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Garante detenuti Lazio: “Ministero faccia luce sul parto al carcere di Rebibbia”

Nel corso dell'audizione alla IX Commissione della Regione Lazio, Stefano Anastasia definisce "molto discutibile" la permanenza in carcere della detenuta incinta che ha poi partorito il 31 agosto

ROMA – Si è svolta questa mattina l’audizione della IX Commissione della Regione Lazio, presieduta dalla consigliera Eleonora Mattia, per fare luce sul recente caso di cronaca di una donna di 23 anni che ha partorito nel carcere di Rebibbia. “La donna è entrata in istituto il 23 giugno in base a un’ordinanza del Tribunale di Roma, quarta sezione penale, di convalida dell’arresto – ha spiegato Alessia Rampazzi, Direttrice aggiunta presso la Casa Circondariale femminile Rebibbia di Roma – con la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Lo stato di gravidanza era a conoscenza dell’Autorità giudiziaria e nonostante ciò, per lei come per le altre – erano 4 donne – erano ravvisabili esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Quindi in base alla legge la donna ha fatto ingresso in Istituto dopo un passaggio obbligato al Pronto soccorso; nel certificato si dava atto che era alla 27esima settimana”.

La detenuta viene prima messa in una sezione ad hoc dove i nuovi entrati passano il periodo di isolamento sanitario come misura anti Covid per poi passare al reparto infermeria, sempre in isolamento per 14 giorni. “Il primo agosto è stata presentata dall’avvocato un’istanza di scarcerazione – ha continuato Rampazzi – Il Tribunale di Roma ci ha chiesto l’acquisizione di una relazione sanitaria urgente, richiesta datata il 7 agosto, e noi abbiamo trasmesso subito al dirigente sanitario per l’adempimento ed è stata inviata il 10 agosto. Il 18 agosto la detenuta viene portata in ospedale in via d’urgenza, successivamente alla visita e dopo qualche ora è stata dimessa” e ha fatto rientro in carcere.

La direttrice non ha altre comunicazioni da parte dell’autorità giudiziaria così la donna rimane in carcere per poi partorire il 31 agosto alle 1.30 di notte. “Tutto è stato molto veloce – ha concluso la direttrice – tutto è avvenuto nel giro di cinque minuti”. Dalla relazione degli agenti presenti emerge che una volta che la detenuta ha suonato il campanello, alle 1.30, in cella è accorsa un’infermiera che ha successivamente chiamato un medico. Quindi la donna non avrebbe partorito da sola nella cella con l’ausilio di una compagna, come scritto sui giornali, ma sarebbero stati presenti un medico e una infermiera. “Mentre il medico era al telefono con il 118 – ha concluso la direttrice – la donna ha partorito, erano le 1.35, quindi il tutto è avvenuto nel giro di cinque minuti”.

Stefano Anastasia, Garante Regione Lazio dei diritti delle persona private della libertà personale, ha sottolineato come “nello svolgimento dei fatti all’interno dell’Istituto di Rebibbia il personale penitenziario e quello sanitario abbiano fatto quello che erano in condizione di fare, in base alle disposizioni di legge, dei loro poteri e della loro organizzazione. Resta molto discutibile la presenza in carcere della signora che ha partorito e delle sue compagne di reato e di detenzione. Resta discutibile l’interpretazione data dei motivi di eccezionale rilevanza che possano superare il divieto espresso nei codici di procedura penale di custodia cautelare in carcere per le persone in stato di gravidanza.

Secondo punto è quello relativo alla valutazione della istanza di revoca o di attenuazione della misura cautelare presentata l’1 agosto” dall’avvocato della donna. “Nel tempo di una settimana – ha concluso Anastasia – il giudice chiede una relazione sanitaria, la direzione sanitaria fornisce le informazioni nel tempo di tre giorni e poi però non accade più nulla, questo è il problema. Probabilmente anche perché siamo dentro i turni di ferie nel mese di agosto e le attività del tribunale sono rallentate e selezionate per altri casi di urgenza, ma a mio modo di vedere tutto questo appare ingiustificabile. Spero che l’indagine disposta dal ministero della Giustizia possa approfondire questi aspetti perché mi pare che i problemi siano nella responsabilità giurisdizionale, nell’adozione del provvedimento di custodia cautelare e nel mancato esame di revoca del provvedimento fatta dal legale”, conclude il Garante. (www.dire.it)