Chamberburg – Si sono svolte il 9-10-11 settembre u.s. a Chambersburg – contea di Franklin in Pennsylvania, le celebrazioni per i 75 anni dal rimpatrio dei prigionieri italiani dall’America.
Una delegazione di circa 30 familiari dei 1.250 prigionieri Italiani stanziati a Letterkenny – facenti parte dell’AMPIL – Associazione per la memoria dei prigionieri italiani di Letterkenny, che ha come scopo di conservare e tramandare con iniziative culturali, la memoria dei soldati italiani – si è recata negli Stati Uniti per onorare la memoria dei loro cari.
Ad accogliere gli italiani, nella città di Chambersburg nel campo di Letterkenny Army Depot, le istituzioni, le autorità locali amministrative, culturali e militari nonché le autorità militari italiane stanziate nel Consolato italiano in Pennsylvania. I proff. Dave Sciamanna e Alan Perry, quest’ultimo curatore con Giorgia Magni, di una mostra fotografica che dà conto della vita e delle attività dei prigionieri nel campo, hanno fornito al gruppo italiano il supporto linguistico e culturale indispensabile per rapportarsi e capire le vicende di quegli anni.
Sono stati tre giorni intensi ed emozionanti, un viaggio nella memoria alla ricerca di uno spaccato di vita, particolarmente doloroso, dei nostri cari. Le manifestazioni celebrative per ricordare il rimpatrio dei soldati italiani, si sono svolte nel parco che circonda la Chiesa della Pace, costruita dai prigionieri italiani, e si sono concluse con la commemorazione delle vittime dell’11 settembre a cui la città ha dedicato una stele alla cui sommità sono posti due ruderi delle Torri Gemelle.
Dall’Italia, dalle Amministrazioni regionali e comunali di provenienza dei prigionieri sono stati portati doni simbolici. Tra i tanti ricordiamo il Comune di Roma capitale che ha donato una medaglia commemorativa e il Comune di Nespolo – paese natale dell’artigliere Giovanni Appi – che grazie alla sensibilità del Sindaco Dottor Luigino Cavallari, ha donato il Gagliardetto del Comune.
Giovanni Appi era nato a Nespolo il 12 settembre 1921 faceva parte degli oltre 1000 prigionieri stanziati nel Campo militare di Letterkenny. Catturato in Africa nella sanguinosa battaglia di El Alamein (1943) fu, lui dirà” fortunatamente”, deportato negli Stati Uniti. Dopo un lungo e travagliato viaggio via mare giunse a New York. L’arrivo per mio padre fu indimenticabile: tutti i prigionieri furono curati, sfamati e trattati con rispetto ed umanità, gli americani seppero restituire loro dignità e speranza nel futuro. Questi sentimenti di gratitudine verso le autorità e il popolo americano sono presenti in tutti i racconti dei prigionieri italiani che si sentirono veramente fortunati rispetto a tanti connazionali prigionieri in altri paesi. Mio padre passò in vari campi di concentramento americani, ma dopo l’armistizio dell’8 settembre fu chiesto loro dalle Autorità militari americane di collaborare allo sforzo bellico.
Mio padre accettò e insieme a quasi tutti i prigionieri italiani fu mandato a Letterkenny. Come Collaboratore gli fu consentito di indossare la divisa militare americana e di lavorare nei grandi depositi militari del Campo. A Letterkenny vi erano 30 enormi magazzini e 800 depositi sotterranei che ospitavano munizioni e armi. I prigionieri svolgevano vari lavori manuali, anche se prevalentemente si occupavano di caricare e scaricare materiale bellico nei treni.
Il tempo libero era dedicato a tante attività: formarono una banda musicale che si esibiva nei giorni di festa nell’anfiteatro costruito dagli stessi prigionieri (oggi non più visibile), curarono la redazione di un Giornale del Campo, organizzarono tornei di calcio, costituirono una piccola biblioteca e riuscirono, grazie all’aiuto delle famiglie italo-americane, ad organizzare una scuola per imparare la lingua inglese.
Tra i prigionieri italiani vi fu un caso di suicidio: un soldato italiano apprese la notizia della morte della moglie e disperato si gettò sotto un automezzo. I prigionieri rimasero particolarmente addolorati da questo gesto disperato e chiesero un luogo dove pregare per il loro compagno. Fu concesso loro il permesso di costruire una Chiesa.
Nel tempo libero e con materiali di risulta raccattati nei pressi del Campo costruirono una Chiesa. I lavori durarono 2 anni e il 13 maggio 1945 alla presenza delle autorità militari e del Nunzio Apostolico Cardinale Amleto Cicognani la Chiesa venne consacrata. I prigionieri vollero chiamarla Chiesa della Pace a testimonianza della ritrovata pace e del legame di amicizia tra i popoli italiani e americani. La Chiesa tutt’oggi è custodita dai cittadini di Chambersburg ed è monumento storico e come tale è tutelato.
Ad oggi sono stati rintracciati i familiari di 600 dei 1250 prigionieri e il fondatore dell’AMPIL Antonio Brescianini, figlio di uno dei prigionieri, continua nella sua paziente e tenace ricerca.
La commovente visita al Campo di Letterkenny (sono tutt’oggi visibili i grandi depositi di armi, i fabbricati dove vivevano i prigionieri) nonché la Chiesa della Pace, l’accoglienza che le autorità e gli stessi cittadini hanno riservato a noi italiani, ci ha fatto sentire commossi e orgogliosi dei nostri genitori che, nonostante l’orrore della guerra hanno saputo mantenere dignità, forza e speranza: tutto ciò grazie al popolo americano .
Discorso tenuto da Maria Itala Appi come vice-presidente dell’AMPIL (Associazione per la Memoria dei Prigionieri Italiani a Letterkenny)
Sono veramente lieta ed onorata di porgere il saluto dell’Associazione per la memoria dei prigionieri italiani a Letterkenny, alle autorità militari, civili e religiose e a tutti i presenti che hanno concorso, a vario titolo, alla realizzazione ed alla riuscita di questo incontro che intende celebrare i 75 anni dal rimpatrio dei nostri familiari e, nel contempo, fornire nuovi elementi di consapevolezza storica e, in alcuni casi, di riscoperta delle proprie radici e identità.
In particolare desidero ringraziare l’opera svolta in questi anni da Alan Perry e David Sciamanna per le iniziative e i contatti avuti costantemente con noi italiani.
La prigionia di guerra è difficile da raccontare e ancora più difficile da celebrare. I nostri familiari però hanno avuto il privilegio di essere trasferiti, dall’orrore della guerra, in America, in questo Campo.
Grazie alle Autorità e alle molte famiglie italo-americane, alla Chiesa locale, che hanno restituito loro non solo benessere fisico e sostentamento, ma soprattutto dignità e speranza, i nostri cari hanno saputo ritrovare nuova forza e consapevolezza e rinascere.
Dopo lo smarrimento e la desolazione della guerra hanno guardato al futuro con rinnovata fiducia che ha consentito loro di mettere in atto una serie di iniziative (ben evidenziate nella Mostra fotografica realizzata da Giorgia Magni ed Alan Perry) e, tra le altre, la costruzione della “Chiesa della Pace” di Letterkenny, oggi monumento storico.
L’Associazione è nata grazie ad una attenta e minuziosa ricerca (penso al nostro infaticabile Antonio Brescianini) che ha consentito di raccogliere e annodare i fili, i centinaia di minuscoli fili che ne costituiscono l’ “ordito”.
Noi associati non ci siamo scelti. Ci siamo trovati, in quanto familiari dei prigionieri, a farne parte e a condividerne le esperienze: come i nostri cari si sono trovati, senza conoscersi, a condividere la dura sorte e il campo di prigionia.
Il non scegliersi, il trovarsi a condividere lo stesso destino ha avuto come presupposti indispensabili l’umanita’, la solidarietà e la tolleranza.
Il rispetto, la stima, l’amore per l’altro sono stati i valori che hanno animato i nostri cari e che hanno trasmesso non solo a noi familiari ma anche alle nuove generazioni che si trovano a vivere in questo periodo storico contrassegnato da profonde e laceranti inquietudini.
Mi piace immaginare l’A.M.P.I.L. un “ponte” che unisce sponde, mette in comunicazione passato e presente e questo convegno che fa incontrare uomini di paesi, cultura, tradizioni e lingue diverse lo testimoniano.
Associazione per la memoria, laddove il “per” è inteso come servizio e “memoria” come viva e attuale testimonianza del passato.
Le tante attività poste in essere in questi anni attraverso documentazioni e la stessa mostra itinerante nelle città e nei piccoli comuni che hanno dato i natali ai prigionieri e questa stessa importante celebrazione sono vive e attuali testimonianze che ci invitano a procedere in questa direzione e ci consentono un bilancio positivo di cui possiamo essere soddisfatti, addirittura orgogliosi.
Ancora un ringraziamento di cuore a tutti Voi presenti per l’attenzione.
Maria Itala Appi