Incontro con Massimo Saretta per la mostra “Un’idea di India” alle Scuderie Estensi di Tivoli
Attraverso i suoi scatti il fotografo racconta persone, spiritualità, tradizioni, vita e morte di un popolo affascinante e misterioso, in un viaggio dove occhio e cuore si incontrano e si perdono
“Un’idea di India” è la mostra fotografica di Massimo Saretta che da due anni è in esposizione itinerante nel territorio nazionale. Partita a Padova, attualmente si trova a Tivoli, nella bellissima cornice delle Scuderie Estensi, dove rimarrà fino a domenica 28 giugno per poi spostarsi in altre città. L’esposizione comprende 75 immagini delle 135 totali che si trovano nel volume fotografico “Un’idea di India” edito da Peruzzo da cui la mostra trae origine.
Un’esposizione coinvolgente e immersiva di opere fotografiche cattura l’attenzione del visitatore, che resta colpito e affascinato da scatti in cui emergono ora le luci e i colori, ora i volti delle persone, ora i momenti di vita quotidiana tra gesti e rituali. E sullo sfondo una povertà estrema, che colpisce e scuote profondamente. Abbiamo intervistato il fotografo Massimo Saretta per capire meglio il suo racconto fotografico, l’occhio con cui ha fissato la sua idea di India dentro e fuori l’obiettivo, in un viaggio dove occhio e cuore si incontrano e si perdono.
L’India è un Paese grandioso, complesso e multiforme: si può conoscere l’India stando a contatto con la gente senza prima studiarne la cultura?
«Si può imparare molto stando lì: vivere e respirare l’India attraverso la propria esperienza. Ma io ritengo che ci si debba prima documentare. Bisogna informarsi e studiare la cultura e la religione dell’India prima di partire, altrimenti può diventare un’esperienza deludente. Non è un Paese dove si può fare un viaggio che non sia di conoscenza».
Da viaggiatore e fotografo, cosa le è piaciuto di più dell’India e cosa lo ha colpito di più a livello fotografico?
«A livello fotografico mi hanno colpito senz’altro la luce e i colori. Ci sono luoghi, come il monastero buddista di Katmandu, in Nepal, dove mi sono ritrovato immerso in una miriade di colori che lascia letteralmente senza fiato. Non ho mai visto una cosa così bella in vita mia, credo che in quel luogo siano presenti tutti i colori esistenti. Un’altra cosa dell’India che mi ha colpito è la religione e la spiritualità. Moravia diceva che l’India è il paese delle religioni, è vero. In India convivono simultaneamente più credo (sincretismo religioso), e inoltre l’influenza religiosa è visibile e riconoscibile ovunque: nelle strade, nell’architettura, nella vita quotidiana, nel rapporto tra vita e morte».
Della sua mostra fotografica colpiscono molto i volti, sia nei primi piani, sia negli scatti che ritraggono il quotidiano. Come è riuscito a scattare quelle espressioni e quei momenti?
«In India ho trovato una disponibilità che non ho mai riscontrato in nessun’altra parte del mondo da trent’anni a questa parte. Gli induisti sono persone squisite, molto umili e buone. La bontà è una caratteristica molto diffusa. Non ho mai avuto problemi a girare in India, e questo mi ha permesso di immortalare volti e attimi senza alcuna difficoltà».
Da questi scatti emerge anche uno degli elementi forse più presenti dell’India, la povertà. Come vive il popolo questa condizione?
«In India ci sono circa un miliardo e 400 milioni di persone: 300 milioni sono senza tetto e vivono in una condizione di povertà assoluta. Però – ed è questa la cosa sorprendente – vivono la povertà con il sorriso. Uomini, donne, anziani, bambini anche nella miseria non perdono mai il sorriso e la gioia di vivere. Certamente il fatto di vivere tra fogne a cielo aperto o di non avere da mangiare è una realtà oggettivamente dolorosa, ma lì la gente vive con serena rassegnazione questa condizione, hanno uno slancio vitale e una bellezza interiore straordinari».