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Francesco, fare poesia senza te sarà difficile

di Cesira Donatelli

Francesco caro, azzardo questa confidenza, perché tu ai nomi davi ascolto e li indagavi, così facesti con il mio, quando, quel 20 maggio del 2015 te lo resi noto. Me lo facesti ripetere più volte e sorridesti. Facesti bene a sorridere, la storia del mio nome non è proprio fra le più ordinarie. Avesti la premura di pormi domande e quando, fra le altre, riuscì a proferire la parola, scrittura, il tuo pollice destro segnò la mia fronte. In quell’istante non mi resi conto di cosa stava realmente accadendo e per cosa mi stavi realmente incoraggiando e benedicendo, arrancavo! Da quando eri comparso su quel piazzale, a togliermi il fiato era stata la tua veste bianca, in un istante diventasti realtà. Fra me e te non vi era né tempo, né latitudine. Tu in piedi, io seduta. Questo ci avevano raccomandato e, avevano fatto bene, le gambe non mi avrebbero retto. Piansi, quando veloce e leggiadro apparisti in lontananza. Mi trovò impreparata il tuo abbiglio, lui era troppo candido, troppo bello, troppo inaspettato. Non so come accadde, ma riuscì a ricompormi quando mi fosti dinnanzi, furono pochi minuti, tutti nostri, perché tu mi facesti sentire tutta la tua considerazione, sembrava fossi lì solo per me. Hai sempre avuto il dono dell’attenzione per il singolo, pur non abbandonando la moltitudine. I tuoi occhi e il tuo sorriso apparivano concepiti per me, d’un tratto tutti i presenti sul piazzale parvero appartenere a tempi e luoghi distanti, solo io e te a parlare come vicini di casa, come colleghi di lavoro, come Sua Santità con una donna del popolo, come solo Sua Santità Papa Francesco può accogliere e ascoltare una donna del popolo con il sogno della poesia.

Stamattina quando ho saputo che eri in viaggio per tornare al focolare del Padre, ho capito, per la prima volta, dopo tutti questi anni che, quegli occhi e quel sorriso erano versi di una lirica solenne e semplice al contempo.  Le ore successive al nostro incontro non le ricordo bene, rammento che dovetti acquistare un infradito perché non sopportavo più i tacchi e ricordo che camminai per chilometri intorno alle mura vaticane.

Il vero verseggiare di quel nostro inizio, l’ho compreso poco tempo fa, quando appresi da padre Antonio Spadaro del tuo libro -Viva la Poesia- e del tuo volere un titolo così semplice e così raro. L’acquisto, la lettura, l’interruzione della stessa sono eventi che si sono manifestati nella mia vita in giornate particolari, in momenti di gioia e di dolore simultaneamente vissuti. Adesso sulla mia scrivania vive con me e con i miei scritti il tuo libro dedicato alla poesia. Non chiedermi perché non ho completato la lettura, non possiedo una risposta, ma so per certo che tornerò a camminare e tornerò a scrivere con vigore smarrendomi e ritrovandomi fra le tue pagine. Inizialmente, per me, la poesia è stata tormento e liberazione, nasceva all’improvviso nei giorni peggiori, ma aveva la capacità di farsi gioia e pianto liberatorio al tramonto, quando il componimento volgeva al termine. Nel tempo l’ho eletta a commensale, a companatico da portare a tavola, da te ho appreso che è funzione sociale, fusione fra anime, azione di accoglienza, strumento di comprensione e racconto, voce dell’arte, sollievo dei popoli afflitti, compagna di ogni esistenza, mitigatrice del dolore, ancella alla gioia, edificatrice di crescita e figlia della vita collettiva. Io sono figlia di un uomo devoto, che si coricava con la preghiera nel cuore e sulle labbra. Udivo mio padre recitare le sue preghiere, alla sera, dalla mia stanza. Oggi, la fede nella mia vita ci arriva, ogni giorno, per un canale eccelso, profumato e unico, ne dovrei essere colma e convinta fermamente. Ho vissuto questi giorni di resurrezione con rispetto e sensibilità, eppure tu sei giunto a me, mi hai solcato e modellata attraverso la poesia. Quando tre anni fa coniai l’#poesiaovunque, ignoravo il tuo modo di concepire la poesia e il tuo modo di elevarla fra i comuni, fra i semplici, il tuo renderla atta a parlare di tutto e con chiunque. Chi, come me, scrive poesie dovrebbe conoscerne poteri e potenziale, per me non è stato così, forse perché presa dal comporre non ne ho mai analizzato, in maniera approfondita, il rilascio graduale, balsamico ed universale che possiede. Per questo ho dovuto attendere il tuo poetico magistero.

La fede, il credo possono giungere nelle esistenze dei singoli per canali differenti e in maniera non canonica, tu sei arrivato a me in versi, sei stato componimento robusto e giudizioso delle mie giornate, attraverso ciò che io possedevo dalla nascita, mi hai condotta a comprendere misteri nuovi, hai intimato alla mia fantasia di non poltrire, mi hai edotta al vero significato e valore del comporre.

Il coraggio, il creare, il condividere sono forme di fede che aprono alla fede stessa. Tu hai messo la poesia a servizio della fede e dei fedeli, in questo modo il poeta non può viaggiare troppo distante dalla fede e la fede non può viaggiare disinteressandosi della poesia. Una è madre e l’altra è figlia, si scoprono ogni giorno, si toccano, si parlano, si congiungono, partorendo forme di bellezza e gentilezza inaspettate, a cui tutti dobbiamo genuflettersi, seppur figli di fedi differenti, seppur non credenti.

Francesco, fare poesia senza te sarà difficile, far comprendere alla poesia che un uomo di Dio è stato e sarà il suo più grande artigiano di versi sarà facile, vitale e naturale. Dio esprime la sua grandezza attraverso le mani degli artigiani, dal loro ingegno fioriture rare. Fare poesia significa creare prima nel cuore e poi comporre in maniera manifesta bellezze eterne, poesia e botteghe compongono alla stessa maniera. Tu sarai il mio artigiano di poesia per l’eternità.

Viva la Poesia che duella senza mortai con la guerra e la vuole a comporre alla vita e non alla morte.

Grazie Francesco per avermi presentato la mia poesia che è figlia della tua volontà di poesia.

Cesira Donatelli