Intervista a Sabina Moretti, autrice de “I Solitari”: “stare soli è un privilegio, ma è anche faticoso”
Una tavolozza affascinante e di irresistibile ironia popolata da personaggi della nostra quotidianità. Un’umanità fatta di solitudini, perché tante sono le sue sfumature
La raccolta di racconti “I solitari” (Sabina Moretti Editore, 2022) è una brillante e affascinante tavolozza di personaggi e situazioni che popolano la nostra quotidianità e che la scrittrice Sabina Moretti ha saputo dipingere con sapienza, gusto del dettaglio e anche tanta sana e irresistibile ironia. Perché quando si parla di sentimenti e umanità, è un vero peccato prendersi troppo sul serio: si rischia di perdere quella leggerezza che è invece ingrediente necessario per un buon libro come anche per la vita. Sabina Moretti lascia parlare le persone ma anche gli animali, gli oggetti, come se tutto fosse parte di uno stesso creato, perché “siamo tutti sulla stessa barca”. In questo caso la barca della solitudine o delle solitudini, perché tante sono le sue sfumature. Questo aspetto è molto bello e fa riflettere: tutti noi proviamo dei sentimenti, tutti noi proviamo, ad un certo punto, della sana (o malsana) solitudine.
Sabina, come è riuscita a cogliere tutte queste sfaccettature riguardo a un sentimento così tanto diffuso e, malgrado ciò, anche frainteso?
«Una super domanda! Non mi sono resa conto di tutto quello che mi riconosce e la ringrazio per avermelo fatto notare. La solitudine è un argomento importante, e penso che per l’essere umano lo sia sempre stato. Forse in questo nostro presente così “social”, ma così poco “sociale”, ha un sapore più intenso. Sono una solitaria, un poco per carattere – anche se stare in compagnia mi piace moltissimo – e un poco per sorte della vita. Ho riflettuto spesso su questo tema, soprattutto ora che sono abbastanza grande da avere figli adulti e una vita consolidata. Non soffro di solitudine, ma la conosco e la riconosco. Quindi ho vagato con la mente tra le mie esperienze e quelle altrui, tra fatti della vita e la fantasia. In alcuni racconti mi sono lasciata ispirare da dipinti di grandi artisti – ad esempio nel racconto “Le bevitrici” –; oppure ho utilizzato l’immaginazione pura –ad esempio in “Caos” – o ho riletto esperienze personali e di altri che non erano state registrate nel vissuto sotto questo aspetto. È molto interessante rileggere il passato. La solitudine è in genere connotata da un significato negativo, ma per me non è sempre così e dunque ho voluto offrire anche una lettura positiva della solitudine. Saper stare da soli credo sia un privilegio che si acquisisce crescendo, anche se a volte è faticoso e doloroso. Ma è una esperienza ricca di creatività».
La solitudine non è sempre negativa: quando è ricercata è sinonimo di equilibrio, serenità e autodeterminazione; quando è forzata dagli eventi della vita può trasformarsi in disagio, ossessione, depressione, incapacità di comunicazione. Un tipo di solitudine che colpisce molto è anche quella “nascosta” ovvero quando si è circondati da altre persone, che però non fanno la differenza nella nostra vita e ci sentiamo ancora più soli, incompresi. Come può succedere, alle volte, a una coppia di coniugi, che sono insieme ma non dialogano, e vivono in una solitudine forse ancora più assordante del vuoto.
Che cos’è, dunque, per lei la vera solitudine?
«Complessa domanda. Al negativo, la vera solitudine è quando non si ha nessuno con cui scambiare le proprie emozioni, o i propri pensieri, o ricevere e dare solidarietà. Al positivo è a volte sinonimo di sentirsi liberi. Che poi la parola libertà ha così tante sfumature… diciamo la capacità di stare con sé stessi senza intristire, di volersi bene, di fare cose che piacciono senza attendere il permesso dall’esterno per poterle fare. Insomma, un lusso!»
Il tema della solitudine abbraccia anche il tema delle ossessioni: come quella dello studente insicuro che tormenta il suo professore perché ha il terrore di sbagliare; o quella di Mario (o di Maria) che crede di avere due personalità perché affetto da psicosi. Sono situazioni al limite, ma molto verosimili.
Può descriversi meglio questo lato della solitudine che descrive con dovizia di particolari e anche termini tecnici?
«L’aspetto ossessivo della solitudine è quello che mi addolora di più. Per esempio, nel caso dello studente immagino si intuisca che il ragazzo ha una difficoltà relazionale che lo isola dalla realtà, lo rende solo e bisognoso di essere aiutato. Anche il professore, che non ha questo problema di diversità, ma vive da solo, la solitudine la soffre anche lui. Si disturba di essere cercato di domenica, ma risponde a tutti i messaggi e chiama a sostegno un collega, che essendo preso da affari di famiglia, lo liquida in poche battute. È l’incrocio di due solitudini al limite dell’ossessione: una per difficoltà innate, l’altra per una pseudo capacità di vivere soli. Per quanto riguarda Mario e Maria, mi sono ispirata a un dipinto metafisico. E il racconto è nato da solo, spontaneo. La doppia personalità – lo sdoppiamento con sé stessi – è una esperienza che in situazioni complesse e difficili può accadere. Forse qualche lettore può averla sperimentata».
Come è riuscita a scavare così in profondità nell’animo umano? A cosa si è ispirata per la scrittura di questa raccolta di racconti che sono ampie finestre sulla nostra società e perle di perfetta imperfezione umana?
«Ora arrossisco di imbarazzo, lei mi elogia con parole molto intense. La verità è che non lo so. Potrebbe essere nella mia sensibilità di musicista, spesso penso che sia questo. E anche nella mia sensibilità personale, che forse è anche ciò che in parte mi rende una solitaria. Qualcuno mi ha detto che si chiama ‘empatia’: che per me è uno dei limiti nella socializzazione, perché risuono come uno strumento – il mio violino interiore – e poi sono svuotata. Allora devo stare da sola».
Molto forte è anche la solitudine che prova Drops, il protagonista di un racconto direi “centrale” all’interno de “I solitari” , che pur se ambientato in una realtà distopica ci riporta indietro di qualche anno, a quando eravamo tutti in lockdown a casa. Qui troviamo la stessa sicurezza per il mondo nelle quattro mura e la stessa paura per il mondo esterno, che è un po’ ciò a cui ci siamo molto avvicinati in quel periodo.
A cosa si riferisce esattamente questo racconto e quale messaggio vuole lanciare?
«Mi è piaciuto molto scrivere questo racconto, grazie per la domanda. Non ho pensato al lockdown, ma alla realtà dei social, alla vita virtuale, con un occhio alla Ai. Mi è sempre piaciuta la fantascienza, quindi mi sono calata in un mondo futuro dove la vita attiva è stata demandata alla realtà virtuale, ma la motivazione di questa scelta è stata dimenticata… mi sono seduta con Drops davanti allo schermo e ho iniziato a chattare, poi abbiamo giocato una partita a scacchi con una sua conoscente. Sembrava tutto normale, ma… poche parole e i sono nati i dubbi. Il problema è proprio la sicurezza che si crede di possedere tra quattro mura perfette e rinunciare a uscire per vivere. Un brutto rischio che stiamo lambendo tutti. Mi piacciono le possibilità di internet, magari le avessi avute quando ero giovane, ma sono pericolose. Per esempio, la musica che siamo abituati a sentire è tutta “finta” perché è trattata in studio. Sia la classica – che è il mio amato lavoro – che gli altri generi. Questo falsifica tutta la conoscenza. Perché la diretta dal vivo è completamente diversa dal preconfezionato in studio. Sono due mondi paralleli. In altre parole: è come se gli atleti di una gara delle olimpiadi fossero degli avatar e non delle persone in carne e ossa. Che sudano, faticano, agiscono con i loro muscoli, sbagliano, correggono o falliscono. Se un giorno arriveremo alle olimpiadi virtuali allora saremo davvero persi. Ma nella musica – e in altri ambiti culturali – è già così. Ecco perché sono molto preoccupata».
C’è un racconto o un personaggio al quale è più affezionata o che è ispirato alla sua vita?
«Mi deve scusare, ma quando scrivo non amo narrare di me stessa. In altre parole, l’autobiografia in genere la trovo noiosa e artefatta. Non mi interessa. Preferisco distribuire frammenti di me stessa nei personaggi e nei vari avvenimenti. In questi racconti ci sono eventi della mia vita, ma non è interessante sapere dove si nascondono. È il messaggio quello che conta. Non ho un racconto specifico al quale sono più affezionata, alcuni sono stati più facili da scrivere, altri più complessi. Per esempio, l’ultimo, “Due uomini”, è nato così spontaneo che non ho potuto resistergli. Lo stesso vale per “Non ti sento” o per “Il rumore”. No, non so dire se sono legata a un racconto più che ad un altro. Sono affezionata a tutti loro».
Titolo: “I solitari”
Autore: Sabina Moretti
Editore: Sabina Moretti
Anno edizione: 2022
Pagine: 193
Prezzo: 9 ,36 Euro
Formato Kindle: 2,69 Euro
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