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Intervista a Enrico Nicolò, autore del romanzo “Sono Johan e vado a nord”: un viaggio esistenziale alla ricerca di sé

Un cammino avventuroso, delicato e commovente, carico di emozioni ed esperienze autentiche in cui ogni lettore può rispecchiarsi

Un cammino di speranza, di conoscenza e di rinascita interiore: è questo il viaggio che compie Johan, protagonista del romanzo “Sono Johan e vado a nord” (Palombi Editori, 2024) di Enrico Nicolò, autore poliedrico e di grande spessore culturale e artistico. Il libro ci accompagna lungo un cammino avventuroso, delicato e commovente, carico di emozioni ed esperienze autentiche in cui ogni lettore può rispecchiarsi. È il cammino universale di ognuno di noi, il cammino della vita dove ogni uomo, dopo tanto peregrinare, trova finalmente la propria strada.

Johan rappresenta il viandante per eccellenza, colui che compie un viaggio da un punto all’altro del mondo ma anche un cammino esistenziale alla ricerca di sé stesso, mettendo a nudo le proprie fragilità.

Come è nata l’idea di questo libro e da cosa è stato ispirato il personaggio di Johan?

Enrico Nicolò_scrittore e fotografo

«L’idea del libro è nata improvvisamente, il 12 luglio 2023, mentre ero seduto da solo a tavola, nella cucina di casa, a pranzo. È stata una sorta di folgorazione, cui non mancavano tuttavia i presupposti. Speravo di riuscire a scrivere un’opera, in un certo senso, ricapitolativa della mia esperienza personale, della mia poetica. Un’opera che parlasse del senso della vita e contenesse un messaggio forte, evidenziando la condizione dell’essere umano, solo e in cammino, in un ambiente paesaggistico che esaltasse la bellezza del creato. “Sono Johan e vado a nord” esprime questo e anche altro. Ma probabilmente non avrei scritto questo romanzo se, anni addietro, non avessi scritto una brevissima storia, di poco più di una pagina, intitolata “Yan”, che fa parte del mio precedente libro di narrativa “Sull’orlo dell’infinito – Stralci immaginari”, anch’esso pubblicato da Palombi Editori. Yan, instancabile camminatore, è, per così dire, un precursore di Johan. In Yan c’è già una grande parte del personaggio di Johan. Anche Yan procede da solo, conosce a poco a poco se stesso, interagisce con gli altri. Anche lui si spinge a nord, sempre più a nord, verso il superamento della cosiddetta linea degli alberi, verso le estreme zone subartiche, verso spazi sconfinati e deserti».

 

Johan percorre 2850 chilometri per arrivare nella destinazione da lui prescelta, in Norvegia. In questo lungo viaggio a piedi, Johan ha modo di conoscere molte persone e anche di affezionarsi a molte di loro. Ma nessuna circostanza è così forte da farlo decidere di restare, nonostante a volte si rimetta in viaggio a malincuore.

Perché la sua determinazione a proseguire il cammino vince sempre su qualsiasi altro percorso di vita che non sia quello da lui scelto in principio? Qual è lo scopo più profondo di questo viaggio?

«Perché Johan segue ciò che sente nel più profondo del suo animo. Johan ha la sua strada personale da percorrere, segue la sua vocazione. Obbedisce a ciò che riconosce come volontà di Dio per lui. Johan è un uomo libero, agisce come un uomo libero, anche se apparentemente potrebbe sembrare il contrario. La sua libertà è quella che discende dalla verità, dolorosa, che lui abbraccia nella sua vita. Johan sa che la sua libertà non sta nel fare quello che vuole, senza prudenza ed egoisticamente. Questo, tra l’altro, gli permette di fare del bene. Pur nella sua debolezza e fragilità, nella sua malinconia e inquietudine, Johan, infatti, finisce per essere percepito dalle persone quasi come un angelo viaggiatore. Ma Johan non è un eroe, nel senso più comune del termine. È proprio grazie alla sua fragilità e, soprattutto, alla sua umiltà che viene accolto e apprezzato. E se finisce per apparire come una figura, per così dire, eroica è perché lui si riconosce piccolo e si fa piccolo davanti a Dio. Questo, Greta, il personaggio femminile più struggente del romanzo, lo comprende perfettamente e riguarda la rettitudine di Johan, con le privazioni che comporta, come una forma di eroismo quotidiano. Mentre il giovane Anders, altro personaggio, quasi rischia di equivocare. E Johan si trova a dover chiarire».

 

Nel romanzo, le descrizioni sono una parte irrinunciabile e preziosa, perché attraverso gli occhi del protagonista possiamo conoscere meglio ciò che lui vede ma anche la sua personalità e il suo spessore morale. Ma è anche un bellissimo viaggio attraverso la psicologia dei personaggi secondari che Johan incontra, che sono veri e propri capolavori: piccoli ritratti, compiuti in punta di penna, dipinti con rara maestria. Come ad esempio, le tre figlie dei coniugi Emma e Nils, che ci riportano a quelle descrizioni dettagliate e complesse di molti romanzi del XIX e XX secolo, dove i caratteri fisici si fondono e si intersecano alla psicologia e alle sfumature interiori. Pensiamo ad autori italiani quali Manzoni, Verga, Pirandello, ma anche stranieri come Dickens, Dostoevskij, Melville.

A quali letture o a quali autori si è particolarmente ispirato?

Enrico Nicolò_autore e fotografo

«Non c’è un autore particolare cui mi sia ispirato, anche se avverto il fascino della grande letteratura russa, così come degli autori italiani da lei citati, che hanno profondamente indagato l’animo umano. Sono tuttavia debitore a “Racconti di un pellegrino russo”, di autore sostanzialmente ignoto. Ma sul romanzo hanno altresì riverberato suggestioni provenienti dal cinema, che costituisce uno dei miei principali interessi. Altre fonti di ispirazione, o meglio, altri elementi di contaminazione linguistica ed espressiva all’interno della mia stessa produzione artistica, sono state alcune mie fotografie autoriali e la mia serie di acquerelli intitolata “Immensa solitudo”, che ho dipinto alcuni anni fa. Talune mie serie fotografiche, infatti, offrono ampi scenari naturali, deserti, dove la figura umana abita solitaria. In ogni caso, quanto alla descrizione dei personaggi che Johan incontra e all’analisi di ciò che alberga nel loro animo, talvolta mi sono ispirato a persone da me realmente conosciute.

È vero che attraverso gli occhi del protagonista possiamo conoscere meglio ciò che lui vede. Se il romanzo “Sono Johan e vado a nord” fosse un film, direi che in buona parte è stato girato in soggettiva, appunto attraverso gli occhi dell’interprete principale. Infatti, intenzionalmente, noi conosciamo pochissimo delle caratteristiche fisiche di Johan. Le parole del libro volontariamente non vanno a scolpire con finezza il personaggio Johan dall’esterno. Questo, per due ragioni principali: perché ognuno di noi possa più facilmente riconoscersi in lui e perché, di conseguenza, ognuno di noi possa vedere il mondo tramite il suo sguardo e il suo pensiero».

 

Una delle particolarità più marcate del viaggio di Johan è che durante tutto il suo peregrinare, durato circa due anni, viene dato molto spazio alla riflessione e alla meditazione personale. Il viandante porta con sé la Bibbia e legge spesso i Salmi, e appunta sul suo taccuino le impressioni di quel giorno in forma sintetica, come una sorta di aforismi spirituali.

In questo viaggio solitario, e per certi aspetti doloroso, quanto incide la presenza di Dio?

«La presenza di Dio nel viaggio solitario di Johan è fondamentale, come dicevo prima. Il fatto che lui legge la Bibbia, medita i Salmi e scrive riflessioni esistenziali lo rende un camminatore molto particolare. Nora, uno dei personaggi, lo intuisce. E, infatti, a un certo punto afferma «Come viandante, Johan, lei ha più del pellegrino che del viaggiatore». Sì, perché, in fondo, il viaggio di Johan, metafora della vita, si configura come un pellegrinaggio, quasi un simbolo del pellegrinaggio terreno verso la patria celeste. E, a guardar bene, Johan non è solo. Perché è solo con Dio. Johan, questo, lo sa. O meglio, lo scopre sempre di più, camminando, appunto. Come se avesse assimilato l’insegnamento di San Giovanni della Croce. Dunque, la sua solitudine è solo apparente».

 

Un fatto che colpisce molto in questo libro è la quantità di generosità che Johan incontra sul suo cammino. Oltre a locande e ostelli, il viandante si ritrova spesso a chiedere ospitalità per la notte presso case di contadini, famiglie, gente di buona volontà. Il romanzo è ambientato a fine Ottocento, ma sarebbe bello pensare che ancora oggi sia possibile questo circolo virtuoso di umiltà, fiducia e generosità nel consorzio umano.

Quale messaggio possiamo trarre da questo spunto per la nostra attualità? Crede che sia ancora possibile scommettere sulla bontà, sull’umanità – intesa come virtù – degli esseri umani?

«In passato era consuetudine piuttosto comune fornire assistenza ai viandanti. E a fine Ottocento questa prassi di solidarietà era sicuramente diffusa anche in Scandinavia. Tuttavia, a questo riguardo, il messaggio contenuto nel libro è effettivamente più profondo. Si trae spunto dall’ospitalità generosa e dalla conseguente riconoscenza per sottolineare più di una volta che fare del bene è contagioso. Chi riceve il bene è portato non solo a ricambiarlo attraverso la gratitudine, ma anche a continuare a operare il bene a vantaggio di altri. Quale attualizzazione? Quale scommessa per il mondo di oggi, dilaniato da conflitti, talora già nell’ambito familiare, fino al livello planetario? In una realtà, quale quella odierna, dove talvolta sembrano avere la meglio l’arroganza, gli interessi personali, l’ambizione, la sete di denaro, successo, potere, a scapito dei poveri, degli ultimi, dei vulnerabili, degli indifesi? La ricerca della soluzione, oggi, come sempre, sta prima di tutto nel cuore dell’uomo. Di ciascun uomo. Nella sua conversione. Nella sua rinascita. Non è cosa da demandare ad altri, magari per trovare alibi.

Johan in un suo taccuino annota la seguente riflessione: «Non possiamo cambiare il mondo. Non possiamo nemmeno cambiare, né dobbiamo, chi ci è vicino, perché non sarebbe onesto farlo. Ma, appunto, possiamo essere gentili, cominciando con chi ci è costantemente accanto. Questo è il primo contributo di pace che possiamo portare all’umanità». A un uomo che ha conosciuto e che gli chiede consiglio Johan rivolge un’esortazione: «Ma, vede, Viktor, nella vita ci sono cose che noi non possiamo cambiare. Lei non può cambiare Karin, né sarebbe giusto […] ha soltanto una cosa su cui può esercitare un certo controllo. Lavorare su se stesso. […] per accettare la realtà, senza recriminazioni. Per accettare sua moglie, così com’è. In questo, primariamente, sta l’amore».

 

Perché Johan sceglie proprio la deserta e sconfinata tundra artica come destinazione del suo lungo viaggio, con ciò continuando a scegliere la solitudine come sua unica compagna di vita?

Enrico Nicolò_scrittore e fotografo

«Johan cerca la tundra perché sa che lì, nella completa solitudine e in mezzo al nulla, farà l’esperienza del deserto, perfezionerà la conoscenza di se stesso e potrà progredire nella conoscenza di Dio, confidando ancora di più in Lui. La tundra, per Johan, è un luogo fisico, ma è anche un luogo interiore. E nel romanzo assurge a simbolo. Corrispondentemente, il raggiungimento della linea degli alberi, ovvero il confine tra la foresta boreale e la tundra, assume anch’esso un significato figurato ed esistenziale. Johan teme fortemente di non riuscire a trovare la tundra. In un passo del libro è scritto così: «Per Johan non si trattava soltanto di una grande delusione. C’era di più. Poteva apparire assurdo, disse a se stesso, ma lui provava nostalgia e rimpianto. Nostalgia per un luogo che non aveva ancora scoperto, ma che, nondimeno, riconosceva come parte antica di se stesso. Rimpianto, perché molto alto era il rischio di perdere per sempre l’opportunità di ritrovarsi in quel luogo vagheggiato. Che, così sentiva, era un posto di consonanze, di affinità, di corrispondenze. Era un luogo dell’animo. Era un mondo di solitudine immensa».

 

Qual è il messaggio più intimo e profondo che si può trarre dal suo romanzo?

«”Sono Johan e vado a nord” è un romanzo esistenziale di avventura, che presenta una storia delicata e toccante, di fedeltà, fede, onestà, compassione, amore e abnegazione, gentilezza e tenerezza, amicizia e generosità, intima solitudine, gioia e dolore, tenacia e coraggio. In un certo senso, ognuno di questi elementi è di fatto associato a un messaggio. Tuttavia, se dovessi sintetizzare tutto in un unico pensiero, forse farei riferimento a una brevissima riflessione che Johan scrive sul suo taccuino: «Di tre cose c’è bisogno: umiltà, amore e bellezza». E, questa volta, sottolineo tale affermazione non solo come scrittore, ma altresì come artista. Anche così si alimenta la speranza per la salvezza del mondo. “Sono Johan e vado a nord” rappresenta infatti per me anche l’elogio della bellezza della vita, del creato, della figura femminile».

 

Titolo: “Sono Johan e vado a nord”

Autore: Enrico Nicolò

Editore: Palombi Editori

Anno edizione: 2024

Pagine: 215

Prezzo: 18 Euro

 

“Sono Johan e vado a nord” (Palombi Editori, 2024) è disponibile sul sito della casa editrice, su internet o preordinandolo in tutte le librerie.