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Il boss trasferito in segreto al carcere dell’Aquila in regime di 41bis

L’AQUILA – Dopo l’arresto di ieri del boss mafioso per eccellenza, dopo qualche ora di località segreta in elicottero, nella notte Messina è arrivato nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila. Si aggiunge ai 170 detenuti al 41 bis. Si tratta del più grande carcere di massima sicurezza italiano, gestito dal Gruppo Operativo mobile della Polizia penitenziaria. Gli spostamenti sono avvenuti nel più stretto riserbo. Le condizioni di salute del boss, seppur gravato da una patologia oncologica non sono particolarmente critiche ed allo stesso verranno garantite le cure per fronteggiare un tumore all’addome.

IL GOM – Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria

Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Falcone e Borsellino ed i loro uomini di scorta, la risposta dello Stato non si fece attendere. Infatti, con l’art. 19 del D.L. n. 306/92, convertito dalla legge n. 356/92, il Legislatore volle impedire che i cosiddetti “uomini d’onore” potessero ricreare nel carcere la loro subdola gerarchia che consentiva di affermare la loro supremazia criminale nel luogo di detenzione, consentendo di continuare ad impartire ordini ai sodali dell’organizzazione mafiosa che capeggiavano, mediante l’esercizio artificioso dei diritti che gli erano riconosciuti dall’Ordinamento Penitenziario. In attuazione del provvedimento Legislativo, il Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria, emanò l’ordine di servizio n. 610, del 6 luglio 1993 con cui istituiva un’apposita sezione all’interno della Segreteria Generale, deputata al coordinamento delle attività operative di Polizia Penitenziaria; denominata “Servizio Coordinamento Operativo Polizia Penitenziaria (S.C.O.P.P.)”. L’anzidetta struttura era alle dirette dipendenze dell’allora Colonnello del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia Enrico Ragosa ed era costituita da personale appartenente ai vari ruoli della Polizia Penitenziaria e di Ufficiali del disciolto Corpo.

 

Il citato Servizio di Coordinamento Operativo, agiva sia a livello centrale che a livello periferico, svolgendo:

  • gestione vigilanza e sicurezza della popolazione detenuta, nell’ambito di procedimenti penali di particolare delicatezza;
  • coordinamento e collegamento tra Autorità Giudiziarie e Amministrative, centrali e periferiche, in delicati procedimenti, in corso di svolgimento;
  • perquisizioni straordinarie negli Istituti penitenziari; riorganizzazione di strutture detentive;
  • specifiche deleghe di indagini conferite dall’Autorità Giudiziaria; individuazione delle caratteristiche di apposite strutture riservate per la contenzione dei collaboratori di giustizia, su incarico delle Autorità Giudiziarie, della Direzione generale Affari Penali del Dipartimento.

Con la rigorosa applicazione del regime detentivo, da norma dell’epoca, si produsse, come effetto consequenziale, l’abolizione della gran parte dei privilegi di cui i capi mafiosi illegittimamente godevano, facendo uso della forza intimidatrice espressa dall’organizzazione criminale a cui appartenevano, ed una rilevante riduzione delle comunicazioni delittuose che, i predetti detenuti, riuscivano a divulgare all’esterno del carcere. L’evoluzione normativa ha perfezionato gli strumenti giuridici messi a disposizione della Polizia Penitenziaria per contrastare il fenomeno mafioso, consentendole il raggiungimento di numerosi successi investigativi che, per strategia e opportunità, non vengono pubblicizzati.