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Subiaco, vigilia di Natale 1847

editoriale di Gian Luca ORLANDI

Subiaco , vigilia di Natale 1847 ….
L’avarizia e l’egoismo sono due moti dell’anima che non si possono nascondere , anzi in certe persone anche l’aspetto fisico ne da testimonianza e Cesare Occhionero ne era un classico esempio, i capelli sporchi e untuosi , pantaloni e scarpe logore , una camicia che aveva sicuramente visto tempi migliori , solo la giacca sembrava fosse più recente e curata , ma solo perchè gli serviva a darsi un contegno davanti ai clienti.
Certamente il corpo ingobbito e il volto rugoso che annunciavano l’approssimarsi della vecchiaia abbruttivano ulteriormente la figura di Cesare Occhionero che era sì il suo cognome, ma era diventato anche il suo soprannome a Subiaco e nei dintorni, veniva infatti soprannominato così per via del suo aspetto torvo e dei sui occhi nerissimi e profondi che sembrava volessero maledire il mondo ad ogni sguardo.
Ma a lui non importava per niente il giudizio della gente , lui viveva solo ed esclusivamente per il denaro , per accumularlo finché poteva e per farlo non spendeva in niente che non gli fosse assolutamente necessario , praticamente il necessario per non morire di fame e di freddo.
Quella mattina della Vigilia di Natale stava avviandosi verso il suo negozio , locale del quale molti decenni prima Occhionero era riuscito ad impadronirsi quando il vecchio proprietario Santino , che li vi gestiva la sua malandata merceria , non era riuscito a restituire il prestito che aveva dovuto chiedere ad Occhionero a causa degli eccessivi interessi , così era stato costretto a cederlo.
E proprio in quel negozio Cesare Occhionero aveva cominciato la sua lucrosa attività, un tempo , infatti, era stato un mercante di merci diverse come le stoffe e le spezie , attività con cui aveva accumulato la sua enorme fortuna , ora il negozio era privo di mercanzie ma lo usava comunque ed esclusivamente come ufficio di contabilità dove teneva al sicuro le sue fortune e riscuoteva gli affitti di tutte le sue proprietà , ma la sua attività principale non era certamente una cosa di cui vantarsi , da tutti era conosciuto infatti soprattutto come prestasoldi, un usuraio della peggior specie , capace di buttare per strada vedove e famiglie che non riuscivano a ripagare il prestito a causa di interessi altissimi , che così perdevano case e proprietà.
In questo lo aveva aiutato fino a qualche mese prima il suo socio in affari e malefatte
Giovanni Picciafoco che per anni si era occupato per conto di Cesare di andare a ritirare mercanzie , riscuotere affitti ed interessi e cacciare di casa chi non pagava.
Nel mese di maggio di quell’anno però Giovanni era morto per un attacco di cuore e prima di morire si era fatto promettere da Cesare di dargli degna sepoltura, cosa che egli si era tenuto ben lontano dal fare , si disse che non valeva la pena spendere una fortuna per un uomo morto e senza parenti , quindi lo fece seppellire nella parte del cimitero adiacente il convento di San Francesco dove si seppellivano gli ignoti, senza una lapide o un nome da ricordare , nè tantomeno per portarci dei fiori o spendervi una preghiera.
Il Natale lo urtava , lo rendeva ancora più irascibile di quanto non fosse normalmente, prima di aprire la porta del negozio si voltò sulla piazza e sommessamente prese a maleparole tutte quelle persone felici e sorridenti , che si stringevano la mano in segno di augurio e si affannavano a comprare il necessario per la cena di Natale , soldi sprecati si disse , quattrini sperperati inutilmente in cibarie e regali.
Entrò quindi e chiuse la porta dietro di sé , quando si voltò vide il suo commesso Tobia armeggiare con la legna vicino la stufa e gli urlò contro 《 Tobia ! Cosa stai facendo , ti ho detto più volte che la stufa va accesa solo quando nevica , vedi forse fuori sulla piazza bambini che giocano con la neve ? La legna costa un occhio della testa e io non posso spendere una fortuna perchè tu non sopporti un pò di aria fresca , ricordatelo !》…
Il povero Tobia farfugliando qualche parola incomprensibile tornò velocemente al suo lavoro di contabile , presso il suo malandato scrittoio.
Tobia Testa era un uomo ancora giovane , di bell’aspetto, molto timido e timoroso , ma d’altronde non poteva essere diversamente con un padrone come Cesare Occhionero , ciononostante aveva trovato la sua forza in una Fede ferma e decisa in Nostro Signore e, seppure in mezzo agli stenti e con uno stipendio misero , insieme a sua moglie Ortensia avevano messo su una piccola dimora per se stessi ed i propri figli Pietro , Marta e Antonino che erano la gioia della sua vita e di sua moglie, anche se provava una profonda pena e preoccupazione per il piccolo Antonino che due anni prima si era ammalato di poliomielite , malattia che lo aveva reso storpio e di salute estremamente cagionevole , ma questa cosa non aveva intaccato minimamente il sorriso del piccolo che, al contrario , dava forza al resto della sua famiglia con la sua gioia di vivere .
Ma in quel momento Tobia era di umore allegro , il Natale gli donava gioia e felicità , sapeva che quella sera tutta la sua famiglia sarebbe stata riunita intorno al tavolo davanti al fuoco e poi sarebbero andati tutti insieme ad assistere alla funzione religiosa per la nascita del Salvatore , certo la cena sarebbe stata un pò misera ma l’importante, pensava , era che tutta la sua famiglia era riunita.
Qualche tempo prima , dopo molta titubanza , si era deciso a chiedere un aumento e per suo sommo stupore il signor Cesare gli rispose stranamente di si concedendogli qualche baiocco in più, ma scoprì ben presto a cosa realmente mirava il suo padrone , che cominciò a portargli sacchi pieni di vestiti che sua moglie doveva lavare, cosa che aveva permesso oltretutto a Cesare Occhionero di licenziare una popolana che si occupava dei suoi logori vestiti e risparmiare i soldi che le dava.
La mattinata in negozio passò veloce seduto allo scrittoio a far di conto e riportare tutto in contabilità mentre Occhionero andava e veniva per metter mano ai suoi affari , verso la fine della mattinata si accorse che il padrone aprendo la porta si era bloccato sull’uscio perchè era stato raggiunto da una persona che adesso parlava con lui.
Sporgendosi dalla finestra Tobia riconobbe il viso della persona che tratteneva il padrone sulla porta, era Federico , nipote di Cesare Occhionero e , senza volerlo , si era messo ad origliare il discorso tra i due 《 Sono passato a salutarti caro zio, portandoti i migliori auguri di Buon Natale da parte della mia famiglia e rinnovandoti l’invito a casa mia per il pranzo di Natale, saremmo lieti tu ti unissi a noi 》disse Federico allo zio che rispose
《 ti ripeto ciò che ti dissi lo scorso anno nipote , non mi piacciono affatto le riunioni di famiglia nè per il Natale , nè per nessun altro motivo, ci si ingozza di cibarie e si sperperano quattrini inutilmente , e poi andrò a dormire presto stasera perchè domani è giorno di lavoro 》 《 Ma zio domani è il 25 dicembre , è il santo Natale !!! Pensi al lavoro anche domani ? 》 《 Nipote , per quel che mi riguarda è un giorno come un altro , se pensi che mi fermo a causa delle smancerie del Natale allora ancora non mi conosci….》 a questo punto Federico disarmato da quelle parole lapidarie lasciò lo zio e si diresse a casa dove era atteso.
Cesare rientrò in negozio ,mentre stava ancora rimuginando inquieto sulle parole del nipote, si era appena seduto che la porta si aprì di nuovo facendo entrare l’ austera figura di Don Vincenzo Gizzi , arciprete della parrocchia di Santa Maria della Valle, ancora in costruzione , ma la cui Chiesa Inferiore era già utilizzata per le celebrazioni religiose.
《 Pace e bene a te Cesare 》 esordì 《 non ti si vede più in Chiesa da quanto , venti anni ? Trenta ? …o forse da quando eravamo ragazzini e facevamo insieme i chierichetti nella Chiesa di Santa Maria ad Martyres ? 》 con fare sornione Don Vincenzo diceva queste parole in modo divertito , quasi volesse provocare una reazione da Cesare con il quale era evidente giocasse una familiarità lontana nel tempo , anche se il loro rapporto si limitava ora a dei fugaci saluti quando si incontravano, quindi continuò 《 era da tempo che volevo passare a trovarti per sapere come stai , sai un uomo solo , non più giovanissimo, senza moglie e con mille grattacapi derivanti dal proprio lavoro , ecco , per questo sono passato a trovarti 》
Dopo qualche attimo di silenzio Cesare replicò 《 Eh voi preti , vi affannate tanto a combattere il diavolo e poi usate il suo stesso linguaggio per raggirare le persone , le vostre false preoccupazioni nei miei confronti nascondono qualcosa d’altro , non è vero Don Vincenzo ? Allora , ditemi quale il vero motivo che vi ha fatto solcare quella porta ! 》Don Vincenzo non si scompose, d’altronde aveva previsto quella reazione 《 Ebbene si Cesare , sono qui per rivolgerti una richiesta , anzi una supplica , vedi , come ben sai la Chiesa di Santa Maria della Valle è quasi ultimata , ancora qualche anno e verrà consacrata , ma purtroppo comincio ad avere serie difficoltà per reperire i soldi necessari per portare a termine il lavoro , il cospicuo lascito della signora Giuditta Saulini di Argenvillieres è stato speso e anche i ” cénzi ” sottoscritti dai fedeli non bastano , tanto più che una volta terminata serviranno molti soldi per arredarla di tutto ciò che occorre per una Chiesa di tali dimensioni , ecco quindi perchè ho pensato a te , tu sei un uomo facoltoso , ma non hai figli a cui lasciare tutti i tuoi beni quindi ti offro , mettiamola in questi termini , una strada per la salvezza della tua anima , una decisione importante per te e per le tante anime che ti saranno grate per aver contribuito in modo decisivo alla crescita della parrocchia 》.
Cesare trasalì , come fosse stato colpito in faccia da un pugno, poi rispose 《 Che impudenza ! Con che coraggio venite a farmi una proposta del genere , ma come potete pensare che dopo una vita passata ad accumulare i miei averi possa spenderli per donare candelabri , organi , statue di Santi e inginocchiatoi ! 》 《 Ma è per la salvezza della tua anima Ces..》 don Vincenzo non riuscì a terminare la frase , un gesto di stizza di Occhionero lo bloccò 《 La mia anima ? La mia anima non esiste come non esiste quella di nessun altro , da tempo sono arrivato alla conclusione che Dio non esiste e , se esiste , si fa beffa di noi , io vivo per l’oggi , non mi interessa il domani , sappia Don Vincenzo che io ho maledetto Dio anche per aver inventato la domenica , invece di lasciarlo come un altro giorno buono per fare affari e accumulare fortune , non ho altro da aggiungere, conoscete la strada per l’uscita , buona serata Don Vincenzo 》 dopo un attimo di silenzio don Vincenzo si voltò e si avviò verso l’uscita , aprì la porta , ma prima di uscire si voltò verso Cesare e gli disse 《 Sai Cesare , a tutti viene data una seconda possibilità , non tutti riescono ad accorgersene e spesso passa inosservata , spero ardentemente che la tua occasione non si sia ancora presentata , lo spero vivamente e , per quello che può servire , ti auguro un felice Natale 》 detto questo uscì e richiuse la porta dietro di sé.
Cesare era furibondo , ripeteva tra sè 《 che impuenza quel prete , cercare di circuirmi con quella storiella della salvezza , gliene ho dette ben quattro e spero non venga più a tentare di appropriarsi del mio patrimonio…》
Tobia , che conosceva perfettamente il carattere e le reazioni del sig. Cesare quando si trovava in quello stato d’animo , approfittò del momento propizio per congedarsi , tanto più che si era fatto pomeriggio inoltrato , quindi chiese di poter andare via data l’ora , mentre Occhionero stava ancora fuori dei sè per l’accaduto fece cenno di si e Tobia si affrettò verso l’uscita , chiuse la porta dietro di sé e si incamminò verso casa dove era atteso.
Era ormai notte , il freddo pungente dell’inverno si sentiva fin dentro le ossa e Cesare Occhionero ,chiuso a chiavi il negozio, si voltò dirigendosi lentamente e ansimante verso casa che si trovava ad una cinquantina di metri dal negozio , a metà del Vicolo della Rocca che , snodandosi nel quartiere antico, portava fin sopra il vecchio maniero , residenza di Papi e Abati benedettini , si era un pò calmato rispetto al diverbio animato che aveva avuto un’ora prima con don Vincenzo Gizzi , arrivato davanti al grande portone verde di casa sua si fermò un attimo a riprendere fiato poi infilò la chiave nella serratura ed entrò.
Era una casa molto grande , con stanze ampie molto in disordine e in uno stato di scarsa manutenzione, si raccontava che anticamente quella casa fosse stata una Chiesa di quartiere per via della presenza di affreschi antichi nascosti sotto l’intonaco , ma nessuno poteva confermare la cosa perchè nessuno era entrato in quella casa da decenni ormai.
Dopo una cena frugale , Cesare si preparò per la notte , spense il candelabro sul comodino , si mise a dormire , si addormentò abbastanza presto mentre la sua coscienza scivolava lentamente verso un mondo onirico legato alla sua voglia irrefrenabile di acculare soldi e ricchezza, poi d’un tratto tutto si fermò , tutto diventò bianco , di un bianco palpabile mentre una figura dapprima diafana e poi sempre più definita avanzava verso di lui , non appena fu abbastanza vicina riconobbe , con somma sorpresa, la figura del suo socio defunto Giovanni Picciafoco che gli veniva a far visita nel sonno.
《 Cesare! 》 esclamò perentorio 《 sono qui per metterti in guardia , le mie malefatte non sono rimaste impunite e sono stato condannato ai tormenti eterni , ma tu sei ancora in tempo , tu puoi riuscire laddove io ho fallito, tu devi prendere coscienza della tua miseria umana e venire fuori dell’abisso in cui sei caduto ! 》 le ultime parole risuonavano ancora nel subconscio di Cesare che questi d’un tratto si svegliò , il respiro pesante e la fronte imperlata di sudore nonostante il freddo , atterrito dal quel sogno si guardò lentamente intorno , la stanza era silenziosa nella luce che un pallido quarto di luna sommessamente vi riverberava dall’esterno .
Calmatosi , dopo poco si convinse che la suggestione creata dall’incontro con don Vincenzo gli aveva giocato un brutto scherzo e pensò 《 Quel prete ….anche mentre riposo viene a disturbami ….》 si riaddormentò mentre ripensava all’incontro di quel pomeriggio e all’arrabbiatura che si era presa…il sogno riprese , questa volta era in piedi in mezzo alla sua stanza e guardava se stesso che dormiva avvolto dalle coperte nel suo letto , una luce bianchissima Illuminò la stanza e una figura femminile apparve davanti a lui, leggera , quasi sollevata da terra , il suo abito non lasciava dubbi riguardo il fatto si trattasse di una suora, un volto affilato e due occhi penetranti lo fissavano , ma non in modo austero, bensì alla maniera di una madre che parla a suo figlio di qualcosa di molto importante 《 Cesare 》 disse 《 il mio nome è Cleridona e sono qui per aiutarti , per accompagnarti, se vuoi, in un piccolo viaggio nella consapevolezza e presa di coscienza della tua vita 》Era un nome familiare, Cleridona le ricordava qualcosa lontana nel tempo della sua vita , poi ricordò , era la suora venerata dalla popolazione di Subiaco , quella donna che si era consacrata a Dio ritirandosi dal mondo in un luogo ameno in montagna , vicino la Morra Feronia aveva costruito nell’arco di cinquantanove anni un monastero dove aveva vissuto in solitudine insieme a diverse consorelle che si erano unite a lei , ora il suo corpo i balsamico riposava in una teca al Monastero di Santa Scolastica.
Mentre rifletteva su questa figura mistica una forza misteriosa lo aveva intanto portato via da casa e ora si trovava in strada , non riconobbe subito il luogo ma , dopo qualche attimo riconobbe l’arco con l’effige della Madonna della piazzetta di Pietra Sprecata , subito dopo si ritrovò all’interno di una delle abitazioni che si affacciavano sulla piazzetta , riconobbe subito il suo aiutante Tobia intento ad aiutare sua moglie mentre preparava la tavola e si accingevano a consumare una ben misera cena di Natale insieme ai loro figli , conosceva i figli di Tobia ma non riusciva a vedere il piccolo Antonino , poi si voltò e lo vide davanti al caminetto , avvolto in una coperta , il suo piccolo volto scavato e pallido lasciava intuire che la salute del bambino era peggiorata di molto dall’ultima volta che lo aveva visto, d’un tratto parlò e rivolgendosi al padre disse《 Papà , pensavo stasera di recitare una preghiera anche per il tuo padrone , il signor Cesare ..》 Tobia gli rispose guardando perplesso sua moglie 《 Mi sembra una buona cosa Antonino , certo non so quanto gli gioverà , ma mi sembra proprio una ottima cosa 》 Antonino riprese 《Sai pensavo al signor Cesare , da solo , nella notte della Vigilia di Natale e ho sentito un senso di pena per lui…》
A sentire quelle parole Cesare si senti come fosse stato preso a schiaffi , quelle parole erano arrivato fin dentro il profondo della sua coscienza e in quella che egli credeva non esistesse , la sua anima , un dolore sordo lo invase e mentre sentiva salire le lacrime agli occhi , la forza misteriosa che lo aveva trascinato li lo riprese e lo trasportò lontano , come rapito in un vortice tornò indietro nel tempo , vide in un attimo tutta la sua vita fermandosi a molti decenni prima nella Subiaco della sua giovinezza, era inverno ed era la Vigilia di Natale , egli era nella sua casa paterna , quella sera erano ospiti la famiglia di un amico di suo padre e lì , seduta vicino il camino c’era lei , Isabella , il calore del camino rendeva più rosee le sue gote dando un tono più acceso alla bellezza della ragazza della quale era innamorato , lei ricambiava il suo affetto e si erano promessi che , a tempo debito si sarebbero sposati .
Ma il tempo , si sa , cambia le persone ed i propositi , e quando l’avidità aveva cominciato ad impossessarsi di lui la sua vita aveva preso una direzione diversa, una strada che non comprendeva i sentimenti , la famiglia e i figli e così Isabella era rimasta solo un lontano , pallido ricordo , ora che la rivedeva lì nella sua prepotente bellezza , un pensiero struggente di ciò che aveva perso lo pervase 《 Come posso aver speso la mia intera vita ad accumulare ricchezze , rendendomi sordo all’amore di una famiglia che avrebbe dato senso compiuto ai miei anni ! Tutto l’oro del mondo non servirebbe a comprare un briciolo di felicità che dei figli mi avrebbero donato..! 》
Come era apparso d’un tratto tutto sparì e anche la figura silenziosa di Cleridona che intuiva essere al suo fianco non c’era più , si guardò intorno, faceva molto freddo , sentiva vicinissimo il rombo del fiume Aniene e capì in quale posto la forza misteriosa lo aveva portato , il cimitero di Subiaco.
Il cimitero era un luogo che gli aveva sempre trasmesso inquietudine ma, stranamente , nel sogno non percepiva quella sensazione, spingendo con la mano si accorse che il cancello era aperto , avanzò lentamente e , dalla cappella che si trovava alla fine del viale davanti vide avanzare verso di lui una figura austera di un uomo avvolto in un grande saio , ma il cappuccio e la testa china non facevano vedere il volto di questa figura .
Arrivato a qualche metro da lui si tolse il cappuccio e Cesare vide il volto di un uomo he lo fissava con occhi penetranti , con una folta barba e i capelli con la tonsura che solo i monaci potevano portare , non parlava e dopo qualche istante gli fece segno di seguirlo verso un tratto del cimitero dove si trovavano molte lapidi perfettamente allineate , il monaco sconosciuto si fermò davanti ad una di queste circondata di fiori freschi , segno di una morte recente, e rimase a fissarla adesso in una espressione dolce , ma al tempo stesso addolorata , Cesare avanzò affiancandosi al monaco e non appena posò lo sguardo sulla lapide una fitta di dolore lo colpì al cuore , quasi come con il fendente di un coltello sentì lacerarsi dentro mentre leggeva il nome di Antonino Testa , il figlio più piccolo di Tobia , il suo aiutante , dunque la malattia lo aveva al fine vinto , ma gli occhi si sbarrarono e tutto il corpo sembrò pietrificato quando lesse la data della morte del piccolo , il 1853 , e si rese conto immediatamente che quella che stava sognando era una realtà futura che , così densa di sensazioni , gli mostrava cosa sarebbe realmente
successo da lì a qualche anno.
Allora si maledisse , la miseria di stipendio che dava Tobia non aveva permesso a quel poveraccio di curare adeguatamente suo figlio che , con le cure adeguate, avrebbe potuto sopravvivere , era troppo , tutta la sua tracotanza , tutta la sua sicumera stavano crollando sotto il peso dei suoi errori , ma non era abbastanza , qualcosa di più totalizzante stava per accadere , il monaco si girò verso di lui per indicargli di seguirlo , solo in quel momento Cesare si accorse che portava al collo una grande croce con al centro uno stemma , una medaglia sulla quale potè leggere questa frase ” CRUX SANCTI PATRIS BENEDICTI ” , gli mancò il respiro , affiorò dal lontano passato un ricordo , una rimembranza di quando era chierichetto , da giovane , e aveva letto quella scritta nella stessa medaglia posta sulla base della statua di un Santo che si trovava nella chiesa non più esistente di Santa Maria ad Martyres, lo stava solo pensando ma d’un tratto esclamò a voce alta 《 San Benedetto da Norcia …》 non riuscì a dire altro vinto dall’emozione di trovarsi di fronte il Santo che 1500 anni prima in solitaria dimora sul monte Taleo presso Subiaco , aveva creato l’ordine benedettino da cui erano nati successivamente tutti i monasteri in Italia e in Europa .
Il Santo intanto lo aveva condotto in una area del cimitero senza lapidi con cumuli di terra qua e là , Cesare capì immediatamente di trovarsi nel posto dove aveva fatto seppellire il suo ex socio Giovanni Picciafoco, vide una fossa appena scavata , avanzò lentamente per guardarvi dentro e , come in uno specchio posto sul fondo della fossa , vide il riflesso di sé stesso e allora , vinto dalla consapevolezza di aver sprecato la sua vita , pianse della sua miseria e nella disperazione si inginocchiò ai piedi del Santo .
Egli lo guardò con commiserazione poi , con un gesto lento si tolse la croce che aveva al collo e la mise nella mani di Cesare dicendo 《 La strada per la salvezza è nelle tue mani , con questo segno potrai vincere ..》 , poi tutto svanì e fu il buio.
Gli occhi si aprirono in una stanza illuminata dal chiarore del nuovo giorno , fissava il soffitto , sapeva di aver sognato , tutte le esperienze di quella notte erano ancora vivide nella sua mente , si tirò su lentamente rimanendo seduto per qualche istante sul letto , poi si alzò dirigendosi verso la finestra che dalla sua stanza faceva intravvedere i tetti delle case, ma più in la riusciva a scorgere il tetto , il lucernaio e il campanile ancora in costruzione della Chiesa di Santa Maria della Valle , avvicinandosi al vetro poggiò la mano sula davanzale , solo allora si accorse di avere un oggetto stretto nel pugno , aprì lentamente la mano e , incredulo , vide sul palmo la croce che nel sogno gli era stata donata dal Santo , dopo qualche istante di smarrimento il pensiero tornò al pomeriggio precedente quando don Vincenzo gli aveva rivolto quell’ultima frase 《 A tutti viene data una seconda possibilità ..》 , capì che un immenso dono gli era stato fatto , era stato toccato dalla Grazia e non poteva perdere la sua seconda e ultima possibilità, l’uomo che era stato era morto quella notte e quella mattina tornava alla vita la sua anima sopita da da molti anni.
Fu così che la mattina di Natale del 25 dicembre del 1847 Cesare Occhionero passò tra la gente incuriosita che ,abituata a vederlo nella sua espressione corrucciata e malevola ,guardava quest’uomo che con aria baldanzosa e sorridente salutava e augurava buon Natale a tutti mentre s’incamminava verso la Chiesa inferiore di Santa Maria della Valle .
Tra le persone che incontrò per strada c’era anche suo nipote Federico il quale , esterrefatto dal vedere lo zio così gioioso e sorridente ,annuì chinando lentamente il capo quando Cesare gli disse quasi urlando e senza fermarsi 《 Buongiorno nipote , accetto volentieri il tuo invito a prenzo…a più tardi 》.
Quando entrò nella Sacrestia don Vincenzo stentò a riconoscere l’uomo che il giorno prima lo aveva cacciato dal suo negozio in modo malevolo , Cesare gli raccontò i fatti di quella notte e poi , in una lunga confessione , tutti gli errori che aveva commesso nella sua vita poi , accettando docilmente la sua penitenza promise a se stesso di riparare tutti i torti che aveva provocato e così fece , risarcì tutte le persone di cui si era approfittato , diede degna sepoltura al suo ex socio Giovanni Picciafoco, donò all’arcipretura la sua grande casa che divenne casa canonica e il vicolo dove si trovava prese il nome popolano di vicolo dell’arciprete , con Tobia fu particolarmente generoso sia aumentandone considerevolmente lo stipendio che pagando le spese per cure mediche adeguate dai migliori medici per il piccolo Antonino che così riuscì a sopravvivere alla malattia , da grande benefattore poi donò somme considerevoli all’orfanotrofio e alle suore Trinitarie che si occupavano dei bambini , per la chiesa di Santa Maria della Valle poi fece in modo di abbellirla con un bellissimo organo a canne , marmi e capitelli , le preziose acquasantiere , una magnifica balaustra e la posa , a campanile ultimato , delle campane che per gli anni a venire divennero la voce della Chiesa di Santa Maria della Valle ….
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Era il 29 maggio del 1851 , la Chiesa era gremita di gente per quell’evento atteso da ben 57 anni , Monsignor Pio Bichi , Vicario generale di Papa Pio IX per l’ Abbazia di Subiaco officiava la funzione religiosa per la consacrazione della Chiesa di Santa Maria della Valle , Cesare Occhionero si trovava seduto da un lato della navata centrale ed assisteva alla Messa di consacrazione grato per aver avuto la possibilità di farlo .
Posando lo sguardo sulla folla si compiacque dei volti felici delle persone che giravano la testa per vedere ogni angolo della loro nuova Chiesa appena finita, ad un certo punto la sua attenzione fu rapita da una donna , lei incrociava il suo sguardo quando , dopo qualche istante di incertezza , incredulo, riconobbe Isabella , la donna che , da giovanissimo, avrebbe dovuto sposare , ora lei era lì che lo guardava , il tempo era passato per tutti , i suoi lineamenti ora maturi comunque suggerivano che quel volto era di una donna che da giovane era stata bellissima e ammirata da tutti .
Giunse la fine della messa di consacrazione e i due si ritrovarono l’uno di fronte all’altra sul sagrato della Chiesa , in un lungo istante cercarono ognuno le parole adeguate per quella situazione di imbarazzato silenzio.
Fu lei che prese coraggio dicendo con un sorriso appena accennato《 Cesare , siamo due persone abbastanza in là con gli anni per comportarci come due giovinetti alle prime armi non credi….? 》 anche il volto di Cesare si rilassò in un lieve e divertito sorriso 《 Hai ragione , ma nemmeno così tanto in là con gli anni perchè due giovinetti come noi due non possano ancora essere impacciati dalle situazioni di imbarazzo…》.
Bastò quel breve scambio di parole per spazzare via tutti quegli anni di separazione, lei gli disse che , dopo la fine della loro storia, aveva conosciuto un altro uomo che però si era rivelato un poco di buono , quindi aveva deciso di lasciare Subiaco per prendere servizio in una casa di nobili signori a Roma dove aveva vissuto fino a qualche tempo prima , portandosi dietro anche i suoi genitori che cominciavano a sentire gli acciacchi dell’età , badando ed educando i
due figli dei nobili signori con i quali , dopo tutto quel tempo , aveva creato un rapporto quasi materno .
Quando i ragazzi erano cresciuti e avevano preso la loro strada lei aveva preso la decisione di ritornare a Subiaco , tanto più che i suoi genitori erano morti qualche anno prima , qui aveva tanti ricordi di ragazza , aveva ancora qualche lontano parente e anche la casa paterna nella quale si era stabilita.
Cesare le confessò quello che era stata la sua vita disonorevole e del cambiamento che qualche anno prima lo aveva portato a quel che era oggi , un uomo ben voluto e in pace con se stesso , le confessò anche il rammarico che provava per aver tradito la promessa che le aveva fatto , forse , anzi sicuramente il più grande errore della sua vita.
Tutto reiniziò da lì , cominciarono a frequentarsi ritrovando l’affetto che un tempo li aveva legati , quando don Vincenzo li sposò un anno dopo la Chiesa era piena di amici e parenti che festeggiavano quell’amore maturo che si univa nel vincolo del matrimonio.
Mentre don Vincenzo officiava la funzione , Cesare ritornò con la mente a quella notte di qualche anno prima quando la sua vita era cambiata , a quella seconda occasione che gli era stata concessa , ora ritrovarsi qui con la donna che stava sposando , che aveva perduto e adesso ritrovato non potè non ringraziare la Divina Grazia di avergli donato un’altra grande , bellissima seconda occasione .