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Il ricordo dei martiri delle Pratarelle di Amedeo Rotondi

Vicovaro – La produzione di Amedeo Rotondi (come abbiamo avuto modo di vedere anche in questo spazio; ad esempio leggendo, ultimamente, Le influenze negative) è per quasi totalità di stampo filosofico e interessata, più precisamente, all’esoterismo, alla filosofia pratica, al rapporto tra anima a mondo.

Anche per questa ragione il Ricordo dei nostri martiri, scritto nel 1965 e stampato dalla Tipografia Seti, occupa un ruolo del tutto peculiare all’interno del suo percorso. Scritto in occasione dell’inaugurazione al monumento ai martiri delle Pratarelle di Vicovaro, il piccolo opuscolo (appena dieci pagine) ci mostra un Rotondi per un momento al di fuori delle questioni teoriche che solitamente animano le sue scritture. Vero è che, a quella data, l’autore ha appena pubblicato i primi due volumi delle Perle e L’arte del silenzio e l’uso della parola; ragion per cui il suo pensiero doveva ancora formarsi pienamente. Questo non preclude, tuttavia, di vedere nell’opuscolo motivazioni e posture diverse dai libri più noti, non ultimo per il fatto di leggere in copertina il nome Amedeo Rotondi, successivamente quasi sempre sostituito da uno pseudonimo (Vico di Varo o Amadeus Voldben).

E tra queste diversità – in senso positivo – possiamo inserire innanzitutto l’invettiva verso i nazifascisti. «Ricordiamo come entravano nelle nostre case, rubando, saccheggiando e terrorizzando le nostre donne e i nostri bambini, braccando uomini che non volevano piegarsi alla loro libidine di asservimento. Purtroppo, i tedeschi non erano soli, ma, vestiti spesso da tedeschi, erano con loro i servitori fascisti che avevano assunto lo stesso aspetto e lo stesso animo dei loro padroni: belve vestite da uomini.» Ripercorrendo i delitti dell’oppressione (dalla vicenda di Riccardo Di Giuseppe alle Praterelle, passando per l’eccidio di Villa Spada), Rotondi ci tiene ad allargare lo spettro dei soprusi: dai fatti tragici in sé all’occupazione in generale, e al regime. «Il ricordo ci fa trasalire. Restiamo muti. Non riusciamo a comprendere come si possa giungere a tanto. È certo che disonora l’umanità inqualificabile gesto, senza giustificazione, e abbassa l’uomo degradandolo allo stato di bruto.» Si tratta forse del passaggio più esplicitamente antifascista di Rotondi (pure, d’altra parte, dichiaratamente antimarxista, come emerge da Dopo Nostradamus).

Se questa rabbia ci permette di vedere un Rotondi insolito, comunque, è altrettanto interessante rintracciare anche i fili che legano questo opuscolo alla produzione maggiore. E in questo senso possiamo osservare, ad esempio, proprio l’attributo di «bruto», animale, assegnato all’elemento fascista: per Rotondi tutto è riconducibile a un’idea di esistenza come scala verso l’illuminazione, e se il mondo terreno è già mondo in qualche modo lontano dalla verità (come spesso si legge nei libri dell’autore), il terreno fascista è doppiamente lontano, definitivamente abbrutente. Oltre a questo, poi, si può scorgere in filigrana l’interpretazione “funzionale”, pratica, della memoria. In apertura e in chiusura, Rotondi evidenzia come «la memoria» possa servire come «mònito ai dimentichi, e, soprattutto, ai giovanissimi che ignorano e vengono ingannati da chi non comprese», ma «non per odiare» per «pietà verso coloro che disonorarono se stessi e l’umanità agendo barbaramente». Anche la memoria, e precisamente la memoria storica, la memoria della violenza, può essere inscritta in quella filosofia pratica che Rotondi sonderà in Un’arte di vivere e spronerà ne I Volontari del Bene.

Vista con gli occhi dello studioso, insomma, questo opuscolo, pure nella sua brevità e nella sua natura occasionale, riesce a suggerire discontinuità e legature nella scrittura di Rotondi. Ma è con gli occhi dell’antropologo, forse, o con gli occhi del vicovarese, in fin dei conti, che il libretto raggiunge il suo scopo: tracciare un confine di riconoscimento, che può farsi anche a partire dall’episodio tragico. Questa la contraddizione della storia, determinante anche nell’antro di un piccolo paese come Vicovaro.

 

 

[Le foto contenute nell’articolo sono di proprietà dell’Archivio Amedeo Rotondi e riportate qui per sua gentile concessione]