Rocca di Botte – Ha emozionato tutti, il sindaco di Rocca di Botte Fernando Antonio Marzolini quando nel pomeriggio di ieri ha portato il saluto al convegno sul tema “Le Terre di Casauria, la terza DPCG d’Abruzzo” per la sua diciassettesima edizione. Dopo la presentazione introduttiva curata dal giornalista Daniele Imperiale, il primo cittadino ha sorpreso tutti.
E con lo stemma del comune al suo retro, dopo il saluto ai presenti ed ai relatori, ha spiegato proprio lo stemma: la Torre e la Botte. La voce del sindaco era spesso rotta da una forte emozione. Ha ricordato dapprima le sue origini, la sua natalità roccatana, ed è emerso tutto il suo più alto senso di appartenenza e di onore nel rappresentare la sua amata comunità.
La Torre, che splendida domina sulla piana e che affascina tutti da sempre, e poi i significato della Botte, legato per l’appunto al vino. Molti non si sono probabilmente mai chiesti il significato sullo stemma e sulla denominazione di questo borgo intriso di accoglienza, fascino e storia.
Il sindaco ha ripercorso la storia, ricordando fatti di quando egli stesso, bambino roccatano, era protagonista in quella giovanissima età.
E qui Rocca di Botte appare protagonista della viticoltura, della coltura e della cultura produttiva dell’uva bianca e nera. Questo spiega anche la presenza di cantine che si trovano pressochè in ogni abitazione del centro storico e che ieri sera sono state aperte per un percorso a dir poco suggestivo.
“Il vino che si produceva a Rocca di Botte – ha spiegato il sindaco – era di particolare pregio e si otteneva con metodi antichi, divertenti ma accurati come la pigiatura dell’uva con i piedi senza torchi. Gli anziani insegnavano a tutti come muoversi per ottenere una spremitura ottimale.” In quest’epoca storica ormai lontana, Marzolini ricorda la figura di un frate Laico: fra’ Dionigi che dal Santuario della Madonna dei Bisognosi arrivava con un somaro a Rocca e questo somaro reggeva due barili , uno per il vino rosso, uno per il bianco ed effettuava la questua del vino che serviva per scopi di beneficenza.
La vendemmia dell’epoca, racconta il primo cittadino si svolgeva in un periodo molto lungo, iniziando dalla primizia (prime uve raccolte) con quelle della tardizia (raccolte anche a fine ottobre). Le ragazze roccatane venivano assoldate dagli acquirenti che acquistavano l’uva destinata ai mercati generali di Roma, al fine di far scegliere loro i grappoli più belli.
“Per noi ragazzini dell’epoca – racconta Fernando Marzolini – la vendemmia era una grande festa e si era soliti come da tradizione, mettere in atto il gioco della “Mustarella”: si prendevano alcuni chicchi di uva che venivano reciprocamente spalmati sul viso tra ragazzi e ragazze”. Il tutto in un sano divertimento fortemente caratterizzante.
Poi con l’arrivo della “Fillossera” (un insetto di origine americana che arrivò in Europa alla metà del secolo scorso e si diffuse rapidamente in tutti i vigneti provocandone la distruzione n.d.r. ), questa ricchezza produttiva venne distrutta in poco tempo. Ed il vino a Rocca, le botti per l’appunto diventarono presto solo un ricordo.
Di qui si spiega quello stemma che lega la Torre alla Botte, questa Rocca di Botte, che ancora una volta ieri ha affascinato tutti.