Tivoli – È stata inaugurata recentemente la personale dell’artista slovacca Petra Feriancova, dal titolo FABVLAE, nello spazio del Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli.
La mostra è finita presto al centro dell’opinione pubblica per un’installazione che prevede come protagonista un bue con le corna dipinte di blu: l’ira di alcuni animalisti, che ha condannato la costrizione dell’animale a un esercizio tutto umano come l’arte, non ha tardato a farsi sentire.
Per evitare però che il peso reale della mostra venga sepolto da una polemica destinata probabilmente a esaurirsi presto, può essere utile cercare di indagare le opere nella loro concreta efficacia estetica e intellettuale, e fare innanzitutto in modo che a parlare sia l’arte, vista l’occasione – purtroppo poco frequente – di una mostra di respiro internazionale finalmente inserita nel nostro territorio.
Il dato che accomuna le esposizioni di Feriancova è un costante richiamo alla dimensione animale o botanica o naturale e pre-umana in generale. Anzi, tutta la ragione di questa mostra si dà nel dialogo che creature animali (o riferimenti a esse) intessono con uno spazio invece del tutto umano, come il Santuario.
Si noti però innanzitutto questo: che la composizione del Santuario – uno dei siti archeologici più notevoli, ma anche meno noti al grande pubblico, della zona Tiburtina – è tutt’altro che omogenea, e che si tratta in verità di uno spazio stratificato. Certo, il punto di partenza è l’antica struttura romana: eretto tra il II e il I secolo a.C., il Santuario era un colosso, il più grande dedicato a Ercole in tutto il Mediterraneo dopo quello di Gades un Spagna.
Ma col sito – del resto riaperto al pubblico solo nel 2016 – il tempo è stato poco clemente: la decadenza della civiltà antica lo ha costretto a vari riusi nel corso del tempo, attraverso ad esempio la costruzione, sopra le rovine, di una chiesa francescana. Con l’epoca industriale, poi, tra ‘800 e ‘900, si ha la trasformazione più massiccia: il Santuario subisce modifiche per opera delle Forze Idrauliche per l’Industria e l’Agricoltura, poi per la costruzione della Cartiera Mecenate, quindi per i lavori dell’Enel.
Il Santuario si presenta quindi oggi spogliato della sua monumentalità antica e restituito in una sovrapposizione di civiltà, di cui è del resto emblema lo scheletro metallico costruito a sostituzione della facciata dell’originale Santuario.
È in relazione a questo tipo di spazio – diacronico, in qualche modo – che bisogna leggere le installazioni di Petra Fierancova, il cui obiettivo di base è l’indicazione di una dimensione animale ormai sconosciuta all’uomo per colpa del fatto civile, della separazione dalla natura provocata, per forza di cose, dal successo dell’artificiale.
Ecco la direzione, allora, della già menzionata e molto discussa opera del bue: Tombolino – così il nome dell’animale – è l’interpretazione più letterale di questo assunto e dimostra, col suo passeggiare tra gli spazi del Santuario, il tentativo di riallacciarsi a un contesto ontologico (il contatto originario con la natura) e storico (il Santuario sorge su una zona di antica transumanza) ormai dissolto dalla stessa imposizione dell’artificiale, che non solo comprende anche il Santuario, ma anzi trova nel Santuario – che è, come detto, un coacervo di “umanità” diverse – la sua applicazione più naturale ed efficace. Le corna blu, dal gusto surreale, fantazoologico, allegorizzano tutto il procedimento, e funzionano con lo stesso meccanismo degli Out of Place Artifacts, gli oggetti fuori dal tempo: sono il segno visibile – sul corpo – di un filtro ineliminabile che rimane tra l’animale e il suo spazio originale, ormai allontanato da una ragione cromatica che è pure indissolubile ragione storica.
Così l’oblò nella parete che inquadra in una cornice artificiale il paesaggio di Quintiliolo; così le farfalle libere e il canto di balena registrato e riprodotto in loop che introducono forme a noi lontane di esistenza in modo pervasivo (il suono, le farfalle sparse) eppure inafferrabile; così le lapidi incise poste accanto alle statue antiche, che aprono a nuove interpretazioni e svaporano le posizioni statiche delle statue in diacronie di significato. Tutta FABVLAE è una complessa operazione di contatto e insieme fallimento di contatto con una dimensione che non può più darsi e che pure è quella da cui veniamo. Ma è anche la possibilità finalmente di evidenziare con un lavoro di notevole spessore intellettuale un sito tanto rilevante sul piano storico ed estetico quanto a rischio di cadere abbandonato a se stesso.
[Foto della pagina Facebook de Il Santuario di Ercole Vincitore: https://www.facebook.com/santuariodiercolevincitore/]