The news is by your side.

La Resistenza nell’Alta Val d’Aniene di Giuseppe Panimolle

Vicovaro – Forse uno dei bias più difficili da superare a proposito del “locale” è il modo in cui esso è percepito in relazione al “globale”: la storia “locale”, infatti, viene spesso intesa come storia “minore” rispetto a quella “globale”, come storia secondaria e che può interessare, al più, solo gli abitanti di un preciso territorio. Ammesso l’ovvio fatto che – in base alla scala e all’ottica con cui vengono interpretati di volta in volta – gli eventi storici si dispongono secondo una gerarchia in cui alcuni risultano più incisivi e impattanti di altri, prendere per dogmatico e neutro questo modello rischia di concepire il “locale” come qualcosa di veramente troppo sminuito e, soprattutto, svincolato dal “globale”.

Tra i meriti generali di un libro come La Resistenza nell’Alta Val d’Aniene di Giuseppe Panimolle possiamo quindi mettere quello di pensare la storia locale come storia significativamente intersecata a quella globale, e di vedere nella Resistenza, di conseguenza, proprio uno dei punti di più evidente incrocio tra questi due (presuntamente distinti) livelli. La stagione della Resistenza, del resto, si presta bene a questo tipo di capovolgimento prospettico, vista la sua capillarità geografica (non solo tutta Italia, ma tutti i tipi di luoghi, urbani e non, sono stati coinvolti più o meno direttamente dall’occupazione tedesca e dal suo contraltare) e la sua capillarità sociale (a essere chiamati a combattere, o almeno a misurarsi, con il nazifascismo, furono tutte le fasce sociali, indistintamente tra donne e uomini, tra più e meno giovani).

Se a ciò aggiungiamo che quella di Panimolle rappresenta anche la testimonianza scritta o raccolta di informazioni più ampia interamente dedicata alla Resistenza in Aniene ancora oggi, si capisce come il libro abbia una sua posizione stabile all’interno di un’ipotetica biblioteca sul nostro territorio. Stampato per la prima volta nel 1966 presso la Tipografia F. Garroni e ripubblicato nel 2010 dall’Associazione Rete per la storia e la memoria della Resistenza nella Valle dell’Aniene (con l’aggiunta di una prefazione di Antonio Parisella e un’appendice di Mario Marini sulle Vittime civili delle truppe tedesche nel territorio di Tivoli (giugno 1944)), il libro, dopo una premessa generale sulla Guerra e la Resistenza, incentrata soprattutto sulle giornate del 25 luglio e 8 settembre del 1943, attraversa tutti gli episodi di strage nazifascista e Resistenza occorsi in quegli anni nella Valle, suddividendoli per Comune e toccando i paesi di «Affile, Agosta, Anticoli Corrado, Arcinazzo Romano, Arsoli, Bellegra, Camerata Nuova, Canterano, Castelmadama, Cerreto Laziale, Cervara di Roma, Cineto, Gerano, Jenne, Licenza, Mandela, Marano Equo, Percile, Rocca Canterano, Roccagiovine, Rocca Stano Stefano, Roiate, Riofreddo, San Polo, Saracinesco, Subiaco, Trevi nel Lazio, Vallinfreda, Vicovaro, Vivaro Romano» (ma escludendo Tivoli, che si segnalava meritare «un discorso a parte» a cui l’appendice, appunto, ha cercato di rimediare). A ciò seguono infine una Conclusione e la replica del discorso tenuto dallo stesso Panimolle a Madonna della Pace vent’anni dopo i fatti.

Il quadro che emerge da questo attraversamento (in ordine alfabetico) del territorio anieniano sotto la chiave della Resistenza è in prima istanza raccapricciante: come ricapitola Panimolle nella Conclusione, nel periodo si contano ben 52 «rastrellamenti subìti», con il risultato di 91 «civili uccisi per rappresaglia o in azioni di rastrellamento», 35 feriti, 78 deportati e 1600 «presi come ostaggio». È la dimostrazione che la posizione della zona, vera e propria linea di congiunzione tra Lazio e Abruzzo, ha fatto sì che essa si inserisse pienamente nella via che i tedeschi, respinti dalle liberazioni alleate, percorrevano in ritirata. Una ritirata-appostamento progressiva che ha finito per coinvolgere i civili nelle operazioni belliche e costringerli in occupazioni e rastrellamenti che i tedeschi, in misure e maniere diverse, imposero praticamente a tutti i paesi della Valle. Ne sono esempio non solo gli episodi più significativi in termini militari o di vittime provocate, come i diversi bombardamenti o come gli eccidi maggiori delle Pratarelle, di Madonna della Pace e di Colle Siccu (rispettivamente di 29, 15 e 11 vittime); ma anche la miriade di micro-vicende riguardanti i sabotaggi, il nascondimento di soldati alleati, le retinenze, le torture (come quella di Luigi Proietti di Bellegra, cui vennero «estirpate le unghie delle mani e dei piedi, gli vennero strappati i capelli e fu punto con ferri roventi», o di Agostino Basili di Mandela, lasciato «40 giorni di seguito legato ad un palo» e poi fucilato), gli equivoci (l’anziana signora di Arcinazzo Romano che, sorda, viene uccisa perché involontariamente oppositrice ai comandi tedeschi o il falso salvacondotto che, incomprensibile per i non germanofoni Giuseppe Olivieri, Giulio Rossi e Giuseppe Nocente di Cervara, segnò invece la loro condanna) e le piccole epiche individuali (come quella di Gino Ventura, vicovarese sopravvissuto alle Praterelle fingendosi morto dopo essere stato ferito). Comprensibilmente, Panimolle legge queste azioni secondo la categoria della «resistenza passiva», visto che non ci fu in Valle un’ampia, articolata e realmente determinante organizzazione partigiana; ciò non toglie che da queste storie si percepisce il pieno coinvolgimento degli autoctoni negli eventi e, non secondario, un numero di azioni, come sabotaggi e risposte violente ai tedeschi, che, per quanto  limitato, di corto raggio e non sempre programmato, possiamo certamente intendere come Resistenza attiva.

Partecipazione, quindi, sebbene particellare. L’altro aspetto interessante di Panimolle, infatti, riguarda come, proprio a partire da un racconto dinamico ed emotivamente carico degli eventi anche più minuti (con particolare attenzione al caso dell’Agosta, paese di cui Panimolle è stato sindaco), il racconto della Resistenza oscilli tra documentazione e narrazione. Questo aspetto latamente narrativo aggiunge una lente ai fatti raccontati, un interesse umanistico che permette di vedere alla Resistenza anche come una specie di totale e radicale – per quanto temporanea – alterazione socio-antropologica dello spazio anieniano. Come dire: cercare di illuminare non solo l’impatto violento della guerra e dell’occupazione in quanto tale, ma, insieme a quello, il costituirsi dei rapporti (conflittuali) tra gli autoctoni e i tedeschi e, di conseguenza, la dissipazione della Valle in un puzzle sconnesso di comunità ristrette, a forza isolate, che devono reinventare la propria quotidianità, la propria natura (Arsoli trasformata in «città ospedaliera»), la tecnologia (al centro di molti episodi ci sono radiotrasmittenti clandestine e armi nascoste), la lingua (il maggiore sudafricano che per nascondersi impara dialetto e costumi agostani), la psicologia (Luisa Fioravanti di Rocca Canterano, morta anni dopo la Resistenza a seguito dello choc riportato dopo essere stata presa in ostaggio e aver perso il fratello in un rastrellamento), i rapporti sociali, i rapporti con il luogo, ora diventato zona di guerra e mostrantesi ai suoi stessi abitanti in una nuova e oscura luce, come testimoniano le molte vicende montane che Panimolle racconta.

Tale approccio dota i fatti raccontati di un afflato emotivo più forte che, probabilmente, solo se messo a testo a ridosso di quegli anni e da parte di una persona fattivamente coinvolta poteva avere un’efficacia. Questo porta a leggere il libro non solo come testimonianza degli eventi ma anche come testimonianza di se stesso, cioè del modo in cui potevano essere vissuti, e poi digeriti e raccontati, i fatti della Resistenza. Si tratta in prima istanza di un pregio del libro, visto che la distanza non permetterebbe oggi di raccontare il senso di travolgimento che dalle pagine di Panimolle (o di Amedeo Rotondi, di cui abbiamo parlato qui) invece emerge. Ma si tratta – ed è in questa misura controversa che occorre leggere la storia – contemporaneamente del suo limite: l’alta temperatura emotiva, infatti, può talvolta agire contro la stessa ricostruzione dei fatti (e non pochi di questi, nei loro dettagli e motivazioni, sono ancora oggi discussi, cosa che richiederebbe, forse, un nuovo e aggiornato studio dedicato per intero alla Resistenza in Valle), ma, soprattutto, la posizione ideologica dello scrittore – che non dimentichiamo essere stato, oltre che sindaco di Agosta, Dirigente di Azione Cattolica – viene chiaramente a galla ad esempio nel particolare spazio dato al clero, di cui frequentissimamente si lodano l’azione solidale e il contrasto con i tedeschi (e tra i cui protagonisti ricordiamo Salvatore Mercuri di Vallepietra, anche poeta, di cui abbiamo scritto qui). Di questi punti sono testimonianza esplicita proprio le «tre conclusioni» cui approda l’autore: «1) la Resistenza fu patrimonio di tutte le popolazioni dell’Alta Valle dell’Aniene senza distinzione di classe sociale o di colore politico, fatta eccezione di pochi fanatici neo-fascisti; 2) le nostre genti si mostrarono coraggiose e generosissime; 3) il clero diede silenziosamente un contributo a questa causa, sopportando spesso sacrifici e persecuzione».

A prescindere dai fatti, insomma, Panimolle adotta un preciso punto di vista ideologico-narrativo, che se da una parte ravviva la dimensione emotiva e psicologica del racconto delle stragi, dall’altra copre le vicende di una patina morale (l’opposizione al nemico è un’opposizione etica, più che politica, non priva anche di un pizzico di mitizzazione – come direbbe l’Asor Rosa di Scrittori e popolo – del popolo stesso) e sottolinea con insistenza il ruolo del clero (sguardo cui ben si accorda, a questo punto, la prefazione di Andreotti). Insomma, croce e delizia del testo è proprio il suo gusto narrativo e lo sguardo parziale che, in fin dei conti, non può non essere tale se viene da una figura coinvolta nei fatti narrati. Si tratta, però, di riuscire a calcolare queste – anche giustificate – parzialità, di riconoscerle e considerarle (come si dovrebbe fare per ogni interpretazione della storia) parte mobile e integrata, magari anche controversa, della storia stessa. Spetta a noi, con una distanza diversa e col vaglio della critica, ristudiare oggi quegli episodi che segnarono la vita della Valle e di cui il libro di Panimolle, a prescindere dal taglio, rimane importante testimonianza.