Vicovaro – Le parole che portano a Lui (Ivvi, 2021) è l’esordio della poetessa vicovarese Elisabetta Santirocchi, incentrato sull’episodio triste – e biografico – della perdita del padre. Il libro è infatti già nella struttura costruito in base a questa tragedia originaria, dal momento che si divide in due capitoli, temporalmente circoscritti (2018 e 2019-2020), e soprattutto riferiti a due momenti della “storia finale” del padre: Il progredire della malattia e La separazione. L’episodio nefasto è dunque oggettivamente il fulcro della distensione che la poesia va a ricoprire, configurandosi come “universo ulteriore” rispetto alla vita, zona di interrogazione e maturazione del lutto.
Il libro segue del resto le tappe, più che della malattia, della “ricezione tragica” della figlia («Nessuno sa / cosa ho dentro, / nessuno conosce / il mio tormento»). Ogni poesia è perciò la “lettura” di una dimensione della morte o dell’amore, con questi ultimi che si intrecciano a partire dal fatto che l’amore si come gonfia in occasione della morte, si quasi alimenta – paradossalmente, ma non troppo – proprio della scomparsa.
Dal punto di vista stilistico, quindi, seguiamo una poesia molto indirizzata verso lo sforzo di nominazione del male e degli effetti del male. I riferimenti al mondo della natura («Sei la prima stella», «Gli occhi nel mare»), i dualismi archetipici («Sei la tenace luce della luna / che testarda / illumina e conforta / anche nascosta dalle nubi»), nonché generalmente la tendenza della parola ad assolutizzare («Eterno come il tuo Amore, / Eterno come Noi») sono dunque gli strumenti impiegati per nominare la tragedia, prima di tutto, dunque per elevarla a livello universale – lutto per il singolo, ma catastrofe generale; da cui, però, si può uscire (o meglio: camminare dentro) proprio attraverso gli strumenti cauterizzanti, in un certo senso mascheranti (la metafora che effettivamente sposta il significato, allontana il fatto) della poesia.
Certo, Santirocchi si trova solo all’inizio del suo percorso di scrittura, e quindi Le parole che portano a Lui non può che includere anche soluzioni ancora un po’ acerbe, non pienamente controllate. Che la poesia venga scelta come strada catartica (dal lutto) e conoscitiva (del lutto, della morte) è tuttavia il fatto degno di nota: nei giorni – i nostri – della disseminazione disorientante del linguaggio, il verso sembra rimanere ancora una bussola, l’assunzione della complessità della parola, che solo così, per via poetica appunto, può arrivare ad affrontare viso a viso l’altrimenti innominabile perdita di un padre.
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Quando la maschera cade
Quando la maschera cade,
le parole soffocano in gola
e l’anima si dimena
tra i campi del dolore,
ti parlo attraverso la musica.
Subito
incontro il tuo sorriso,
subito
mi ritrovo tra le tue braccia,
subito
tutto il resto si dissolve.
(da Le parole che portano a Lui, Elisabetta Santirocchi)