Editoriale. Le normative sulle modalità elettorali degli enti locali vanno e vengono. Da un consiglio comunale composto di ben diciassette persone si è passati a undici consiglieri. Poi di nuovo sono stati aumentati a tredici. Le giunte da sette componenti , sono passate a cinque. Ovviamente parliamo della fascia che interessa i Comuni con popolazione superiore a 5000 abitanti e fino a 15.000. E’ poi è obbligatorio conferire deleghe ambosessi. In effetti la legge non parla di quote rosa ma di parità tra i sessi. E quindi gia’ dalla scorsa legislatura quella che era in passato una discrezionalità divento’ un obbligo. Nel 2013 furono necessarie tre donne in lista, questa volta quattro. Ma è improprio parlare cosi’ in quanto se un gruppo di sole donne volesse presentare una lista sarebbero parimenti costrette ad inserire almeno 4 uomini. Insomma la legge favorisce l’integrazione e la parità tra i sessi. Ma grande novità introduttiva è stata la doppia preferenza. Si consente all’elettore di esprimere due preferenze della medesima lista purchè di sesso diverso. Ma non esiste di fatto un registro dove il voto espresso sia in qualche modo censito. L’elettore in un voto solo in pratica ne esprime addirittura tre. E questo meccanismo infernale ha messo fine al pezzo “da cento voti” che in passato dettava legge nelle varie liste.
Prima della doppia preferenza l’ingresso in consiglio per i consiglieri di maggioranza e di minoranza era dunque dettato unicamente dalle proprie capacità elettorali, ed eventuale capacità professionale per chi ne fosse stato provvisto. Ora con l’avvento di questa normativa, candidati sprovvisti di voti e di consenso possono diventare veri mostri elettorali in termini di risultato. A questo punto non serve piu’ nemmeno la capacità elettorale, ma solo quella di sapersi accoppiare bene con tutte. E Tutte con tutti. Ovviamente parliamo di accoppiamenti unicamente di sapore elettorale, ma in qualche comune della nostra bella Italia non saranno di certo mancate baruffe familiari.
Quindi al di la della lista che vince o che perde, entra chi piu’ si accoppia. Forse il legislatore deve aver confuso e non si è reso conto quanto questo meccanismo penalizzi le pubbliche amministrazioni. Ci vorrebbe il registro delle preferenze “secche” e di quelle “doppie” . Un dato trascurato ma che ha una valenza sostanziale sul ruolo politico di una persona. Es. se un candidato prende 200 voti, di cui 100 abbinati, significa che ha un potenziale di cento, e che comunque alla lista sempre cento voti ha portato.
Un candidato con 150 voti secchi, ossia individuali e senza doppia preferenza, significa che sono voti puri indirizzati alla persona e non ottenuti con lo scambio di coppia.
Questo sistema, se controllato e predisposto a dovere consente prima di tutto di riconoscere determinati voti in determinate zone, cosa che sarebbe vietata dal principio legislativo di tutela dell’elettore, e poi consente all’interno di determinati meccanismi di condizionare e di tenere fuori alcuni candidati, seppur portatori di voti , ma forse scomodi o meno graditi al meccanismo politico.
Dunque servono nuovi requisiti per chi ambisce ad entrare in consiglio; essere un piacione, o in assenza di beltà fisica, serve quella del saperci fare. Il fine giustifica i mezzi.
Dunque per finalità statistiche ci piacerebbe ricontrollare le schede elettorali e censire le preferenze secche con quelle abbinate. E non è escluso che tutto cio’ sia frutto di una inchiesta giornalistica resa solo per informare chi non ha potuto presenziare agli spogli elettorali nel cuor della notte.