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Titanic, la tragica storia dei due romani a bordo

A Roma capita spesso di imbattersi in targhe commemorative affisse sulle pareti dei palazzi storici. Raccontano pezzi di storia della città, frammenti di vite di personaggi significativi nella memoria collettiva.

 

 

LA TARGA ALLA CASA DEL CINEMA

 

Una targa affissa sulla parete esterna della Casa del Cinema a Villa Borghese è particolarmente curiosa, perché ricorda i nomi dei due camerieri romani morti nel disastro del Titanic. Fu collocata lì cento anni dopo quella prima grande tragedia europea, avvenuta 112 anni fa.

Era la notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 quando il Titanic si schiantò contro un iceberg, poco a sud di Terranova. A bordo del primo viaggio inaugurale del transatlantico inglese è appurato ci fossero anche diversi italiani: i nostri connazionali dispersi furono oltre cinquanta, per lo più lavoratori, non semplici passeggeri. Per il nostro Paese fu la prima grande tragedia dell’emigrazione dall’Unità d’Italia. Tra gli italiani morti nel disastro anche due romani, Roberto Vioni e Roberto Urbini, di 26 e 22 anni. Sono questi i nomi dei due romani riportati sulla targa. Lavoravano come camerieri nell’esclusivo e prestigioso ristorante di prima classe “À la Carte”, a bordo del Titanic. I loro nomi risultano sui quotidiani dell’epoca e sono confermati dai documenti dell’Anagrafe capitolina. Una ricerca di oltre dieci anni fa ha riportato alla luce due cartoncini ingialliti e vergati a mano, conservati per un secolo negli uffici di via Petroselli, sede dell’Anagrafe, con i nomi dei due ragazzi e la data della morte, per entrambi il 15 aprile 1912, accanto una scritta che non lascia dubbi sull’esito della storia: “Disastro Titanic”.

 

 

URBINI E VIONI, I DUE ROMANI SUL TITANIC

 

I nomi di Urbini e Vioni compaiono per la prima volta nella cronaca de Il Messaggero del 18 aprile 1912 nel primo sommario elenco degli italiani morti o dispersi nel naufragio. Già il Corriere della Sera del giorno prima (il 17 aprile 1912) in un articolo dal titolo “Gli italiani del restaurant” riportava che “tra le vittime sono purtroppo anche vari italiani. Il magnifico ristorante del Titanic era in mano di italiani; 28 nostri compatrioti appartenevano al personale di bordo. Viaggiava poi sul Titanic il direttore generale dell’impresa dei ristoranti dei transatlantici della White Star Line, signor Gatti”.

Luigi Gatti era uno dei membri più rispettati della comunità italiana in Inghilterra ed era diventato responsabile del ristorante di prima classe. Era lui che aveva assunto i due romani, insieme a tanti altri italiani, i migliori al mondo in questo lavoro si diceva allora. Del più giovane, Roberto Urbini, viene alla luce un particolare toccante sul Corriere della Sera del 19 aprile: “Un caso triste e poco conosciuto è quello di un cameriere di 22 anni, Urbini: la moglie molto giovane, incinta, era quasi dall’ultima settimana dal mettere al mondo il bambino ed ha partorito proprio oggi. I parenti caritatevoli hanno nascosto a lei il terribile disastro”.

 

 

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Le due schede ritrovate negli archivi dell’Anagrafe capitolina.

 

 

 

UN TRANSATLANTICO UNICO AL MONDO

 

A bordo del più grande transatlantico mai costruito dall’uomo fino ad allora – lungo 271 metri e largo 30, con un peso di oltre 60mila tonnellate – c’erano 2.228 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. I morti furono più di 1.500, i sopravvissuti 705. Fu la prima grande tragedia europea, prima ancora dei due conflitti mondiali che segneranno il vecchio continente con le loro scie di morti e devastazioni. Il Titanic era per tutti inaffondabile, simbolo del lusso più stravagante e della modernità. Il suo mito ha ispirato anche il celebre film di James Cameron, uscito al cinema nel 1997. Un viaggio in prima classe sul Titanic costava 870 sterline, circa 16.750 euro al giorno di oggi; 25 sterline costava invece il biglietto di terza classe. Dal Titanic era possibile far partire addirittura ordini di borsa, in una sorta di anticipo di futuro di mondo globalizzato. Fu il primo mezzo di trasporto sempre collegato con l’esterno, grazie al telegrafo tra gli strumenti di bordo. Anche questo lo rendeva eccezionale.

 

 

IL CONTRIBUTO DI GUGLIELMO MARCONI E DEL SUO RADIOTELEGRAFO

 

Fu proprio dal telegrafo che partì il primo SOS, intercettato dal Carpathia, in navigazione sulla stessa rotta, che raggiunse il luogo del disastro e riuscì a salvare i naufraghi ancora vivi. Due anni dopo a Londra la prima Conferenza internazionale sulla sicurezza marittima (1914) disciplinava l’uso del radiotelegrafo senza fili, riconoscendone gli alti meriti.

I giornali sottolinearono subito come l’invenzione di Guglielmo Marconi avesse contribuito a salvare molte vite. Emblematico il discorso alla Camera dei Comuni del ministro inglese delle Poste, riportato dal Corriere della Sera del 19 aprile: “Se qualche vita umana è stata salvata noi lo dobbiamo ad una sola persona: all’italiano Marconi, la cui meravigliosa invenzione è tanto preziosa per il commercio e per la vita sociale e di un valore infinito dal punto di vista umanitario”.

 

 

LA REAZIONE DEI QUOTIDIANI 

 

Il disastro viene raccontato dai giornali il giorno successivo al disastro. L’informazione riesce a essere straordinariamente tempestiva, anche se non precisa e dettagliata all’inizio. Il Corriere della Sera del 16 aprile già pubblica la notizia, ma nell’articolo si dice che tutti i passeggeri sono salvi. Purtroppo, alle prime comunicazioni dettate dalla Compagnia di navigazione seguirà la triste verità. I cronisti di mezzo mondo seguirono le notizie raccolte dai colleghi americani e inglesi nel porto di New York nei giorni successivi al naufragio. Sui quotidiani si leggono le testimonianze dei sopravvissuti. I loro racconti parlano di quegli ultimi attimi concitati, di grande confusione, di urla e poi di un silenzio agghiacciante, nella notte senza luna in quel tratto gelido dell’Atlantico (la temperatura dell’acqua era di circa 7 gradi). Il Corriere della Sera riporta l’intervista al telegrafista che per primo comunicò la notizia, Harold Bride, contattato dall’Even News di Londra. La riproduzione dell’intera intervista venne ceduta al New York Times che l’ha fatta conoscere alla stampa di mezzo mondo, un segnale anche di un bisogno nascente di informazione da parte del pubblico, all’alba di una professione che cominciava a prendere forma.

 

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La prima pagina del Corriere della Sera del 18 aprile 1912.