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La violenza della natura; il nostro reportage dal terremoto di Amatrice

Per apprezzare cio’ che abbiamo, e che altri non avranno mai più…
terremoto 15Editoriale – Pioveva ieri ad Amatrice. Piove sempre nei giorni tristi e quello di ieri lo è ancora di più di quelli appena trascorsi, con le 28 bare disposte sotto il tendone per l’ultimo saluto “a casa loro”, come voluto dai cittadini sopravvissuti e portato avanti con tenacia dal Sindaco di Amatrice. Oggi è il giorno della consapevolezza, per chi ha perso gli affetti più cari in una manciata di secondi quasi interminabili, rispetto ai giorni di speranza e disperazione, di gemiti tra le macerie e grida liberatorie per l’ennesima vita salvata. Difficile immaginare come era il borgo prima di oggi rispetto a quello da cartolina racchiuso tra verde e cielo se non l’hai conosciuto. Difficile pure trovare e riconoscere il corso, i vicoli e le case, tra cumuli di pietre e ricordi intimi che giacciono sotto il sole cocente di fine estate. L’odore acre della polvere riempie ancora l’aria pura di questi monti, con un macabro silenzio che avvolge tutto, rotto dalle voci frenetiche dei soccorritori e degli escavatori alla ricerca di chi ancora manca all’appello. La scena che ti trovi di fronte ti riempie di impotenza e disperazione perché il terremoto non ruba solo vite, non evidenzia solamente l’errore umano nel costruire o prevenire, ma è una violenza privata sui ricordi e gli affetti custoditi gelosamente in ogni casa, su quei quadri ancora appesi a muri pericolanti e foto sorridenti che giacciono tra le pietre, sui letti sfatti lasciati di fretta nella notte e giocattoli dimenticati ed ora sotto gli occhi del mondo, a ricordare la vita che ci scorreva dentro fino a quei minuti tragici, fermi ed incorniciati nella torre civica. Difficile non farsi prendere dallo sconforto, non sentirsi inermi e schiacciati dalla potenza della natura che fa sentire la sua voce nel modo più cruento. E poi ci si rende conto dell’importanza delle forze dell’ordine, e di tutte le istituzioni che con senso di appartenenza riescono a dare quel poco di umano nell’orrore di ciò che resta.
@Alessandra D’Andrea 
Le foto parlano da sole, quindi per scelta editoriale preferiamo non aggiungere altro.
REPORTAGE FOTOGRAFICO