Roma – Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna, RAOUL DUFY (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953).
La mostra, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale per volontà del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideata dal Musée d’Art Moderne de Paris e curata da Sophie Krebs con il contributo di Nadia Chalbi.
Catalogo edito da Skira.
Autore di opere monumentali come La Fée Electricité (La Fata Elettricità, 1937 – 1938, Musée d’Art Moderne de Paris) – uno dei dipinti più grandi al mondo, di una lunghezza complessiva di 6 metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli dalla “Compagnie Parisienne de Distribution d’Électricité” per essere esposto nel Padiglione dell’elettricità all’Esposizione Internazionale del 1937 a Parigi -, Dufy fu un grande pittore, scenografo e disegnatore francese di inizio ‘900 che, per la sua capacità di catturare le atmosfere, i colori e l’intensità della luce e a trasferirli sulle sue tele, divenne – per antonomasia – il pittore della gioia e della luce.
Nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche ed ebbe un padre attivo come organista che trasferì in particolare a Raoul la sua stessa passione per la musica, che lui coltivò per tutto il resto della vita trasponendola anche nelle sue opere.
In seguito a una crisi finanziaria della famiglia, nel 1891 il giovane Raoul fu costretto a cercare lavoro a Le Havre.
Nell’ambiente artistico straordinariamente stimolante di Parigi si avvicinò a due maestri dell’impressionismo come Monet e Pissarro ma, nel 1905, lo scandalo dei Fauves gli rivelò una pittura moderna e “di tendenza” che lo portò ad avvicinarsi a Matisse.
Il 1903 fu l’anno della sua prima volta al Salon des Indépendants, nel quale espose fino al 1936 e poi fu accettato nel 1906 al Salon d’Automne (fino al 1943).
La sua attività artistica non conobbe interruzioni e, dal 1910, ampliò la sua attività nel campo delle arti decorative affermandosi con successo in una produzione assai vasta, dalla xilografia alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. Con un’attività artistica che non conobbe interruzioni fino alla sua morte, tutto ciò gli consentì di recuperare la sua tavolozza squillante, cui sovrappose un tocco grafico vibrante e allusivo.
Suddivisa in 13 sezioni tematiche, la mostra racconta l’intero percorso artistico del pittore francese, attraverso molteplici opere che abbracciano varie tecniche nei diversi decenni del Novecento, dagli inizi fino agli anni Cinquanta, quando Dufy cercò nuovi temi a causa della guerra e della malattia che lo costrinse a rimanere nel suo studio nel sud della Francia.
Un excursus che trova il suo leitmotiv nella violenza cromatica, nella magia di quel colore che diventa elemento indispensabile per la comunicazione di emozioni e stati d’animo.
Un’evoluzione che vede Dufy inizialmente prosecutore di quella tradizione impressionista germogliata con Monet proprio nella sua città natale di Le Havre e poi insieme ai Fauve che, radunati attorno alla figura di Matisse, reagiranno presto alla pittura d’atmosfera e a quel dipingere dominato dalle sensazioni visive, per poi approdare infine ad abbracciare l’austerità cezanniana con la quale le forme, le zone piatte di colori accesi o addirittura violenti sono indipendenti dalla linea che accenna appena a circoscriverle.
Onde a V rovesciata, nuvole e un mondo di forme: bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi ispirati sia dalla modernità che dal classicismo.
Predilige i paesaggi marittimi e ama particolarmente gli ippodromi che gli daranno grande successo. Sensibile all’aria del proprio tempo, si interessa infatti alla società dell’intrattenimento con le sue corse, le regate, gli spettacoli elitari e popolari al contempo che Dufy riproduce con brio e vivacità.
Un artista alla perenne ricerca di stimoli e sperimentazione, in grado di rendere l’arte impegnata ma allo stesso tempo apparentemente “leggera”, il cui scopo dichiarato era, come scrive la scrittrice americana Gertrude Stein, di arrecare piacere.
La mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia, con oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche e tessuti provenienti da rinomate collezioni pubbliche e private francesi – come il Musée d’Art Moderne de Paris che conserva di Dufy una delle più ricche collezioni, dal Centre Pompidou, Palais Galliera, la Bibliothèque Forney e la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet tutte di Parigi insieme al Musée de la Loire, Musée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, il Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e al Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles – racconta la vita e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla modernità, pervaso da una vivacità che ha saputo adattare a tutte le arti decorative, contribuendo a cambiare il gusto del pubblico.
Curata dalla Chief curator Sophie Krebs e Nadia Chalbi responsabile delle mostre e delle collezioni del Musée d’Art Moderne de Paris, la mostra è un viaggio emozionale attraverso i temi prediletti dall’artista, dove le sensazioni visive ridotte all’essenza della realtà, l’utilizzo della composizione, della luce e del colore sono gli elementi emblematici che caratterizzano le sue opere.
Afferma il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale: «Sono molto lieto di ospitare, presso lo spazio espositivo di Palazzo Cipolla, una mostra su Raoul Dufy, che viene riproposta a Roma dopo quasi quarant’anni di oblio (la prima ed unica esposizione su Dufy nella Capitale, prima di oggi, è stata infatti quella del 1984 a Villa Medici). Spesso non compreso a fondo, a causa dell’apparente semplicità del suo tratto pittorico, che gli ha fatto non di rado attribuire la patente di superficialità e mondanità, Raoul Dufy in realtà ebbe una formazione articolata e complessa: fu inizialmente influenzato dall’Impressionismo, perpetuando con maestria la tradizione di Monet e contando sulla peculiarità di essere un “colorista per temperamento”; successivamente, si accostò al Fauvismo ispirandosi alle figure di Matisse, Braque e Cézanne. La particolarità di Dufy risiede nel dissociare gradualmente, nel corso della sua maturazione artistica, il colore dal disegno, semplificando il più possibile ed anteponendo in tal modo la forma al contenuto. Egli – seguendo la propria teoria che il colore servisse ai pittori per captare la luce – viaggiò a lungo nel Mediterraneo, in particolare in Provenza (dove si stabilì) e nel Sud Italia. Da qui i celebri paesaggi, i bagnanti, i campi di grano, e poi le sale da concerto e soprattutto le regate, le corse dei cavalli e gli ippodromi, a raffigurare la società del tempo libero degli anni Venti e Trenta, che lo renderanno popolare tra il pubblico».