperando in un re
che spezzi i nemici.
Ma lui spezza solo il pane.
Cinquantanove guerre urlano,
sulle colline dell’odio,
mentre bambini imparano
il suono delle sirene
prima ancora dell’alfabeto.
E noi, con la palma tra le mani,
abbiamo il coraggio
di restare umani?
O venderemo la pace
per un pugno di paura?
Cristo non entra da conquistatore,
ma da servo.
Non impone,
propone.
Non condanna,
abbraccia.
Nel mondo che sanguina,
lui ci affida un seme.
Non gridare vendetta.
Pianta giustizia.
Ama.
Perché la pace
non è il premio
di chi ha vinto,
ma il dono
di chi si è arreso
solo all’amore.
“Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono.”
— San Giovanni Paolo II