Riofreddo – Tanta partecipazione ieri alla processione in onore del Santo Patrono di Riofreddo San Giorgio. Come da tradizione l’effige del Santo è stata onorata e celebrata con fede e devozione.
LA STORIA DI SAN GIORGIO: Sulla vita di san Giorgio, la cui esistenza è attestata dal culto antichissimo a Lydda e da un’epigrafe greca del 368, rinvenuta ad Eaccea di Batanea, non si hanno notizie storicamente fondate perché già la prima Passio Georgii venne classificata fra le opere apocrife del Decretum Gelasianum del 496. Forse fu veramente un militare originario della Cappadocia. Tutto il resto è frutto di una Passio, la cui più antica redazione, probabilmente del V secolo, è conservata nel palinsesto greco 954 della Biblioteca Nazionale di Vienna: questa Passio leggendaria ha generato a sua volta una collana di leggende diventate patrimonio della tradizione popolare. Si narrava che Giorgio, educato cristianamente dalla madre all’insaputa del padre, era diventato tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia o, secondo un’altra versione, di Diocleziano. Durante una persecuzione, dopo aver donato i beni ai poveri, Giorgio confessa la sua fede davanti al tribunale dell’imperatore che lo condanna a feroci torture. Gettato in carcere, ha una visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione. Il martirio nella fantasia incontenibile dei suoi agiografi si trasforma in una storia di prodigi difficilmente credibili: vince un mago convertendolo; tagliato in due con una ruota irta di chiodi e spade, resuscita convertendo il magister militum Anatolio con tutte le sue schiere che vengono passate a fil di spada; entra in un tempio pagano e abbatte gli idoli con lo sguardo; converte persino l’imperatrice che a sua volta viene martirizzata; prima di essere decapitato ottiene dal Signore che l’imperatore e i suoi settantadue re siano inceneriti e promette protezione a chi onorerà le sue reliquie.
Molto più tarda è invece la storia della fanciulla liberata dal drago. Nella Leggenda Aurea Jacopo da Varagine narra che vicino alla città di Silene, in Libia, vi era uno stagno grande come il mare dove si nascondeva un drago che, quando si avvicinava alla città, uccideva con il fiato coloro in cui s’imbatteva. I cittadini per placarlo gli offrirono due pecore al giorno; e, quando queste cominciarono a scarseggiare, una pecora e un uomo tirato a sorte fra i giovani. Un giorno venne designata la figlia del re il quale tentò di riscattarla offrendo il suo patrimonio e metà del regno; ma il popolo gli rispose sdegnato: «I nostri figli son morti e tu vorresti salvare la figlia tua? Se non permetterai che muoia come gli altri, bruceremo te e la tua casa!». Il re ottenne soltanto otto giorni di dilazione durante i quali il drago uccise decine di abitanti. Ormai non si poteva più procrastinare il sacrificio, e la fanciulla si avviò piangente al lago. In quel momento il cavaliere Giorgio passava di là casualmente; saputa la triste vicenda, le disse: «Figlia mia, non temere perché io ti verrò in aiuto nel nome di Cristo». Mentre così parlava, il drago uscì dalle acque sprizzando fuoco e pestifero fumo dalle narici. Ma Giorgio non si spaventò: saltato a cavallo, vibrò con forza la lancia ferendo gravemente il mostro che cadde a terra. «Non avere più timore» disse il prode cavaliere «e avvolgi la tua cintura al collo del drago!» La fanciulla obbedì e il drago cominciò a seguirla obbediente come un cagnolino.
Vedendola avvicinarsi alla città con il mostro al guinzaglio il popolo si atterrì. Ma Giorgio lo rassicurò: «Non abbiate timore perché Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago. Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro». Allora il re e tutta la popolazione si convertirono chiedendo al prode cavaliere di mantenere la promessa: Giorgio uccise il drago e poi ordinò che fosse trasportato fuori della città con un carro trainato da quattro paia di buoi.
La leggenda era sorta al tempo delle crociate per una falsa interpretazione di un’immagine di Costantino trovata a Costantinopoli, dove il primo imperatore «cristiano» schiacciava col piede un drago che rappresentava «l’inimico del genere umano». La fantasia popolare, forse pensando inconsciamente al mito greco di Perseo che uccide il mostro liberando la bella Andromeda, ricamò un racconto che si diffuse anche in Egitto per l’analogia con un’immagine popolare in quella terra e oggi conservata al Louvre, dove il dio Horo a cavallo trafigge un coccodrillo, simbolo del malefico Seth. Sicché san Giorgio «montò» a cavallo ispirando una tradizione iconografica giunta fino a noi. D’altronde, l’immagine di un eroe o di un dio cavaliere che contrasta o soverchia un animale mostruoso — serpente o coccodrillo — era popolare in età ellenistica fin dal III secolo prima del Cristo. La figura di san Giorgio su un cavallo bianco che trafigge con la spada o la lancia il drago è diventata un toposiconografico. Ma il santo appare anche isolato, a piedi e con il capo nudo dai lunghi e giovanili capelli. In ogni modo gli attributi sono sempre la corazza, la spada, la lancia, che in certi casi appare spezzata, come nel quadro del Mantegna alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e talvolta lo stendardo crociato. Numerosi sono anche i cicli dedicati alla sua vita, come quello del Carpaccio, un capolavoro, nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia.
Per tutti questi motivi il culto di san Giorgio era destinato a diffondersi da Oriente a Occidente: si favoleggiava addirittura che il Cristo avrebbe trionfato sull’Anticristo uccidendolo proprio davanti alla basilica di San Giorgio di Lydda. I crociati accelerarono questo processo trasformando il martire in un santo guerriero e simboleggiando con l’uccisione del drago la vittoria sull’Islam. Già nell’assedio di Antiochia del 1098 san Giorgio è con san Demetrio il protettore dei Franchi; e al tempo di Riccardo Cuor di Leone viene invocato da tutti i combattenti.
Nel frattempo con i Normanni il culto del santo orientale si era radicato straordinariamente in Inghilterra. Qualche secolo dopo, nel 1348, Edoardo III introdusse il celebre grido di battaglia «Saint George for England» e istituì l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera. Il martire era diventato anche il patrono di varie città marinare da Genova a Barcellona, da cui partivano i mercanti con i crociati; e insieme con san Sebastiano e san Maurizio, dei cavalieri, soldati, arcieri, alabardieri; e infine veniva invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e le streghe. Oggi, in Italia, è il patrono delle diocesi di Ferrara, Genova e Reggio Calabria e della città di Campobasso, dove invece il patrono diocesano è san Leonardo di Nobiliacum, festeggiato il 6 novembre: un eremita francese del Limosino vissuto tra il VI secolo e il X e considerato il patrono dei prigionieri, tant’è vero che nella sua iconografia ha come attributo le catene o i ceppi da cui sono stati liberati i prigionieri. Questo suo patronato nacque da una tarda leggenda dell’XI secolo secondo la quale i prigionieri, nell’invocarlo, vedevano spezzate le loro catene. Molti di loro andavano poi a vivere presso il monastero di Saint-Léonard-de-Noblat o Nobiliacum, in latino, che era sorto a poco a poco grazie alla venerazione che vi godeva l’eremita. Il suo culto, che si diffuse in tutta l’Europa, fu portato nell’Italia meridionale dai Normanni. Per questo motivo a Campobasso vi è una chiesa dedicata al santo, che è considerato anche il patrono dei fabbricanti di catene, di fibbie e fermagli, ma anche degli agricoltori e delle puerpere, e una volta proteggeva contro i briganti.
Nel medioevo la popolarità di san Giorgio, il cui nome non aveva nulla di guerriero perché era la traduzione del tardo greco Gheórghios, derivato a sua volta da gheorgós, agricoltore, era cresciuta a tal punto da ispirare una letteratura che gareggiava con quella dei cavalieri dei cicli bretone e carolingio. E nei Paesi slavi la collocazione calendariale della festa al 23 aprile, mantenuta anche nel nuovo Calendario liturgico romano sebbene sia stata declassata a memoria facoltativa per la mancanza di notizie certe sul suo martirio, fece attribuire al santo persino la funzione «pagana» di sconfiggere le tenebre invernali, simboleggiate dal drago, e di favorire la crescita della vegetazione in primavera. Gli slavi della Carinzia celebravano la sua festa guarnendo un albero tagliato alla vigilia e portandolo in processione tra canti e musica insieme con un fantoccio che poteva essere un ragazzo in carne ed ossa, ricoperto di fronde di betulla dalla testa ai piedi: il «Verde Giorgio», che veniva poi gettato nell’acqua affinché procurasse pioggia e dunque favorisse la crescita dei frutti e dei foraggi per le bestie; ultima metamorfosi leggendaria di un umile martire onorato persino dai musulmani, come testimonia l’appellativo di «profeta» che essi gli diedero e il bel racconto delle sue gesta narrato da Wabb ibn Munabbih nell’VIII secolo.
La collocazione calendariale della sua festa ha anche ispirato vari proverbi meteorologici e di campagna. I contadini dicono per esempio: «Quando san Giorgio, semina l’orzo», ma anche in Veneto: «Per san Zorzi ga la spiga tuti i orzi e se ancora no i la ga più mal che ben sarà», cioè per san Giorgio hanno la spiga tutti gli orzi, se ancora non ce l’hanno è più male che bene. L’apparente contraddizione tra i due proverbi è spiegabile perché esistono varietà di orzi che si seminano in autunno e altri che si seminano in primavera. A san Giorgio si ricollegano anche i bachi da seta, soprannominati «i cavalieri». Un proverbio ricorda a questo proposito: «Co piovi ’l giorno de san Zorzi i cavalieri i va a torzio», cioè quando piove il giorno di san Giorgio, i cavalieri vanno a spasso. Effettivamente intorno al 23 aprile i bachi da seta sono già nati o stanno per nascere. Quanto alle previsioni meteorologiche, ci ricordano che «Quando san Giorgio viene di Pasqua per il mondo c’è una gran burrasca»: ma succede per fortuna raramente.