MARANO EQUO – La chiesa parrocchiale di San Biagio, costruita sui ruderi della rocca, risale almeno agli inizi del XV secolo, ma non contiene opere d’arte di rilievo, tranne la settecentesca pala d’altare centrale, dedicata al santo protettore e un altorilievo di Sant’Antonio da Padova, scultura marmorea del cinquecento. Opera di maggior interesse risulta il santuario della Madonna della Quercia, sicuramente il monumento più importante del paese, non solo per il suo valore artistico e architettonico, ma anche per il suo legame spirituale con la popolazione maranese.
Le cronache parlano di una miracolosa apparizione della Vergine a un pastore di nome Fausto presso una quercia della zona, ma non riportano l’epoca. È probabile che il miracolo si sia verificato tra gli ultimi anni del XV secolo e i primi del XVI secolo. La quercia fu collocata sotto l’altare maggiore e da allora la chiesa, precedentemente dedicata a San Pietro, divenne Santa Maria della Quercia. Altri invece sostengono che la Chiesa è stata eretta a seguito dell’evento miracoloso. Alla chiesa era annesso un monastero che, nato probabilmente come benedettino, nel 1570 passò ai francescani del terzo ordine che lo tennero fino al 1653. Il santuario conserva degli affreschi quattrocenteschi sulla controfacciata d’ingresso. Si vede San Giovanni Battista entro una nicchia sormontata da una conchiglia, la Madonna in trono col Bambino in grembo, in un’analoga nicchia, al di sotto altre scene tra cui il martirio di San Sebastiano e Sant’Antonio da Padova. Su una parete del presbiterio è invece affrescato l’evento miracoloso per mano di Francesco Conza (1605-1682).
La prima notizia storica risale al documento dell’Abbazia di Subiaco, alla quale nell’864 Papa Niccolò I attribuì il Castello di Marano; le notizie si susseguono per circa due secoli, ma non ci consentono di fare piena luce sui numerosi passaggi di proprietà che la località subì. Dopo essere appartenuto all’Abbazia sublacense, infatti, il Castello di Marano passò dalle mani di Cesario Console, duca di Roma, a quelle del Vescovo di Tivoli, per poi tornare in possesso dei monaci. Occupato nel 1063 da Raniero dei Crescenzi, che vi fece edificare la rocca, venne preso qualche anno dopo da Giovanni, suo parente e abate di Subiaco. Il paese ebbe con lui un periodo di prosperità, che durò, sotto il suo successore Pietro, fino alla metà del secolo seguente. Tra il 1145 e il 1176 fu al centro di contese tra alcuni signorotti locali, primo fra questi Filippo di Marano, in armi contro il potere benedettino e gli abati; la lotta terminò alla fine con la sottomissione di Filippo e la conferma della supremazia sublacense. Le cronache tacciono fino al 1280, quando il Castello di Marano figura in possesso dei Vescovi di Tivoli, dai quali fu riscattato dall’abate Bartolomeo I (1296). Nel 1310 l’abate Corrado lo diede in feudo al fratello. Recuperato da Bartolomeo II, fu occupato nel 1363 da quattro monaci ribelli, ma ripreso nel 1368 dallo stesso Bartolomeo. A partire dal 1456 anche il Monastero di Subiaco venne governato con il regime della commenda, cioè la metà dei redditi provenienti dai beni abbaziali era attribuita a un’alta personalità, di rango cardinalizio, per il suo mantenimento, mentre l’altra metà rimaneva ai monaci. Nel 1474 il monastero rinunciò al possesso del castello in favore dell’abate commendatario, Cardinale Rodrigo Borgia (poi Papa Alessandro VI) e dei suoi successori. Quindi da quel momento il castello passò nelle mani degli abati commendatari, che ne amministrarono il potere civile e religioso fino al 1753, anno in cui la giurisdizione civile passò alla Congregazione del Buon Governo, che provvedeva al governo economico di tutte le comunità dello stato pontificio. Il territorio fu invece tenuto dai Colonna dal 1492 al 1607, dal 1608 al 1652 dai Caffarelli Borghese e dal 1653 dai Barberini. Nel 1656 una disastrosa epidemia di peste bubbonica dimezzò gli abitanti che, qualche anno dopo, erano appena 500. Nel 1689 comparve il primo consiglio comunale retto da un connestabile. Le cronache successive annotano una serie di calamità: nel 1703 un terremoto provocò gravi danni, ma nessuna vittima; nel 1740 un’inondazione del fiume mandò in rovina il raccolto provocando una grave carestia, che si rinnovò nel 1779. La zona alta dell’abitato conserva in parte l’aspetto medioevale, nonostante alcune demolizioni operate in questo secolo come quella del torrione di Porta Nuova e lo smantellamento della fontana centrale in piazza Dante: qui sorgono il Castello e la Parrocchiale di San Biagio. Del Castello rimane soltanto la base di un torrione circolare d’angolo e parte della scarpata. Collocato in una posizione di rilievo, controllava la strada che, fiancheggiando l’Aniene, conduceva al Monastero di Santa Scolastica e alla vallata di Matignano, ricchissima di acque dalle caratteristiche oligominerali conosciute e captate già in epoca romana. Dopo le radicali trasformazioni architettoniche subìte nel XVIII e XIX secolo è ora sede del comune.