Carsoli – Pochi giorni fa è stato reso disponibile su YouTube il video di La scultrice di luce, brano di Marco Malatesta, cantautore di Carsoli. Con l’occasione, esploriamo per intero l’album da cui il singolo è tratto, che ha titolo Il burattino delle stelle ed è uscito lo scorso autunno.
Quella di Marco Malatesta è un’idea di composizione e scrittura fondamentalmente autoriale. Sul cosa significhi precisamente la formula “musica d’autore” ci sarebbe molto da discutere; ma ci possiamo qui limitare a considerare che molti dei caratteri tipici della tradizione cantautorale italiana si ritrovano anche in Malatesta, come il denso lavoro sui testi, la loro chiara vena lirica, e – musicalmente – la centralità data agli strumenti acustici, ma anche molti elementi provenienti dal jazz, dal folk, dal rock, dalla musica popolare. Di fatto, il panorama strumentale che accompagna Malatesta è molto ricco (archi, fiati e voci d’accompagnamento sono molto presenti, oltre ai “canonici” basso-chitarra-batteria): questo impreziosisce gli arrangiamenti e magari dal punto di vista sonoro non ricorda direttamente il Guccini chitarra-voce essenziale (modello comunque un po’ evocato, ad esempio, nella piega intimista de L’amante delle accordature).
Di Guccini, però, o ancora meglio di un de André primitivo, Malatesta riprende il piglio narrativo, la volontà di racchiudere nel giro di pochi minuti una storia compiuta, e un personaggio ben focalizzato, come succede, ad esempio, in L’Epulone, o nello stesso La scultrice di luce.
In filigrana, poi, non è impossibile riconoscere anche influenze esterofile, a partire dai riff di ispirazione quasi hard rock presenti in Paolo e Francesca. E trovo molto interessante, a questo punto, il progetto laterale portato avanti dal musicista su YouTube, costituito da una serie di video intitolati I ganci del burattino, in cui l’autore ha raccontato in prima persona la costruzione del suo disco, rivelandone il processo creativo e i “ganci”, cioè i punti di riferimento musicali che ha avuto presenti nel suo percorso. I nomi possono a un primo momento provocare sorpresa: accanto agli immaginabili Guccini, Branduardi e de André (ma, si badi, il de André di Crêuza de mä), compaiono anche Joy Division e Cure. Qui ci vogliono l’orecchio attento e l’ascolto vero, per cogliere questi richiami: un pezzo come Comete, a mio avviso uno dei più riusciti del disco, costruisce un dialogo tra basso e chitarra, una distensione che ricordano – felicemente – Robert Smith e soci.
Il burattino delle stelle, insomma, è un album musicalmente composito e che pesca da universi anche molto distanti (possiamo nominare anche l’elettronica sommessa di Caravaggio), gestendo la voce calda e profonda di Malatesta in maniere sempre diverse tra un brano e l’altro, eppure complessivamente omogenee. E questo dà valore a una scrittura che indaga lo spazio sospeso tra cielo e terra, tra popolo e astronomia che è la cifra atmosferica dell’intero disco.