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Ricordi di Natale di una Roma sparita!

Roma – Spulciando tra le risorse digitali dell’Archivio Storico Capitolino  si scoprono tradizioni e suggestioni del Natale in una Roma che non c’è più.

 

Alcuni articoli della rivista Capitolium, la cui serie completa è conservata dall’Archivio Storico Capitolino, raccontano com’erano vissute le festività. Dai presepi alle decorazioni, dal menù traduzionale ai “pifferai”, le carte conservate e scansionate, offrono uno spaccato su usi e riti, alcuni scomparsi, altri trasformati, altri ancora in uso durante le festività.

 

L’Archivio Storico Capitolino conserva documenti pubblici e privati che raccontano la storia della città e delle sue istituzioni. Ha sede nello spettacolare complesso monumentale dell’Oratorio dei Filippini progettato, e in parte realizzato, da Francesco Borromini.

 

La musica in strada

 

A Roma durante feste non poteva mancare la musica. I “pifferai” scendevano nella Capitale dai monti degli Abruzzi e dalla Ciociaria dal 25 novembre, festa di Santa Caterina, fino all’antivigilia, quando facevano ritorno dalle rispettive famiglie per il Natale.  Se ne ha notizia, forse la prima volta, nel 1618 nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Suonavano zampogne e pifferi “avvolti in larghi mantelli con il cappello di feltro ornato di nastri a vivaci colori le caratteristiche ciocie ai piedi” racconta Ottorino Montenovesi ne “Il Natale a Roma prima del 1870 “.  Si spostavano a gruppi di due o tre e intonavano cantilene con parole e vocalizzi a volte incomprensibili davanti alle edicole sacre, alle facciate delle case, negli androni dei palazzi, nelle stalle delle latterie.

Ma non erano i soli ad esibirsi in strada: i “carciofolari”, erano suonatori non di zampogna ma di arpa, “più a buon mercato dei pifferai dei quali si consideravano poco meno che nemici”.

 

Il menù delle feste

 

Il cenone del 24 dicembre, prevalentemente a base di pesce, di “magro” aveva solo il nome. Montenovesi elenca tra le pietanze broccoli conditi con l’agro di limone, anguilla o capitone arrostiti tra foglie alloro e pesce fritto.

La tradizionale vendita all’asta del pesce, il cottìo di Natale era un vero spettacolo da non perdere. Al Portico d’Ottavia “chi faceva parte dell’Università dei Pescivendoli riceveva per il cenone pesci in regalo purché un certo numero di volte l’anno avesse assistito alle funzioni religiose dell’Oratorio dell’università stessa presso la chiesa di Sant’Angelo in Peschiera” si legge nell’articolo.

Il lungo pranzo di Natale aveva invece come protagonista il tradizionale brodo di cappone.

 

Il presepe

 

Piazza Navona Dic.1981 copia (1).jpg

 

I pastori del presepe, chiamati “pupazzi”, erano di creta, colorati solo sul davanti e l’arte del crearli era un mestiere che si tramandava di padre in figlio, oggi pressoché scomparso. Roma aveva una nobile tradizione artigiana, erano famosi i presepi nelle chiese dell’Ara Coeli, di San Francesco a Ripa, di Sant’Andrea della Valle e di San Rocco in via di Ripetta e anche moltissimi presepi privati.

Il giorno di Natale grandi e piccoli andavano visitarli e le famiglie tenevano le porte di casa aperte proprio per mostrare il presepe a tutti.

Nel corso degli anni la rappresentazione visiva del Natale va via via volatizzandosi. Tuttavia resiste nelle abitazioni private. Finché nel 1965 il presepe a Roma esce anche ufficialmente per le strade. Oltre al tradizionale allestimento a piazza Navona, in quell’anno ne vengono preparati altri due, uno sulla scalinata di Trinità dei Monti e uno a Piazza del Popolo, lo splendido presepe del Poligrafico dello Stato con statuette del Settecento Napoleonico”.

 

Messa e fantasmi di mezzanotte

 

La messa di mezzanotte nell’Ottocento era una rara occasione per vedere la città animata dopo le nove di sera.

Finito il cenone della Vigilia si giocava la tombola e poi chi era ancora in piedi si recava a seguire la funzione nella chiesa più vicina.

Secondo un’antica leggenda popolare, raccontata da Mario Giordano le anime sante dei defunti che non erano state suffragate durante l’anno dai familiari si presentavano la notte di Natale a rimproverare i propri congiunti per averli dimenticati. Meglio quindi uscire per non trovarsi a tu per tu con loro fra le mura domestiche. I defunti si credeva che avrebbero comunque fatto visita alle rispettive case e avrebbero banchettato allegramente sulle tavole imbandite.

 

Le bancarelle

 

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I banchi con ogni sorta di cibarie e dolci sono un’antica usanza romana così come decori e luci per le piazze e le strade.

 

In ‘Natale Romano” Nello Ciampi racconta l’atmosfera natalizia della Roma dell’epoca ” la grande armoniosa Piazza Navona ha ospitato anche quest’anno lo spettacolare circo fatto di baracche traboccanti di pupazzi destinati a popolare i presepi di casa, di giocattoli dai più elementari ai più complicati per la gioia dei fanciulli, di dolci per la ghiottoneria dei grandi e dei piccini. Nel giro magico di questo circo si agita una folla chiassosa”.

 

Luci e decorazioni in centro

 

“Natale 1965 a Roma”, il reportage fotografico di Federico Garolla, descrive una città più moderna dove si assiste ad “una più intelligente integrazione tra il nuovo e il vecchio”.

Proliferano luci, argenti, festoni di tutti i generi, alberi, lampadine  a intermittenza.

 

A via del Babbuino viene “realizzata in molte vetrine la fusione tra il nuovo come spirito e il vecchio come tradizione”. È ancora sono decorate via Frattina e via Ottaviano (immagine di copertina) dove i commercianti invitano all’acquisto con lo slogan ” Preferisco comprare in via Ottaviano!”

 

Gli alberi di Natale e gli addobbi floreali negli anni Cinquanta

 

Accanto alla tradizione del presepe si afferma sempre più nella Capitale quella dell’albero di Natale, per la prima volta “trapiantata al Quirinale da Margherita di Savoia e rapidamente diffusa una cinquantina d’anni fa con l’idea di importare anche gli alberi”, scrive Francesca Paola in “Abeti, rose e stelle di Natale”.

 

Vengono trasportati a valle dai boschi italiani ma anche dall’Austria dalla Germania dalla Norvegia. Gli abeti invadono la città: “Improvvisamente ne spunta un boschetto dove meno lo si sarebbe aspettato nelle cantonate ai crocicchi sui marciapiedi nelle piazzette dove non brillano più per il freddo le aiuole fiorite”.

 

Anche i fiori a Natale conoscono momenti di gloria. “Le dodicimila aziende italiane di floricoltura provvedono a portare sul mercato romano decine di migliaia di rose”. Dalla fine degli anni Cinquanta “la vendita dei fiori recisi e delle piante verdi da appartamento è aumentata in modo incredibile. Essi hanno sostituito il biglietto d’augurio e il regalo che esige la conoscenza della persona e implica un certo rischio di sbagliare”.

Garofani, piccole azalee di setta, rametti di abete, l’agrifoglio dalle foglie pungenti e dalle bacche rosse sono tra i più gettonati per i decori. L’atmosfera del Natale si avvicina sempre più a quella dei nostri giorni.

 

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FONTI

“Il Natale a Roma prima del 1870” di Ottorino Montenovesi. Capitolium, Numero 12, anno 1953

“Le tradizioni del Natale romano” di Mario Giordano. Capitolium, Numero 12, anno 1956

“Natale 1965 a Roma”, il reportage fotografico di Federico Garolla, Da Capitolium dal 1965 al 1976

“Abeti, rose e stelle di Natale” di Francesca Paola Capitolium Numero 12 anno 1957.

“Natale romano” di Nello Ciampi, Capitolium Numero 12 Anno 1953 (XXVIII)