Roma – Si è aperta ieri, nello spazio del CONDOTTO48 (Via Carlo Antonio Grue, 48), Polvo eres, mostra personale di Eliel David Pérez Martinez (1988, Oaxaca, Messico), curata da Riccardo Paris, che sarà visitabile fino al 18 febbraio.
Alla sua prima personale a Roma, Pérez Martinez propone un lavoro incentrato sulla spiritualità, che prevede la partecipazione attiva dello spettatore: questi viene fatto entrare in una stanza dall’atmosfera magica, decorata con icone e oggetti rituali, e gli viene data possibilità di indossare una maschera, esplorare lo spazio, manipolare argilla e altri elementi per costruirsi in autonomia il proprio percorso rituale.
L’efficacia di Pérez Martinez sta tuttavia nell’affrontare questa realtà sciamanica con un’ironia in grado di dissacrare e allo stesso tempo guardare con rispetto le forme rituali. Tra gli ingredienti che lo spettatore può manipolare troviamo infatti banconote tagliate, resti di gomme di bicicletta, fondi bruciati di padelle – residui, insomma, di una vita che pare al di fuori della magia e che viene qui però rifunzionalizzata al rito.
Si tratta, trasversalmente, di un discorso critico sull’appropriazione culturale, sul feticismo verso le pratiche culturali, e nel comunicato stampa leggiamo infatti: «È necessario appropriarsi di quello che ci incuriosisce? È possibile immaginare una distanza corretta, che permetta di vivere certe esperienze, senza contaminarle? O la contaminazione è una componente implicita della trasmissione di tutti i racconti, e deve quindi essere accolta come parte integrante di questi?»
Il lavoro di Pérez Martinez, insomma, conduce nella zona grigia in cui è inserita la spiritualità contemporanea, a metà tra necessità di una dimensione ulteriore, trascendente, e l’incapacità di aderire realmente a una liturgia codificata. Pérez Martinez decostruisce la tragedia di questa incapacità, la converte in gioco e così le dona un significato nuovo, aderente – nella sua felice ambiguità – al terreno friabile della contemporaneità.